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Motivazione per relationem: quando è valida?

Una società cooperativa ha impugnato in Cassazione la revoca di un finanziamento pubblico, lamentando che la sentenza d’appello fosse nulla per motivazione insufficiente, in quanto si limitava a richiamare la decisione di primo grado (motivazione per relationem). La Suprema Corte ha respinto il ricorso, affermando la piena validità della motivazione per relationem quando il percorso logico del giudice risulta comunque chiaro e comprensibile. La Corte ha inoltre ribadito che il ricorso per Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio per riesaminare i fatti.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Motivazione per relationem: la Cassazione ne conferma la validità

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale della procedura civile: la validità della motivazione per relationem nei giudizi di appello. Il caso, che ha visto contrapposte una società cooperativa e un ente regionale per la revoca di un finanziamento pubblico, offre spunti importanti per comprendere i limiti del sindacato di legittimità e i requisiti di validità di una sentenza. Analizziamo la vicenda e la decisione della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: La Revoca del Finanziamento

Una società cooperativa sociale, beneficiaria di un contributo pubblico per un progetto di miglioramento agricolo, si è vista revocare il finanziamento da parte dell’ente regionale erogatore. La revoca era basata su presunti inadempimenti rilevati a seguito di controlli. La società ha contestato la legittimità degli atti di revoca e della richiesta di restituzione delle somme, portando la questione davanti al Tribunale.

Il giudice di primo grado ha respinto la domanda della cooperativa e, accogliendo la richiesta dell’ente, l’ha condannata a restituire le somme percepite. La decisione è stata quindi impugnata davanti alla Corte d’Appello.

L’Appello e la Critica alla Motivazione

La Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado, rigettando le doglianze della società. Quest’ultima, non soddisfatta, ha proposto ricorso per Cassazione, basando la propria impugnazione su tre motivi principali, tra cui spiccava la critica alla tecnica motivazionale usata dai giudici di secondo grado.

Le Doglianze della Società

La ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello non avesse svolto un reale riesame della decisione impugnata, ma si fosse limitata ad aderire acriticamente alle conclusioni del Tribunale. Secondo la società, la sentenza d’appello era viziata da una motivazione solo apparente, in quanto si richiamava per relationem (cioè, per riferimento) a quella di primo grado senza sviluppare un autonomo percorso argomentativo. Tale vizio, a dire della ricorrente, avrebbe violato le norme processuali che impongono al giudice di esporre le ragioni della propria decisione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla motivazione per relationem

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile e infondato, cogliendo l’occasione per ribadire principi consolidati in materia di motivazione delle sentenze e di limiti del giudizio di legittimità.

I Limiti del Vizio di Motivazione

La Corte ha innanzitutto chiarito che, a seguito delle riforme legislative, il vizio di motivazione denunciabile in Cassazione è stato circoscritto a casi eccezionali. Non basta più una motivazione ‘insufficiente’ o ‘contraddittoria’, ma è necessaria un’anomalia tale da tradursi in una violazione di legge. In pratica, la motivazione deve scendere al di sotto del cosiddetto “minimo costituzionale”: deve essere o del tutto assente, o meramente apparente perché composta da argomentazioni incomprensibili o palesemente illogiche.

Le Motivazioni della Suprema Corte

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che la sentenza della Corte d’Appello, sebbene sintetica e basata sulla tecnica della motivazione per relationem, non fosse affatto nulla. I giudici di secondo grado avevano chiaramente esaminato i motivi di appello e avevano esposto, in modo comprensibile, le ragioni per cui li ritenevano infondati, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice e aggiungendo ulteriori considerazioni. La decisione della Corte d’Appello, quindi, rendeva perfettamente percepibile il percorso logico-giuridico seguito, superando ampiamente la soglia del ‘minimo costituzionale’. La Suprema Corte ha inoltre dichiarato inammissibili le censure relative alla valutazione delle prove, ricordando che il giudizio di Cassazione non è una terza istanza di merito e non può essere utilizzato per ottenere un nuovo esame dei fatti della causa.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame conferma che la motivazione per relationem è uno strumento legittimo a disposizione del giudice d’appello, a patto che non si traduca in una acritica adesione alla decisione precedente, ma manifesti una valutazione critica e consapevole delle censure mosse dall’appellante. Per le parti in causa, ciò significa che contestare una sentenza d’appello per vizio di motivazione richiede la dimostrazione di una carenza argomentativa grave e radicale, non essendo sufficiente lamentare la sinteticità o la non condivisione del ragionamento del giudice.

Un giudice d’appello può motivare la sua decisione semplicemente richiamando le ragioni del giudice di primo grado?
Sì, può farlo attraverso la cosiddetta “motivazione per relationem”. La Corte di Cassazione ha chiarito che questa tecnica è valida a condizione che il percorso logico-giuridico seguito dal giudice sia comunque chiaro e percepibile, permettendo di comprendere le ragioni della decisione. Non è necessario riscrivere argomenti già esposti se vengono fatti propri in modo critico.

Cosa si intende per “vizio di motivazione apparente” dopo la riforma del 2012?
Secondo la Corte, un vizio di motivazione che rende nulla una sentenza si verifica solo quando la motivazione scende al di sotto del “minimo costituzionale”. Ciò accade quando è graficamente esistente ma obiettivamente incomprensibile, contraddittoria o illogica, al punto da non far trasparire il ragionamento del giudice. Una motivazione sintetica o che richiama altri atti non è, di per sé, apparente.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dal giudice di merito?
No, il ricorso in Cassazione non consente un riesame delle prove o una nuova valutazione dei fatti. La Corte ha ribadito che la contestazione per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è ammissibile solo se si lamenta che il giudice abbia basato la decisione su prove non prodotte dalle parti o abbia disatteso prove legali, non per una generica critica all’apprezzamento del materiale istruttorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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