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Motivazione per relationem: nullità della sentenza

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza della Corte d’Appello in una causa di lavoro pubblico relativa a differenze retributive. Il motivo principale è la carenza di motivazione: i giudici d’appello si erano limitati a richiamare precedenti sentenze senza spiegare come si applicassero al caso specifico. Tale pratica, nota come motivazione per relationem, è stata ritenuta insufficiente, portando alla nullità della decisione e al rinvio del caso per un nuovo esame.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Motivazione per relationem: quando un richiamo non basta

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha riaffermato un principio fondamentale del diritto processuale: la motivazione per relationem, ovvero il rinvio alle argomentazioni di un’altra sentenza, non può mai essere un escamotage per eludere l’obbligo del giudice di spiegare le proprie decisioni. Questo principio è stato il fulcro di un caso che ha visto contrapposti un’Azienda Sanitaria Locale e una sua dirigente in una controversia sulla retribuzione. Vediamo nel dettaglio cosa è successo e perché la sentenza d’appello è stata annullata.

I fatti di causa

La vicenda ha origine dalla richiesta di una dirigente di un’Azienda Sanitaria Locale di ottenere differenze retributive relative alla sua retribuzione di posizione, sia fissa che variabile, per diverse annualità. La dirigente sosteneva che il calcolo effettuato dall’ente ledeva il suo diritto a percepire il trattamento minimo previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL).

Inizialmente, la dirigente aveva ottenuto un decreto ingiuntivo. L’Azienda Sanitaria si era opposta, ma la Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, aveva dato ragione alla lavoratrice. La Corte territoriale, tuttavia, aveva basato la sua decisione quasi esclusivamente sul richiamo a proprie precedenti sentenze su casi ritenuti identici, senza un’analisi approfondita della fattispecie concreta.

Il ricorso e la contestata motivazione per relationem

L’Azienda Sanitaria ha impugnato la sentenza d’appello davanti alla Corte di Cassazione, sollevando diversi motivi. Il più importante, e quello che è stato accolto, riguardava la violazione dell’articolo 132 del codice di procedura civile. Secondo l’ente ricorrente, la motivazione della Corte d’Appello era solo apparente.

I giudici di secondo grado si erano limitati a citare altre loro decisioni, affermando che le questioni fossero identiche, senza però ricostruire i fatti specifici del caso in esame e senza spiegare perché i principi di diritto di quelle sentenze fossero applicabili. Questa tecnica di motivazione per relationem ha impedito di comprendere l’iter logico-giuridico seguito dalla Corte per arrivare alla sua conclusione.

La decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso, dichiarando la nullità della sentenza impugnata. Gli Ermellini hanno ricordato che, sebbene la motivazione per relationem a un precedente giurisprudenziale sia ammissibile, non esonera il giudice dal compiere un percorso argomentativo autonomo.

È necessario che la sentenza consenta di comprendere tre elementi chiave:
1. La fattispecie concreta analizzata.
2. L’autonomia del processo deliberativo compiuto dal giudice.
3. La riconducibilità dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato.

In assenza di questi requisiti minimi, la motivazione risulta carente e il provvedimento nullo.

Le motivazioni

Nel caso specifico, la Suprema Corte ha riscontrato che la decisione d’appello si esauriva nel mero riferimento a precedenti, omettendo completamente la ricostruzione dei fatti e la spiegazione del nesso logico tra il caso in esame e quelli citati. Questa carenza rendeva impossibile verificare la correttezza della decisione, configurando una motivazione “assolutamente carente”. Di conseguenza, la Corte ha cassato la sentenza e ha disposto il rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello, che dovrà riesaminare il merito della controversia, questa volta fornendo una motivazione completa ed esaustiva.

Le conclusioni

Questa ordinanza è un importante monito per i giudici di merito. La giustizia non può essere sbrigativa. Ogni decisione deve essere il risultato di un ragionamento trasparente e comprensibile, che permetta alle parti di capire perché si è giunti a una determinata conclusione e, se del caso, di poterla contestare efficacemente. La motivazione per relationem è uno strumento utile, ma va usato con rigore, altrimenti si trasforma in una negazione del diritto a una decisione giusta e motivata.

Che cos’è la ‘motivazione per relationem’ e quando è considerata valida?
È la tecnica con cui un giudice motiva la propria decisione richiamando le argomentazioni di un’altra sentenza. È valida solo se il giudice chiarisce i fatti del caso specifico e spiega in modo comprensibile perché i principi legali della sentenza richiamata sono applicabili, garantendo così la trasparenza del suo ragionamento.

Perché la sentenza della Corte d’Appello è stata annullata in questo caso?
È stata annullata perché la sua motivazione era meramente apparente. I giudici si sono limitati a citare proprie sentenze precedenti senza ricostruire i fatti della causa in esame e senza spiegare il collegamento logico. Questa omissione ha reso la motivazione totalmente carente e, di conseguenza, la sentenza nulla.

Cosa succede dopo l’annullamento della sentenza da parte della Cassazione?
La causa viene rinviata a un’altra sezione della stessa Corte d’Appello. I nuovi giudici dovranno esaminare nuovamente la questione e decidere nel merito, ma questa volta dovranno fornire una motivazione completa e autonoma, seguendo i principi indicati dalla Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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