Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19722 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 19722 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 9571/2020 R.G. proposto da:
COGNOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrenti- contro
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME -controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n.2746/2019 depositata il 19.11.2019. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
26.6.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 2011, COGNOME NOME, proprietaria di un fabbricato in Viareggio, INDIRIZZO conveniva innanzi al Tribunale di Lucca COGNOME NOME e COGNOME NOME, sostenendo che sul fabbricato contiguo, di proprietà dei convenuti, erano stati effettuati interventi edilizi in parte in violazione delle distanze legali ed in parte con sconfinamento sulla sua proprietà.
In particolare, per quanto ancora rileva, l’attrice lamentava che i convenuti avevano realizzato il tetto ed il sottotetto, compresa la gronda, oltre la linea di confine. Pertanto, la Bassi chiedeva che gli stessi fossero condannati a rimuovere i predetti manufatti.
Costituendosi, i convenuti chiedevano la reiezione della domanda attorea, sostenendo che, al contrario, era stata l’attrice a violare le distanze e sconfinare nella contigua proprietà e che per l’accertamento di tali circostanze avevano promosso nei confronti della Bassi il separato giudizio al n. RG 4837/90 del Tribunale di Lucca.
Istruita la causa con una prima CTU e integrata da tre successive relazioni, il Tribunale di Lucca, con la sentenza n. 214/2011, accoglieva parzialmente la domanda di parte attrice, e condannava i convenuti a rimuovere la parte di tetto e di gronda del fabbricato di loro proprietà, sconfinante sulla proprietà della Bassi. In particolare, il Tribunale riteneva che il confine tra i due fabbricati fosse individuato dalla linea di aderenza fra gli stessi, desumibile dalle diversità dei materiali impiegati e dei colori dei due edifici.
Avverso la predetta sentenza, COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano appello, deducendo l’errata individuazione della linea di confine tra i due fabbricati, che doveva ritenersi rappresentata
dal muro comune, nel quale erano compenetrate le mura di entrambi i fabbricati, non ricorrendo le condizioni dell’aderenza stabilite dall’art. 877 cod. civ. e dovendosi individuare il confine nella linea di mezzeria del muro comune, ed aggiungevano che la ristrutturazione da loro eseguita dopo l’acquisto del 1978 era avvenuta senza operare modifiche della sagoma, del volume e delle distanze del preesistente fabbricato.
Con sentenza emessa in data 1.10/19.11.2019 n. 2746, la Corte d’Appello di Firenze, nella resistenza di NOME rigettava il gravame, compensando le spese di lite del doppio grado, e ponendo a carico delle parti per metà ciascuna le spese delle CTU espletate.
Il giudice di secondo grado, pur considerando come confine il muro comune che divideva i fabbricati, costruiti su un’originaria unica proprietà, confermava l’ordine di demolizione emesso dal Tribunale di Lucca, ritenendo sussistere lo sconfinamento del tetto e della gronda del fabbricato degli appellanti rispetto alla facciata esterna del muro comune dal lato della loro proprietà, ed escludendo che il confine potesse farsi coincidere con la linea mediana del muro medesimo.
Avverso questa sentenza, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso a questa Corte, affidandosi a due motivi, e COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale, le parti hanno depositato memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. .
Con ordinanza interlocutoria del 6.2.2025 la causa é stata rimessa alla pubblica udienza del 26.6.2025 per la questione di rilievo nomofilattico se in materia di distanze legali e dal confine, in ipotesi di ristrutturazione del tetto di un fabbricato e della gronda dello stesso, ai fini dell’individuazione di una nuova costruzione, soggetta alla normativa vigente all’epoca della ristrutturazione, sia decisivo accertare che vi sia stato un innalzamento rispetto alla condizione
precedente della linea di colmo del tetto, o sia sufficiente accertare un innalzamento della linea di gronda ed una modifica dell’inclinazione del tetto che abbiano comunque determinato un aumento di volumetria del fabbricato e conseguentemente della superficie di ingombro.
La Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso, e nell’imminenza dell’udienza pubblica le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la falsa applicazione degli articoli 873, 880, 885, 889 e ss. e 905 cod. civ..
Si dolgono i ricorrenti che la Corte d’Appello, pur avendo correttamente indicato nel muro comune che era stato realizzato quando i due fabbricati facevano parte di un’originaria unica proprietà, il confine tra i fabbricati delle parti costruiti in aderenza ad esso, quello dei ricorrenti con il tetto e la gronda appoggiati al muro comune ad un’altezza inferiore rispetto al tetto del fabbricato di COGNOME NOME, anziché nella linea di aderenza dei fabbricati delle parti, come erroneamente affermato dalla sentenza del Tribunale di Lucca, abbia poi confermato l’ordine di demolizione del tetto e della gronda del loro fabbricato, impartito in primo grado, per avere essi oltrepassato il confine rappresentato dalla faccia esterna del muro comune sul lato della loro proprietà.
Assumono i ricorrenti che in tal modo la Corte d’Appello abbia erroneamente applicato la giurisprudenza della Suprema Corte sui criteri di computo della distanza dal muro di confine previsti dagli articoli 873, 889 e ss. e 905 cod. civ. per le costruzioni, i manufatti, le piante, le siepi, i pozzi e le cisterne insistenti sulla proprietà limitrofa al muro di confine, e non per le costruzioni realizzate in appoggio al muro comune, e violando gli articoli 880 e 885 cod. civ., dai quali era desumibile che il muro che serviva di
divisione tra edifici si presumeva comune, e che esso poteva essere sopraelevato da ciascuno dei comproprietari, sobbarcandosi le spese di costruzione e di conservazione, salva la facoltà dell’altro comproprietario di rendere comune la porzione sopraelevata a norma dell’art. 874 cod. civ..
Osservano i ricorrenti, che a seguire l’interpretazione data dalla Corte d’Appello, verrebbero ad essere inibiti ai comproprietari del muro comune la sopraelevazione e l’uso a fini di appoggio e di immissione di travi del muro comune, che sono invece consentiti dagli articoli 885 e 884 cod. civ..
Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, invece, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c..
Si dolgono i ricorrenti che l’impugnata sentenza, pur avendo dato atto alla pagina 5 che gli appellanti, con uno specifico motivo d’impugnazione, avevano chiesto di riformare l’ordine di demolizione del tetto e della gronda emessi a loro carico in primo grado, in quanto essi nella ristrutturazione eseguita, dopo l’acquisto del fabbricato del 1978, avevano rispettato le preesistenze, senza operare modifiche di sagoma, volume e distanze, abbia poi omesso completamente di pronunciarsi su tale motivo di appello, ancorché NOME non avesse in alcun modo contestato, in primo ed il secondo grado, la circostanza che COGNOME NOME e COGNOME NOME si fossero limitati ad effettuare, in occasione della ristrutturazione, una mera ricostruzione del preesistente fabbricato.
Va esaminato prioritariamente il secondo motivo di ricorso, attinente ad un error in procedendo, e non ad un error in iudicando, motivo che deve ritenersi fondato.
Va escluso che l’impugnata sentenza abbia tacitamente rigettato il motivo di appello in questione degli attuali ricorrenti, per avere confermato, con diversa motivazione, l’ordine di demolizione del
tetto e della gronda del fabbricato dei predetti, non più perché insistenti sulla proprietà esclusiva di NOME, ma perché insistenti sul muro comune alle parti che divide i due fabbricati.
La Corte d’Appello, in realtà, non ha affatto esaminato la questione della posizione del tetto e della gronda del fabbricato degli appellanti prima della loro ristrutturazione, rispetto alla posizione degli stessi dopo la ristrutturazione, né ha motivato circa una loro diversità, in effetti neppure invocata da NOMECOGNOME per cui dalla decisione impugnata di conferma dell’ordine di demolizione é impossibile desumere se, e per quale ragione, la situazione del tetto e della gronda del fabbricato ora dei ricorrenti, anteriore alla ristrutturazione, sia stata ritenuta ininfluente sulla decisione adottata, per cui ricorre l’omessa pronuncia sullo specifico motivo di appello che era stato proposto, dotato peraltro di particolare rilievo perché é stato accertato che almeno in origine i due fabbricati facevano parte di un’unica proprietà, all’interno della quale ovviamente non erano ipotizzabili sconfinamenti.
Passando all’esame del primo motivo, la controricorrente ne eccepisce l’inammissibilità perché asseritamente afferente a questione nuova prospettata per la prima volta nel giudizio di legittimità.
L’eccezione é infondata, in quanto i ricorrenti, nell’appello, avevano specificamente dedotto che il confine tra le proprietà delle parti non poteva essere individuato nella linea di aderenza dei fabbricati, come ritenuto dal Tribunale di Lucca, dovendosi piuttosto identificare nel muro che separava i due fabbricati e che doveva presumersi comune ai sensi dell’art. 880 cod. civ., per cui la linea di confine doveva essere collocata, a loro avviso, sulla linea di mezzeria del muro comune.
Dal momento che il giudice di primo grado aveva individuato la linea di confine nella linea di aderenza dei fabbricati, del tutto ignorando la presenza del muro comune di confine, e che solo il
giudice di secondo grado aveva invece riconosciuto che il confine tra le proprietà delle parti era rappresentato da un muro comune, che era stato edificato quando entrambi i fabbricati facevano parte di un’unica proprietà, e che per valutare se il tetto e la gronda del tetto del fabbricato di COGNOME NOME e COGNOME NOME avessero sconfinato sulla proprietà di COGNOME NOME, occorresse riferirsi alla faccia esterna del muro comune sul lato della proprietà degli appellanti, solo contro la sentenza di secondo grado i ricorrenti potevano far valere il primo motivo di ricorso, peraltro inerente a questione giuridica rilevabile d’ufficio, e non richiedente nuovi accertamenti di fatto, e pertanto esaminabile nel merito da questa Corte, anche a garanzia del diritto di difesa dei ricorrenti, che diversamente risulterebbe pregiudicato.
Infondata é anche l’eccezione di inammissibilità ex art. 360 bis n. 1) c.p.c., sollevata dalla controricorrente, avverso il primo motivo di ricorso, basata sull’assunto che l’impugnata sentenza si sarebbe uniformata, nell’individuare la normativa applicabile, a giurisprudenza consolidata di questa Corte.
Ed invero l’impugnata sentenza ha richiamato le sentenze n.26941/2016, n.10041/2010, n. 7146/1990, n. 3393/1988, n.2499/1988, n. 340/1980 e n.2479/1987 di questa Corte, che però in caso di presenza di un muro comune sul confine, applicano il principio del calcolo della distanza dalla faccia esterna del muro comune sul lato prospiciente la cosa da tenere a distanza per costruzioni, manufatti, siepi, alberi, pozzi e cisterne, che siano collocati su una proprietà latistante rispetto al muro comune, ma senza appoggio al medesimo, per cui non sono correttamente riferibili alla fattispecie esaminata in questa sede, nella quale sia il tetto, che la gronda dei ricorrenti pacificamente sono appoggiati al muro comune.
Il primo motivo é fondato, in quanto se si seguisse l’interpretazione della Corte d’Appello, che per verificare la legittimità dell’appoggio,
su un muro comune di divisione tra edifici, di un fabbricato costruito in aderenza rispetto al muro, ha fatto riferimento, quale confine, alla faccia esterna del muro comune sul lato prospiciente il fabbricato in appoggio, criterio utilizzato dalla giurisprudenza di questa Corte per valutare la conformità a legge delle distanze legali dal confine prescritte per costruzioni, manufatti, siepi, alberi, pozzi e cisterne, che insistano esclusivamente sulla proprietà posta a lato del muro comune, ma senza alcun appoggio ad esso, si priverebbero di contenuto normativo sia l’art. 880 comma 1° cod. civ., secondo il quale il muro che serve alla divisione tra edifici si presume comune fino alla sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto, sia l’art. 885 cod. civ., che attribuisce ad ogni comproprietario la facoltà di sopraelevazione del muro comune facendosi carico delle spese di costruzione e di conservazione della parte sopraedificata, che può essere resa comune dal comproprietario della parte sottostante a norma dell’art. 874 cod. civ., e si finirebbe altresì per privare il comproprietario del muro comune della comproprietà, che include anche la facoltà di appoggio ed immissione di travi e catene nel muro comune a norma dell’art. 884 cod. civ..
Del resto la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che ‘ nel caso di proprietà delimitate da un muro comune, infatti, la linea di confine non si identifica con la linea mediana del muro medesimo, poichè su di esso, nonchè sull’area di relativa incidenza, i proprietari confinanti esercitano la contitolarità del rispettivo diritto per l’intera estensione ed ampiezza ‘ (Cass. 23.12.2016 n.26941; Cass. 7.5.1988 n. 3393; Cass 14.1.1980 n. 340).
Il giudice di rinvio, che si individua nella Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità in base all’esito finale della lite.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie entrambi i motivi del ricorso di COGNOME NOME e COGNOME, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26.6.2025