Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13155 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13155 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13973/2020 R.G. proposto da:
COGNOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME
-ricorrenti-
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOMEcontroricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 134/2020 depositata il 15/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Milano, con la sentenza i n epigrafe, ha riformato la sentenza del locale Tribunale, resa nel contraddittorio fra COGNOME NOME, da un lato, COGNOME NOME e COGNOME NOME, dall’altro. Il COGNOME, aveva chiesto che i convenuti, proprietari di una villetta a schiera adiacente la villetta dell’attore , fossero
condannati a demolire il patio costruito nel loro giardino, in quanto collocato a distanza dal fabbricato dell’attore inferiore a quella prescritta. Il Tribunale ha rigettato la domanda, riconoscendo l’esistenza sul confine di un muro qualificabile quale muro di cinta, in quanto separato dal patio, essendovi fra l’uno e l’altro uno spazio sufficiente a far passare una persona; in quanto al patio realizzato dietro al muro, il T ribunale ha affermato che l’attore non a veva allegato alcun elemento utile per accertare la violazione delle norme sulle distanze.
La Corte d’appello, adita dall’attore, ha riformato la sentenza accogliendo la domanda; conseguentemente, ha condannato i convenuti alla riduzione in pristino (fino al rispetto della distanza di tre metri dal confine) e al risarcimento del danno. In particolare, la corte di merito ha accertato che il muro edificato sul confine non fosse muro di cinta, formando piuttosto un corpo unitario con il patio realizzato dietro di esso.
Per la cassazione della decisione COGNOME NOME ha proposto ricorso sulla base di due motivi. COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso, depositando anche la memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 158 e 174 cc c.p.c.) solleva la questione di legittimità costituzionale delle norme racchiuse nel Titolo III, Capo I, della l. n. 98 del 2013, nella parte in cui si consente che possano far parte dei collegi delle Corti d’appello giudici ausiliari.
Il motivo è infondato.
La questione di legittimità costituzionale sollevata con il primo motivo è in realtà insussistente e superata dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 41/2021, che ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale di quelle disposizioni, contenute nel d.l. n. 69 del 2013 (conv. con modif. nella l. n. 98 del 2013), che conferiscono al giudice ausiliario di appello lo status ” di componente dei collegi nelle sezioni delle corti di appello, queste ultime potranno legittimamente continuare ad avvalersi dei giudici ausiliari, fino a quando, entro la data del 31/10/2025, si perverrà ad una riforma complessiva della magistratura onoraria; fino a quel momento la temporanea tollerabilità costituzionale dell’attuale assetto è volta ad evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le corti di appello dei giudici onorari al fine di ridurre l’arretrato nelle cause civili (Cass. n. 12552/2922; n. 32065/2021; n. 15045/2021).
Il secondo motivo denunzia violazione o falsa applicazione dell’ art. 878 c.c. Si sostiene che il muro realizzato dagli attuali ricorrenti presenta tutte le caratteristiche per essere qualificato come muro di cinta, sia in relazione alla sua altezza, inferiore a tre metri, sia perché isolato rispetto ad altre costruzioni da entrambe le facce, tenuto conto che appena dietro allo stesso vi è uno spazio sufficiente a far passare una persona , tant’è che gli attuali ricorrenti hanno collocato su tale spazio delle piante sempre verdi. Si sostiene ancora da parte dei ricorrenti che l ‘esistenza di questo spazio impediva di considerare il muro come una parte del patio realizzato dietro di esso. La decisione, inoltre, è oggetto di censura nella parte in cui la C orte d’appello ha riconosciuto che, anche a voler prescindere dal muro, il patio si troverebbe comunque a distanza non regolamentare. Con riferimento a tale affermazione, i ricorrenti denunziano che la C orte d’appello non a vrebbe considerato che misura di tre metri, stabilita dall’art. 873 c.c.,
riguarda la distanza tra costruzione su fondi confinanti e non tra una costruzione e il confine del fondo.
Anche questo motivo è infondato.
Secondo la costante giurisprudenza, muro di cinta ai sensi dell’art. 878 c.c., non considerabile ai fini del computo delle distanze fra le costruzioni, è solo quello con facce emergenti dal suolo che, essendo destinato alla demarcazione della linea di confine e alla separazione dei fondi, si presenti separato da ogni altra costruzione. Pertanto, non è da ritenere di cinta un muro che risulti eretto in sopraelevazione di un fabbricato, in corrispondenza di un solaio – terrazza di copertura di questo, con funzione di chiusura di un lato di tale terrazza, posto che un simile manufatto non si configura separato dall’edificio cui inerisce e resta nel medesimo incorporato (Cass. n. 1083/1996; n. 12459/2004; n. 4742/2014; n. 10265/2016; n. 8922/2017). Pertanto, requisiti essenziali del muro di cinta sono l’isolamento delle facce, l’altezza non superiore a m. 3, la sua destinazione alla demarcazione della linea di confine ed alla separazione e chiusura della proprietà.
La C orte d’appello, dop o avere richiamato la nozione di muro di cinta, ha riconosciuto che la parete realizzata dagli attuali ricorrente non aveva i requisiti richiesti per essere considerata tale, in considerazione del fatto che esso era stato originariamente edificato su un manufatto già rialzato rispetto al terreno, costituendo «parte integrante e muro laterale del patio costruito dagli appellati , così come della scala e dei muri adiacenti che conducono ai locali sotterranei dell’edificio del sig. Caldera». La corte di merito ha aggiunto che «successivamente su tale muretto è stato costruito un ulteriore muro in cemento che ha chiuso pressoché integralmente la visione sul patio degli appellati,
confermando le caratteristiche di una costruzione unitaria costituita dall’insieme dei manufatti suddetti». A tala descrizione, operata sulla base sia dei «fotogrammi allegati alla consulenza di parte , sia degli elaborati progettuali prodotti dal sig. COGNOME e non contestati», la corte di merito ha aggiunto la seguente considerazione: «in tal senso non riveste particolare rilievo il fatto che appena dietro tale muro vi sia lo spazio sufficiente per far passare una persona, trattandosi di zona interna alla costruzione del patio o comunque del manufatto di cui fa parte il muro e non di un’area di transito e di calpestio posta direttamente sul suolo su cui dovrebbe essere edificato il muro». La Corte d’appello ha proseguito nella propria analisi, rilevando che il patio aveva tutte le caratteristiche per essere considerato costruzione, soggetta alle norme sulle distanze, da considerare un tutt’uno rispetto al muro; ha aggiunto che, «quand’anche il muro dovesse ritenersi di cinta con gli effetti di cui all’art. 878 c.c. , il patio si troverebbe comunque a distanza non regolamentare».
Il confronto fra i principi applicabili in materia e il contenuto della decisione non fa emergere errori di diritto nei quali sia incorsa la C orte d’appello. In rapporto alle caratteristiche del muro, quale emergono dagli accertamenti in fatto contenuti nella sentenza impugnata, non sono infatti ravvisabili i requisiti del muro di cinta.
La ricorrente richiama un principio, talvolta affermato della giurisprudenza, secondo cui per la qualificazione del muro, riguardo alla funzione, deve farsi riferimento alla funzione prevalente alla quale esso assolve (Cass. n. 2887/1987). È stato quindi chiarito che la semplice funzione di appoggio che il muro di cinta possa esercitare rispetto ad una parte accessoria dell’immobile, non imprimendo al muro stesso un accrescimento e consolidamento
della sua originaria consistenza, non vale a trasformarlo, ai fini delle norme sulle distanze, in muro di fabbrica, poiché per la sua identificazione deve farsi riferimento alla funzione prevalente cui esso assolve (Cass. n. 3037/2015 richiamata nel ricorso; cfr. Cass. n. 26713/2020). In rapporto alla ricostruzione in fatto che emerge dalla sentenza impugnata, tale richiamo non apporta alcun argomento in favore della tesi dei ricorrenti, in presenza di un accertamento in fatto, qui non ripetibile, secondo cui il muro è parte integrante del patio.
L’ulteriore censura mossa con il motivo in esame ( e cioè che la corte di merito, nel riconoscere che anche a voler prescindere dal muro, il patio si troverebbe comunque a distanza non regolamentare, non avrebbe considerato che la misura di tre metri riguarda la distanza fra costruzioni e non tra una costruzione e il confine del fondo) è inammissibile. La ratio decidendi della sentenza impugnata deve essere identificata nell’accertamento che il muro è parte integrante del patio. È quindi inevitabile riconoscere che le ulteriori considerazioni censurate con il motivo in esame, nella logica della decisione, sono proposte in via di pura ipotesi: in altre parole, la Corte d’appello ha voluto dire che, seppure il muro non esistesse, la violazione delle distanze sussisterebbe ugualmente, con riferimento al patio; quindi, che l ‘accoglimento della diversa tesi non avrebbe comunque giustificato una decisione diversa nei rapporti fra le parti in causa. Ora, costituisce principio acquisito che le affermazioni ad abundantiam e proposte in via di mera ipotesi, in quanto prive di efficacia determinante sulla decisione, sono estranee alla ratio decidendi e non possono condurre, anche se inesatte, all’annullamento della sentenza (Cass. n. 802/1972; n. 804/1972; n. 10420/2005). È stato anche chiarito
che non è nemmeno configurabile un contrasto logico ove il giudice, posta una tesi a fondamento della decisione, conceda subordinatamente, solo in via di ipotesi, l’esattezza di altra tesi incompatibile con la prima al fine di dimostrare che, comunque, la decisione non potrebbe essere diversa. In tal caso, infatti, svolgendosi le argomentazioni su diversi piani logici, non sussiste quell’apprezzamento antitetico della stessa realtà giuridica sotto lo stesso profilo, il quale appunto rende inconciliabile le ragioni adottate.
In conclusione, non merita censura la sentenza che ha applicato la distanza dai confini prevista dalle NTA del Comune di Limbiate (cfr. pag. 10).
Il ricorso deve essere perciò rigettato, con addebito di spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente, liquidate in € 4 .000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda