Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24757 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24757 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 671/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE e NONPENSO COGNOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME NOME COGNOME NOMENOME elett,te domiciliati in REGGIO CALABRIAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALECODICE_FISCALE che li rappresenta e difende per procura in calce al controricorso,
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA n.771/2018 depositata il 5.11.2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11.9.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME – comproprietari di un edificio su tre piani in RAGIONE_SOCIALE San RAGIONE_SOCIALE costruito nel marzo 1985 su un terreno terrazzato in precedenza destinato a vigneto, che era stato risistemato con la demolizione di un muretto in pietra a secco alto circa 180 cm e largo 20 cm che in origine conteneva un terrapieno naturale, e la realizzazione, in sostituzione, di un muro di contenimento in conglomerato cementizio, alto circa tre metri e largo 60 cm alla base e 30 cm alla sommità, e con il riempimento artificiale fino al culmine del muro, in modo da costituire un terrapieno artificiale utilizzato come base d’appoggio del loro fabbricato, muro poi ulteriormente elevato di 120 cm – convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Reggio Calabria, i coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME, proprietari del fondo confinante, posto a quota inferiore.
Gli attori lamentavano, per quanto ancora rileva, che i confinanti nel 1986 avevano edificato sul loro fondo, ad una distanza inferiore a quelle prescritte dal confine e dal loro muro secondo il P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE San RAGIONE_SOCIALE, un fabbricato a tre piani con vedute dirette, laterali ed oblique, che per una parte dell’altezza (quattro metri) era stato costruito in aderenza al muro di contenimento, e per la restante parte, distante circa tre metri dal muro di confine, era più elevato rispetto ad esso (di oltre quattro metri), dal quale
invece il fabbricato finestrato degli attori distava oltre quattro metri, e chiedevano quindi la condanna dei convenuti alla demolizione del loro fabbricato fino a rispettare la distanza legale, oltre ad avanzare altre domande che non più rilevano.
Costituitisi in primo grado, COGNOME NOME e COGNOME contestavano tale domanda, chiedendone il rigetto, e sostenevano che il muro di contenimento degli attori aveva invaso, per una profondità di 130 cm e per un fronte di 21 metri, la loro proprietà, ed in via riconvenzionale chiedevano l’accertamento di tale sconfinamento e la condanna della controparte al risarcimento dei danni subiti per tale abusiva occupazione, indicati in £100.000.000, oltre ad avanzare altre domande che non più rilevano.
Espletate prove testimoniali e CTU, il Tribunale di Reggio Calabria, con la sentenza n. 1051 del 19.7.2007, condannava i convenuti ad arretrare la parte del loro fabbricato finestrato non costruita in aderenza al muro di contenimento di confine, qualificato come costruzione, fino a rispettare la distanza di dieci metri dal muro medesimo prescritta dall’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, prevalente sulle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE San RAGIONE_SOCIALE sulle distanze, ritenendo assorbite le altre domande, condannando i convenuti alle spese di CTU e dichiarando compensate le altre spese processuali.
Avverso tale sentenza proponevano appello COGNOME NOME e COGNOME.
Si costituivano in secondo grado gli originari attori, chiedendo il rigetto dell’appello.
Con ordinanza del 5.2.2009 la Corte d’Appello sospendeva la provvisoria esecutività della sentenza di primo grado, ritenendo sussistente un evidente fumus di fondatezza dell’appello, ma poi con la sentenza n. 771/2018 dell’1.10/5.11.2018, rigettava l’appello e condannava gli appellanti alle spese di secondo grado.
La Corte d’Appello in particolare, per quanto ancora rileva, confermava sulla base del tipo di frazionamento allegato all’atto di acquisto degli originari attori del loro fondo, derivante, al pari di quello degli appellanti, da un’unica proprietà originaria, e sulla base di altri elementi documentali e testimoniali, che il confine tra le proprietà delle parti corrispondeva al muro di contenimento costruito dagli originari attori, che anche se sopraelevato abusivamente, veniva in rilievo come costruzione, ai fini dell’applicazione dell’art. 9 del D.M. n.1444/1968.
Relativamente al provvedimento n. NUMERO_DOCUMENTO del 26.11.2015 del RAGIONE_SOCIALE, l’impugnata sentenza lo considerava espressivo di una situazione in divenire non ancora consolidata, e quindi ininfluente sulla decisione, e riteneva che seppure vi fosse stata, in base a quell’atto, l’acquisizione definitiva al patrimonio del RAGIONE_SOCIALE, essa avrebbe riguardato solo la sopralevazione abusiva del muro di contenimento di 140 cm per una lunghezza di m 22 e della porzione di palificata con solaio a sbalzo in cemento armato alta m 1,40 e lunga m 20,50, realizzata anch’essa abusivamente ad una distanza di m 1,20 dal muro di contenimento, e l’area di sedime sulla quale tali manufatti erano poggiati, ma non la proprietà del muro di contenimento sottostante la sopraelevazione e del terrapieno artificiale da esso sorretto, rimasta degli originari attori, dovendosi qualificare il muro di contenimento come costruzione, perché anche sottraendo all’altezza complessiva dal piano di campagna della proprietà COGNOME–COGNOME di m 4,75 (secondo la CTU) la sopraelevazione da demolire di m 1,40, residuava un muro di contenimento di un terrapieno artificiale di m 3,35.
La sentenza impugnata ha poi rilevato, in ordine all’eccepita tardività della domanda di arretramento per violazione dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, che dopo la proposizione delle domande sulle distanze legali dell’originaria citazione, la giurisprudenza di
legittimità si era evoluta nel senso di riconoscere nell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 una disciplina statuale inderogabile da parte delle normative locali, volta ad imporre comunque anche in presenza di una regolamentazione locale difforme, la distanza di dieci metri dal confine delle pareti finestrate.
Avverso tale sentenza, hanno proposto ricorso a questa Corte, i COGNOME–COGNOME, affidandosi a due motivi illustrati da memoria e contrastati dagli originari attori con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e n. 5) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, l’errata, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, individuato nella circostanza che, per effetto della determina n. 439 del 26.11.2015, il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE San RAGIONE_SOCIALE avrebbe definitivamente acquisito al suo patrimonio, effettuandone anche la trascrizione nei registri immobiliari, la striscia di terreno posta al confine tra le proprietà delle parti sulla quale sorgono la sopraelevazione di m 1,40 del sottostante muro di contenimento in calcestruzzo di m 2,80 (anch’esso abusivo per diniego di sanatoria), e la porzione di palificata in acciaio con solaio a sbalzo in cemento armato sempre di m 1,40 posta a ridosso del predetto muro in calcestruzzo alla distanza di m 1,20, con la relativa area di sedime per complessivi 60 mq, applicando quindi la suddetta distanza legale rispetto ad una costruzione che non é più degli originari attori.
Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e 5) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, l’errata,
insufficiente, impropria e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di controversia tra le parti, individuato nella circostanza che la sentenza impugnata si sarebbe basata su un’altezza del muro di contenimento di m 4,75 mutuata dalla CTU, che avrebbe erroneamente fatto riferimento alla quota di progetto, e non a quella effettiva inferiore di m 4,20, risultante dalla CTP dei ricorrenti e da un elenco di documenti prodotti.
Sostengono i ricorrenti che sottraendo a m 4,20 il dislivello naturale tra i fondi di m 1,80 e la sopraelevazione abusiva da rimuovere di m 1,40, e comunque anche facendo riferimento come dato di partenza, prima delle sottrazioni, all’altezza del muro di contenimento di m 4,75, residuava un’altezza del muro di contenimento inferiore ai tre metri, che non consentiva di qualificare il manufatto come costruzione e di applicare le norme sulle distanze legali, ed in particolare l’art. 9 del D.M. n. 1444/1968.
I due motivi, attinenti entrambi alla conferma dell’ordine di demolizione del fabbricato dei ricorrenti per la parte non costruita in aderenza al muro di contenimento del terrapieno artificiale degli originari attori ubicato sul confine tra i fondi delle parti, considerato come costruzione, ed alla ravvisata violazione dell’art. 9 del D.M. n.1444/1968, possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati nei termini che seguono.
Anzitutto in rito, trattandosi di appello proposto nel 2008, risulta priva di pregio l’eccezione d’inammissibilità dei motivi fatti valere ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., basata sulla previsione dell’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., norma non applicabile ratione temporis (v. art. 54 comma 2 DL 22.6.2012 convertito con modificazioni dalla legge n. 1234/2012).
Ciò premesso, rileva la Corte che l’impugnata sentenza, nel valutare il contenuto della determina n. NUMERO_DOCUMENTO del 26.11.2015 del
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE San RAGIONE_SOCIALE ( che a norma dell’art. 31 comma 3 del D.P.R. n.380/2001, a seguito dell’inottemperanza all’ordine di demolizione delle opere abusive da parte degli originari attori, ha determinato in via definitiva l’acquisizione al patrimonio disponibile del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE San RAGIONE_SOCIALE, trascritta anche nei registri immobiliari, di una striscia di terreno ricompresa tra le proprietà delle parti), senza alcuna espressa ragione, l’ha considerata espressiva di una situazione in divenire non definitiva, come se essa non avesse già determinato l’acquisizione al patrimonio disponibile del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE San RAGIONE_SOCIALE della striscia di terreno in questione di 60 mq ricompresa tra la sopraelevazione di m 1,40 del sottostante muro di contenimento in calcestruzzo e la porzione di palificata in acciaio con solaio a sbalzo in cemento armato sempre dell’altezza di m1,40 posta a ridosso del predetto muro in calcestruzzo alla distanza di m1,20, posto che nella determina ci si riferisce sia ai manufatti abusivi, sia alle rispettive aree di sedime, che all’area adiacente, come se il provvedimento acquisitivo riguardasse solo i manufatti per i quali andava eseguita la demolizione.
La sentenza impugnata, inoltre, dapprima riconosce al terzo capoverso di pagina 23 che la determina n. 439 del 26.11.2015 ha disposto ” l’acquisizione e l’immissione in possesso al patrimonio disponibile del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE San RAGIONE_SOCIALE delle opere abusivamente realizzate dalla RAGIONE_SOCIALE “, facendo esplicito riferimento all’ampliamento del muro di contenimento per la sua intera lunghezza, alla porzione di terreno palificata, ma anche all’area di sedime ed a quella immediatamente adiacente, mentre poi ritiene che quel provvedimento acquisitivo abbia riguardato solo i manufatti abusivi e le loro aree di sedime, lasciando inalterata la proprietà degli originari attori sul muro di contenimento autorizzato e sull’intero terrapieno artificiale contenuto, dimenticando che nell’acquisizione era ricompresa
anche l’area adiacente all’ampliamento del muro ed alla palificata, costituente la parte a confine coi ricorrenti del terrapieno artificiale, e non considerando che il muro di contenimento del terrapieno artificiale sottostante l’ampliamento in altezza da demolire, ne costituiva l’area di sedime, anch’essa acquisita dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE San RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza impugnata si é poi limitata a sottrarre all’altezza del muro di contenimento del terrapieno artificiale quella di m 1,40 dell’ampliamento in altezza abusivo da demolire per ricavarne, sulla scorta della CTU, un’altezza residua di m 3,35, come se dovesse applicare la disciplina propria del muro di cinta, che é però un muro isolato su entrambe le facce qualificato come costruzione solo se supera i tre metri di altezza previsti dall’art. 878 cod. civ., e non va confuso col muro di contenimento di un terrapieno artificiale, che presenta una sola faccia visibile.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, mentre il muro di contenimento di un terrapieno naturale non può considerarsi costruzione agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 cod. civ. e seguenti (e quindi anche delle norme locali integrative e della disciplina da esse inderogabile dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968) per la parte che adempie a tale funzione, e quindi dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parete naturale, o della scarpata, o del terrapieno cui aderisce impedendo lo smottamento, il muro di contenimento di un terrapieno artificiale è una vera e propria costruzione che deve rispettare le distanze legali a prescindere dalla sua altezza al di sopra del dislivello naturale (Cass. 14.4.2022 n. 12203; Cass. 13.5.2013 n. 11388; Cass. 4.6.2010 n. 13625; Cass. n. 1217/2010; Cass. 10.1.2006 n.145; Cass. 24.6.2003 n. 1998; Cass. n. 8144/2001; Cass. n.4196/1987), e ciò in quanto non si tratta di un muro di cinta con entrambe le facce isolate destinato solo alla delimitazione del confine e di altezza inferiore a tre metri secondo l’art. 878 cod. civ.
(vedi in tal senso Cass. n. 8144/2001), ma di un muro di fabbrica, dal momento che la faccia a contatto col terrapieno artificiale contenuto non è isolata, ma aderente al terrapieno, ed il muro, facendo corpo unico col terrapieno artificiale, crea un’intercapedine potenzialmente insalubre e dannosa che la normativa in esame è volta ad evitare.
Va poi ricordato che in tema di distanze legali la nozione di costruzione, desumibile dagli articoli 873 e seguenti del codice civile, è unica, e vi rientra qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva utilizzabile ed indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, e tale nozione non è modificabile dalla normativa locale (vedi Cass. 2.10.2018 n. 23843; Cass. 8.1.2016 n. 144; Cass. 7.10.2005 n. 19530).
L’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 n. 2), norma statuale che prevede limiti inderogabili di distanza tra fabbricati, stabilisce che al di fuori della zona A), per i nuovi edifici è prescritta la distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, e la giurisprudenza di questa Corte ha puntualizzato che la nozione di costruzione non può identificarsi con quella di edificio (Cass. 2.10.2018 n. 23856; Cass. 20.7.2011 n. 15972), per cui quando la norma in questione parla di edifici antistanti, si riferisce in realtà a tutte le costruzioni che siano antistanti ad una parete finestrata e non solo agli edifici.
Si rende pertanto necessario un nuovo esame, anche perché nessuna indagine ha compiuto la Corte di Appello sulla disciplina locale in materia di distanze.
Il giudice di rinvio (Corte d’Appello di Reggio Calabria in diversa composizione) rivaluterà adeguatamente gli effetti dell’acquisizione al patrimonio disponibile del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE San RAGIONE_SOCIALE della NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO del 26.11.2015 nel suo effettivo contenuto e
motiverà anche sulla normativa localmente applicabile, provvedendo, all’esito, anche sulle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Reggio Calabria in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’11.9.2024