Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19606 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 19606 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 35291/2019 R.G. proposto da
COGNOME NOME COGNOME, COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che li rappresentano e difendono, giusta procura in atti;
– ricorrenti –
contro
COGNOME;
– intimato –
avverso la sentenza n. 832/2019 della CORTE D’APPELLO de L’AQUILA , depositata il 13/05/2019;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/05/2025 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
Udite le conclusioni del Procuratore Generale dr. NOME COGNOME e de ll’avv. NOME COGNOME per i ricorrenti.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME , NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente nudi proprietari (i primi due) e usufruttuari (i secondi) di un compendio immobiliare sito nel centro storico del Comune di Magliano dei Marsi, convennero NOME COGNOME innanzi al Tribunale di Avezzano, chiedendo l’accertamento della loro proprietà esclusiva sul muro di confine, oltre all’ordine di arretramento a distanza legale di 3 mt. dal predetto muro, di un manufatto in legno e di uno in muratura eretti dal convenuto a ridosso del muro stesso, nonché la regolarizzazione alle prescrizioni ex art. 901 c.c. di due luci aperte dal Passalacqua sul proprio fabbricato.
Si costituì COGNOME COGNOME chiedendo, in via riconvenzionale, l’accertamento , in proprio favore, della proprietà esclusiva del citato muro di confine, la condanna degli attori alla demolizione della sopraelevazione del muro nonché alla rimozione del terreno addossata al muro per un’altezza di mt. 0,50 per tutta l’estensione del giardino, ed infine il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di infiltrazioni derivanti dal citato innalzamento del terreno. Nel caso di accoglimento della domanda attorea concernente il muro di confine chiese, in via subordinata, il rimborso delle spese sostenute per la manutenzione del citato muro.
In esito all’istru zione probatoria, il giudice adito accolse integralmente la domanda degli attori, rigettando quella del convenuto.
A seguito di rituale impugnazione del RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 832 del 13 maggio 2019 la Corte di Appello de L’Aquila riformò parzialmente la decisione di primo grado e dichiarò che il muro posto a confine tra le proprietà dovesse considerarsi comune ad entrambe le parti, condannò gli originari attori alla riduzione in pristino del tratto di muro di cinta a confine nonché alla rimozione del terreno posto a ridosso del muro lungo la proprietà degli stessi. Inoltre, condannò l’appellante a regolarizzare la luce aperta al piano primo
del proprio edificio, per renderla conforme alle prescrizioni di cui all’art. 901 c.c.
I giudici di secondo grado negarono che gli appellati avessero fornito la prova della loro proprietà esclusiva del muro divisorio, il cui asse sarebbe invece ricaduto mediamente fra le due proprietà. Così, sulla scorta della C.T.U. ed in mancanza di un titolo di acquisto tale da attribuire la proprietà del muro all’uno o all’altro proprietario, avrebbe dovuto reputarsi la comunione del muro, in forza della presunzione di cui all’art. 880 c. c., non superata neppure dalla diffida stragiudiziale, che si sarebbe riferita alla rimozione di materiali edili, pacificamente effettuata dal COGNOME. Quanto al gazebo, a parte la copertura, non si sarebbe potuto considerare alla stregua di una costruzione in senso tecnico. Infine, il muro di contenimento del terrapieno, non rientrando nelle deroghe di legge, sarebbe stato soggetto al rispetto delle distanze.
Contro la predetta sentenza ricorrono per cassazione NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME sulla scorta di sei motivi . E’ rimasto intimato il COGNOME.
In prossimità dell’udienza pubblica i ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso .
RAGIONI DI DIRITTO
Attraverso la prima doglianza, i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 873 e 885 c.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. per avere la Corte d’Appello ‘escluso il diritto del comproprietario di sopraelevare il muro di confine ex art. 885 cod. civ., ravvisando erroneamente, nel caso di specie, la ricorrenza di un muro di contenimento di un terrapieno (non risultante ex actis, né mai dedotto o eccepito da alcuna delle parti) cui la citata norma risulta inapplicabile’.
Infatti, i presupposti di applicazione dell’art. 885 c.c. sarebbero stati del tutto mancanti, giacché, nella specie, la sussistenza di un preteso
terrapieno non sarebbe stata dedotta dalle parti o desumibile dagli atti di causa. Inoltre, una volta eliminata la fascia di terreno a ridosso del muro, non sarebbe stato più possibile escludere l’applicabilità dell’art. 885 c.c. ed il conseguente diritto ad innalzare il muro di confine. E tanto a voler sottacere che il muro, sia per la parte costituente contenimento della parete naturale o scarpata, sia per la parte costituente muro di cinta, di altezza inferiore a metri 3, non avrebbe potuto dare luogo ad una ‘costruzione’, ai sensi dell’art. 873 c.c.
Il motivo è fondato.
Appaiono corretti i richiami della sentenza impugnata al principio per il quale, in tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione”, agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 c.c., per la parte che adempie alla sua specifica funzione e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, mentre lo è il muro di contenimento del terrapieno creato dall’opera dell’uomo (Sez. 2, n. 24842 del 16 settembre 2024; Sez. 2, n. 14710 del 29 maggio 2019; Sez. 2, n. 24473 del 17 ottobre 2017).
Sennonché, la Corte d’appello dà per pacifica la presenza del terrapieno artificiale e del relativo muro di contenimento, senza che ne abbia accertato la preventiva sussistenza, posto che né le parti né il CTU avevano dedotto alcunché in tal senso, come osservano perspicuamente i ricorrenti. Pertanto, mancando i presupposti per derogare alla regola generale, deve trovare applicazione nella specie l’art. 885 c.c., che consente appunto l’innalzamento del muro comune.
Con il secondo mezzo, i COGNOME e la COGNOME censurano la sentenza impugnata per vizio di extra petizione ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., poiché i giudici di secondo grado li avevano condannati alla rimozione della sopraelevazione per violazione delle distanze legali, sulla scorta di una domanda e/o
eccezione mai avanzata dal convenuto. Di contro, tale domanda avrebbe dovuto essere respinta, mancando il presupposto sulla base del quale era stata formulata, ovverosia la proprietà esclusiva del muro di confine da parte del Passalacqua.
La terza lagnanza s’impernia sull’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, ex art. 360 n. 5 c.p.c. Essa è volta a stigmatizzare la condanna alla rimozione del terreno posto a ridosso del muro di confine sotto altro profilo, poiché il giudice di secondo grado avrebbe determinato la fascia di terreno da asportare, disattendendo quanto emerso nella CTU.
Entrambi i motivi restano assorbiti dall’accoglimento del primo.
Con il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza di secondo grado per omesso esame di un fatto decisiv o in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., avendo i giudici di appello ritenuto erroneamente che il gazebo ligneo, eretto a ridosso del confine, non presentasse il carattere della stabilità, disattendendo quanto rilevato dal CTU nell’elaborato peritale , e senza altresì motivare adeguatamente sul punto.
Attraverso il quinto mezzo, si deduce che l a Corte d’appello, sempre in riferimento al manufatto ligneo di cui al punto precedente, sarebbe altresì incorsa nel vizio di extra petizione ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., ‘essendo stato ad essa demandato unicamente il compito di accertare la natura mobile o immobile del manufatto e, per l’effetto, la soggezione di quest’ultimo alle norme sulle distanze legali’ , e non la rimozione della sua copertura in coppi.
Infatti, la Corte distrettuale si sarebbe discostata dalle risultanze peritali, disponendo una modificazione del bene, non chiesta e non dedotta dalle parti.
Entrambe le doglianze, che possono essere scrutinate congiuntamente per la loro evidente connessione logica, sono fondate.
La stessa sentenza impugnata ha affermato ‘ secondo l’accertamento compiuto dal CTU, i piedritti di tale manufatto risultano poggiati sul pavimento e lo stesso è ancorato meccanicamente tramite tasselli ad espansione (stop) al muro di cinta, al muretto aggettante da tale muro e alla ringhiera in ferro sul lato lungo la struttura opposta al muro di cinta e mentre in sede di primo sopralluogo (8.11.2008), il tetto era costituito da un tavolato ligneo impermeabilizzato con una membrana bituminosa, nel secondo accesso del 14.11.2009 (dovuto alla necessità di rispondere ai chiarimenti richiesti), il perito ha riscontrato che sul tetto erano presenti dei coppi cementati per cui la copertura non poteva più considerarsi del tipo leggero come richiesto dalla norma del regolamento comunale (art. 10 lett. F), anche se il gazebo doveva considerarsi amovibile essendo fissato solo con stop facilmente asportabili ‘.
Appaiono dunque realizzati tutti i presupposti per ritenere la sussistenza di una “costruzione”, ai sensi dell’art. 873 c.c., che la giurisprudenza di questa Corte ha esteso a qualunque manufatto che realizzi una determinata volumetria ed abbia i caratteri della stabilità, della consistenza e dell’immobilizzazione al suolo (Sez. 2, n. 345 del 5 gennaio 2024; Sez. 2, n. 5145 del 21 febbraio 2019).
Va d’altronde considerato che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, consente di censurare, per omesso esame, la sentenza che abbia recepito la consulenza tecnica, solo ove venga individuato un preciso fatto storico, sottoposto al contraddittorio delle parti, di natura decisiva, che il giudice del merito abbia omesso di valutare (Sez. 5, n. 18886 del 4 luglio 2023).
Nella specie, le conclusioni del CTU (ribadite anche in sede di chiarimenti) erano nel senso della stabilità del manufatto, con la conseguente assoggettabilità dello stesso alle prescrizioni in tema di distanze.
Orbene, il giudice che abbia disposto una consulenza tecnica cd. percipiente può anche disattenderne le risultanze, ma solo ove motivi in ordine agli elementi di valutazione adottati e a quelli probatori utilizzati per addivenire alla decisione, specificando le ragioni per le quali ha reputato di discostarsi dalle conclusioni del CTU (Sez. 3, n. 36638 del 25 novembre 2021; Sez. 3, n. 27411 dell’8 ottobre 2021; Sez. 3, n. 200 dell’11 gennaio 2021).
Ed invece i giudici di secondo grado hanno ritenuto di aggirare il problema, disponendo d’ufficio la rimozione dei coppi, senza confrontarsi col dato di fatto oggettivo costituito dall’accertamento dell’elaborato peritale.
6 . Con l’ultimo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. 873 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.
La Corte d’Appello avrebbe erroneamente rigettato la domanda di arretramento del manufatto in muratura realizzato sulla proprietà del Passalacqua, ritenendo provato che la sua edificazione fosse anteriore al 1942 sulla scorta della dichiarazione di atto notorio del convenuto, supportata dal contenuto della diffida stragiudiziale inviata nel 1992 dall’avvocato NOME COGNOME quando , in tale ultimo documento, l’anno 1842 citato non riguarderebbe affatto il detto manufatto. Pertanto, l’assenza di riferi menti certi avrebbe comportato l’impossibilità di ritenere provata l’anteriorità di edificazione del manufatto al 1942, con la conseguente violazione dell’art. 115 c.p.c. , per aver deciso in forza di una circostanza rimasta priva di dimostrazione.
Il motivo è anch’esso fondato.
La dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria solo nei rapporti con la P.A. e non in sede giurisdizionale nelle liti tra privati (Sez. 5, n. 18374 del 9 luglio 2019; Sez. 3, n. 4556 del 26 febbraio 2014).
E’ dunque priva di valore confessorio, ex art. 229 c.p.c., essendo precostituita a favore e non contro il dichiarante, e non potendo neppure essere considerata in termini di autoresponsabilità, come ipotizzabile avanti la Pubblica Amministrazione.
Non ha quindi neppure la dignità di mero indizio, che vorrebbe attribuirgli la Corte d’appello, la quale pretenderebbe di ricavarne un principio di prova ex abrupto a favore del COGNOME , tra l’altro in riferimento alla conferma di un elemento determinante nel contesto della causa, come la data di costruzione dell’immobile, ai fini dell’applicazione delle norme in tema di distanze.
La neutralità del suddetto atto, peraltro sottolineata incidentalmente dalla stessa Corte, rimane dunque inalterata, anche a fronte della diffida dell’avv. NOME COGNOME del 15 aprile 1992, secondo il quale l’immobile sarebbe risultato costruito nel 1842.
E tanto a prescindere dal contenuto della missiva, ritrascritto nel ricorso, che indica chiaramente come l’anno 1842 sia riferito all’erezione dell’abitazione principale e non del ripostiglio. Conseguentemente, anche a voler per un attimo condividere l’errato ragionamento della Corte territoriale, si annullerebbe il rilievo probatorio dell’autocertificazione dell’odierno intimato, rimasta comunque priva di riscontro.
La sentenza impugnata va in definitiva cassata.
Il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’appello dell’Aquila , in diversa composizione, dovrà valutare l’originaria domanda, in relazione ai principi di cui sopra e regolare le spese di lite, anche con riferimento alla presente fase di legittimità.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione civile, accoglie il primo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo del ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello dell’Aquila in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 29 maggio 2025