Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10600 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 10600 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Oggetto
Dott. NOME COGNOME
Presidente
DISTANZE
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 27/03/2025
Dott. NOME COGNOME
Rel. Consigliere R.G.N. 26798/2019
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 26798/2019 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO LECCE n. 801/2018 depositata il 20/08/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Sostituto Procuratore generale in persona del dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto di tutti i motivi di ricorso; uditi gli avvocati COGNOME per la ricorrente e NOME COGNOME per la controricorrente;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME premesso di essere proprietaria di immobile in Casalini (BR) confinante con altro di NOME COGNOME, lamentava come quest’ultima avesse sopraelevato il muro posto sul confine delle proprietà e che, costituendo corpo di fabbrica, avesse violato la normativa in materia di distanze legali (di cui al D.M. n. 1444 del 02.04.1968) nonché dei diritti di veduta, di aria e di luce. Pertanto, chiedeva al Tribunale di Brindisi la condanna della convenuta alla rimozione della sopraelevazione ed al risarcimento dei danni.
Si costituiva in giudizio la convenuta chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Brindisi, sulla base delle conclusioni della consulenza tecnica, rigettava la domanda attorea indicando il muro controverso quale muro di cinta, realizzato nel rispetto delle distanze e prescrizioni normative.
COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Lecce rigettava l’appello.
In primo luogo, evidenziava che l’esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni si applicava sia ai muri di cinta che agli altri
manufatti comunque idonei a delimitare un fondo e con la funzione di demarcare la linea di confine e di recintare.
I requisiti del muro di cinta escluso dal computo delle distanze, ai sensi dell ‘ art. 878 c.c., erano: a) di essere isolato, nel senso che le facce di esso emergano dal suolo e siano distaccate da ogni altra costruzione; b) di essere destinato alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura delle proprietà limitrofe; c) di avere un’altezza non superiore ai tre metri. Fuori da tali casi, il muro andava considerato come una costruzione vera e propria (c.d. muro di fabbrica) ai fini del rispetto delle distanze legali.
L’esenzione si applicava anche ai manufatti che, pur carenti dei requisiti indicati, erano comune idonei a delimitare un fondo ed avevano ugualmente la funzione e l’utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo (Cass., Sez. II, 16.02.2015, n. 3037; Sez. II 25.06.2001 n. 8671).
Ciò premesso, secondo la Corte doveva condividersi quanto deciso dal primo giudice sulla base delle conclusioni della consulenza tecnica. Non vi era ragione, in assenza di elementi tecnici di contrario avviso, per concludere diversamente, dovendosi ritenere – con il consulente – che ” … ii muro oggetto di causa può definirsi a tutti gli effetti ‘muro di cinta”‘ … (pag. 2 relazione integrativa). Tale giudizio era stato espresso dal consulente sia graficamente, sia con precise misurazioni, fin dalla sua prima relazione. In particolare, a parte ogni altra valutazione, elemento dirimente era l’altezza del muro in questione, risultata variabile da mt. 2.20 a mt. 2.77 e, dunque, inferiore ai tre metri di cui alla norma di riferimento. Tale qualità già di per sé era idonea a qualificare il muro oggetto di causa come muro di cinta.
Per completezza in merito alla lesione dei diritti di veduta, area e luce lamentata dall’attrice il muro divisorio preesistente non poteva dar luogo all’esercizio di una servitù di veduta sia perché aveva solo la funzione di demarcazione del confine a tutela del fondo, sia perché consentendo di inspicere e prospicere sul fondo altrui, non era idoneo ad assoggettare un fondo all’altro a causa della reciproca possibilità di affaccio da entrambi i fondi confinanti.
COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Parte ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma I, n. 5, c.p.c.) relativamente all’erronea rappresentazione grafica dei luoghi operata dal Consulente tecnico d ‘ ufficio che non ha riportato graficamente la presenza di un altro muro di fabbrica al quale si è collegato il manufatto eseguito dalla sig.ra COGNOME oggetto del contendere così perdendo la condizione di “muro isolato” e realizzando una intercapedine.
1.2 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
La sentenza impugnata nel rigettare l’appello è conforme a quella di primo grado il che rende inammissibile il motivo in esame. Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: Nell’ipotesi
di ‘doppia conforme’ prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento non svolto.
Il ricorrente con la memoria sostiene che la sentenza di appello non sia del tutto conforme a quella di primo grado e ciò renderebbe ammissibile il motivo relativo all’omesso esame di un fatto decisivo.
Deve osservarsi che l’onere del ricorrente di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello e di dimostrare che sono tra loro diverse deve essere assolto con il ricorso e il mancato assolvimento del suddetto onere di allegazione non può essere sanato con la memoria ex art. 378 c.p.c.. In proposito si è già avuto modo di evidenziare che: L’eventuale vizio del ricorso per cassazione non può essere sanato da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’art. 380 bis, comma 2, c.p.c., la cui funzione – al pari della memoria prevista dall’art. 378 c.p.c., sussistendo identità di “ratio” – è di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli (Cass. Sez. 2, 28/11/2018, n. 30760, Rv. 651598 01).
In ogni caso, le sentenze di primo e secondo grado si fondano sul medesimo percorso argomentativo sicché deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di
fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022, Rv. 664193 – 01).
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360, comma I, n. 3, c.p.c.) per omessa valutazione di elementi probatori in merito alle cui risultanze parte ricorrente ha esplicitamente dedotto la decisività in relazione alle caratteristiche del manufatto realizzato che non delimita l’intera proprietà della sig.ra COGNOME NOME, ma solo un tratto di mt. 12,60, e che è congiunto in maniera stabile a preesistenti fabbricati tanto da non poter essere considerato “muro isolato”
2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Deve premettersi che in ordine alle caratteristiche del muro la Corte d’Appello ha evidenziato che, in ogni caso, lo stesso poteva qualificarsi come muro di cinta vista la sua altezza e la sua funzione di delimitazione dei confini. Pertanto, la censura di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è inammissibile, risolvendosi espressamente nella richiesta di rivalutazione degli elementi istruttori, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che
per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016, Cass. S.U. n. 16598/2016). Inoltre, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di
motivazione. (Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02).
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione o falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. (art. 360, comma l, n. 3, c.p.c.) per avere la Corte d’Appello: a) prestato acritica adesione alla CTU di primo grado senza specificamente motivare in ordine ai rilievi contenuti nell’atto di appello (circa detta consulenza) e senza disporre la integrazione e/o rinnovazione delle operazioni peritali; b) condiviso le conclusioni peritali basate su una metodologia valutativa errata, trascurando di considerare l’erronea rappresentazione grafica dello stato dei luoghi.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
La censura proposta come vizio di motivazione è inammissibile. Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014); – nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte
d’Appello ha sufficientemente motivato sulle caratteristiche intrinseche del muro evidenziando con chiarezza il percorso logico giuridico posto a fondamento della decisione.
Quanto al mancato rinnovo della CTU non può che ribadirsi che: «In tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova ctu, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto» (Cass. Sez. 3, 29/09/2017, n. 22799, Rv. 645507 – 01).
Quanto all’adesione alle conclusioni del consulente, esso non è stato acritico bensì motivato come si è detto in riferimento al motivo precedente.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 873 e 878 c.c., dell’art. 9 D.M. 1444 del 2.04.1968, del Regolamento edilizio comunale di Cisternino allegato al P.R.G. pubblicato sul B.U.R.P. n. 9 del 17.01.2007 (art. 360, comma I, n. 3, c.p.c.), relativamente: – alla qualificazione del muro oggetto di causa quale muro di cinta; – al rispetto della distanza legale dalle pareti finestrate; -alle caratteristiche costruttive dei muri di recinzione.
4.1 Il quarto motivo di ricorso è infondato.
In proposito è sufficiente il richiamo al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui: L’esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni, prevista dall’art. 878 c.c., si applica sia ai muri di cinta, qualificati dalla destinazione alla recinzione di una determinata proprietà, dall’altezza non superiore a tre metri, dall’emersione dal suolo nonché dall’isolamento di entrambe le
facce da altre costruzioni, sia ai manufatti che, pur carenti di alcuni di tali requisiti, siano comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente la funzione e l’utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo (Cass. Sez. 2, 24/11/2020, n. 26713, Rv. 659725 – 01).
La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione di tale principio di diritto e l’accertamento in fatto delle caratteristiche del muro e della sua funzione non sono sindacabili in sede di giudizio di legittimità. Nessuna violazione delle norme indicate nella rubrica del quarto motivo pertanto è possibile riscontrare e la complessiva censura proposta dal ricorrente, anche là dove denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto emerse nel giudizio di merito.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
7 . Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte contro ricorrente che liquida in euro 3500 più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione