Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34442 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34442 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12931/2023 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME -) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
IFIS NPL 2021-1 – RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in RAVENNA INDIRIZZO DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in FOGGIA INDIRIZZO DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 1848/2022 depositata il 22/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ai sensi dell’art. 619 c.p.c., NOME COGNOME propose opposizione di terzo avverso il decreto di trasferimento di alcuni fondi posti in Comune di Anzano di Puglia, di cui affermava la sua proprietà esclusiva per intervenuta usucapione e -a seguito del rigetto dell’istanza di sospensione conveniva NOME COGNOME aggiudicatario dei beni, nonché le altre parti della procedura esecutiva avanti il Tribunale di Foggia. Ritualmente costituitisi il COGNOME nonché la RAGIONE_SOCIALE, i n esito all’istruzione probatoria , con sentenza del 22 gennaio 2020, il giudice adito dichiarava inammissibile l’opposizione di terzo e rigettava la domanda di rivendicazione.
La predetta decisione era gravata dal soccombente COGNOME. Resisteva il solo COGNOME e con sentenza n. 906 del 22 dicembre 2020 l a Corte d’appello di Bari rigettava l’impugnazione . Osservava all’uopo che l’opposizione era stata inammissibilmente intrapresa dopo la vendita e l’assegnazione dei beni . Rilevava che il donante del COGNOME aveva dichiarato di avere acquistato i fondi in virtù di
un’usucapione non dichiarata giudizialmente , sicché il titolo non era idoneo neppure in astratto a determinare il trasferimento del diritto reale, né vi era la prova del possesso dei danti causa dell’appellante , giacché le emergenze istruttorie risultavano insufficienti a determinare l’esatta individuazione dei fondi ed ad integrare la prova dell’elemento psicologico del possesso.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di tre motivi. Hanno depositato controricorso il COGNOME e la IFIS NPL 2021-1 RAGIONE_SOCIALE società derivante dalla fusione di FBS s.p.a. con IFS RAGIONE_SOCIALE.a.
A seguito della proposta ex art. 380 bis c.p.c., il ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha chiesto la decisione della causa, che è stata portata alla discussione della camera di consiglio, nel corso dell’odierna udienza.
Il ricorrente e la RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria nei termini di legge.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, il collegio dà atto che non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis. c.p.c., atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sezioni Unite sentenza n. 9611 del 10 aprile 2024).
Il controricorrente COGNOME ha eccepito l’inammissibilità del ricorso , perché non notificato anche a NOME COGNOME già parte contumace dei gradi di merito.
Osserva il Collegio che non si verte in tema di inammissibilità, ma semmai in tema di mancata instaurazione del litisconsorzio processuale. Tuttavia, attesa l’infondatezza del ricorso, come si vedrà a breve, non è necessario disporre la rinotifica, stante l’irrilevanza della stessa anche nel rispetto del principio di
ragionevole durata del processo (Sez. 6-3, n. 8980 del 15 maggio 2020; Sez. 2, n. 12515 del 21 maggio 2018).
Con la prima doglianza, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 132 comma 2° n. 4 c.p.c.
La Corte d’appello avrebbe motivato per relationem la propria decisione, senza alcuna critica ai motivi di appello.
Il motivo è manifestamente infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, la sentenza d’appello può essere motivata per relationem , purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la Corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Sez. 1, n. 20883 del 5 agosto 2019; Sez. 5, n. 21443 del 6 luglio 2022; Sez. 6-2, n. 459 del 10 gennaio 2022; Sez. L., n. 28139 del 5 novembre 2018).
Nella specie, la Corte d’appello ha integrato e completato le ragioni addotte dal primo giudice, in relazione ai motivi di gravame, correttamente ed ampiamente illustrati.
D’altronde, l a riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022)
La sentenza di appello, nel suo complesso, si pone ben al di sopra del minimo costituzionale.
Attraverso la seconda censura, proposta ai sensi dell’art. 360 nn. 4 e 5 c.p.c., il Rigillo deduce la nullità della sentenza, in relazione agli artt. 132 comma 2° n. 4 c.p.c. e 111 Cost., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, costituito dall’esistenza di un giudicato implicito in dipendenza indissolubile con il giudizio de quo , lamentando che i giudici di secondo grado avrebbero ignorato il giudicato formatosi nel processo possessorio.
Il motivo è, nel suo complesso, inammissibile.
Con riguardo alla prospettata violazione del l’art. 132 comma 2° c.p.c. vale quanto detto poc’anzi .
Per ciò che invece conc erne il richiamo all’omesso esame di un fatto decisivo , come correttamente rilevato nella proposta ex art 380 bis c.p.c., l ‘esito dei giudizi di merito prospetta l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 360, comma 4° c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. La relativa declaratoria è imposta non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 2, n. 7724 del 9 marzo 2022; Sez. 6-3, n. 15777 del 17 maggio 2022; Sez. L, n. 24395 del 3 novembre 2020).
Conseguentemente, quando ricorre la predetta ipotesi, il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro
diverse (Sez. 3, n. 26924 del 20 settembre 2023; Sez. 3, n. 5947 del 28 febbraio 2023). Nel ricorso, manca qualunque accenno in tal senso.
E tanto a voler sottacere che, nel giudizio possessorio, l’accoglimento della domanda prescinde dall’accertamento della legittimità del possesso, perché è finalizzato a dare tutela ad una mera situazione di fatto avente i caratteri esteriori della proprietà o di un altro diritto reale. Ne consegue che il giudicato formatosi sulla domanda possessoria è privo di efficacia nel giudizio petitorio avente ad oggetto l’accertamento dell’avvenuto acquisto del predetto diritto per usucapione, in quanto il possesso utile ad usucapire deve avere requisiti che non vengono in rilievo nei giudizi possessori (Sez. 2, n. 10925 del 23 aprile 2024; Sez. 2, n. 27513 del 2 dicembre 2020; Sez. 2, n. 2300 del 5 febbraio 2016).
Con il terzo mezzo di impugnazione, proposto anch’esso ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., il Rigillo deduce la nullità della sentenza, in relazione agli artt. 132 comma 2° n. 4 c.p.c. e 111 Cost., nonché la violazione degli artt. 1158, 1159 c.c. e degli artt. 115-116 c.p.c., per avere i giudici di secondo grado escluso l’idoneità degli elementi probatori acquisiti a determinare l’acquisto da parte del possessore della proprietà per usucapione.
Il motivo è inammissibile.
Richiamati ancora una volta i principi in tema di ‘minimo costituzionale’ di cui sopra, giova aggiungere che la doglianza si risolve in una critica alla ricostruzione dei fatti da parte del giudice di appello.
E’ dunque opportuno ricordare in proposito che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la
revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020).
In punto di diritto, occorre aggiungere che il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (” demonstrandum “), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (” demonstratum “), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Sez. 1, n. 9507 del 6 aprile 2023).
Le condizioni che precedono non ricorrono nel caso di specie.
In altri termini, la differente lettura delle risultanze istruttorie proposta dal ricorrente non tiene conto del principio per il quale la doglianza non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U, n. 24148 del 25 ottobre 2013).
È, in conclusione, inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).
Sussiste inoltre un altro e decisivo rilievo: la tesi del ricorrente, secondo cui la prova del possesso ad usucapionem si trarrebbe dalla perdurante attività di
coltivazione , s’infrange con tro la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui la mera coltivazione non è sufficiente a dimostrare l’intenzione del possessore di esercitare sul bene immobile una relazione materiale configurabile in termini di ius excludendi alios , poiché tale attività è pienamente compatibile con una relazione materiale fondata su un titolo convenzionale o sulla mera tolleranza del proprietario e non esprime, comunque, un’attività idonea a realizzare esclusione dei terzi dal godimento del bene che costituisce l’espressione tipica del diritto di proprietà (Sez. 2, n. 1796 del 20 gennaio 2022; Sez. 2, n. 6123 del 5 marzo 2020).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore di ciascuno dei controricorrenti, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo.
Al rigetto del ricorso, conforme alla proposta di definizione anticipata, consegue altresì, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., vigente l’ art. 96, co. 3 e 4, cod. proc. civ., la condanna del ricorrente al pagamento in favore di ciascuna delle controparti e della cassa delle ammende, delle somme, stimate congrue, di cui in dispositivo (cfr. Sez. U. n. 27195 del 22 settembre 2023).
La Corte da atto che ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore di NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.800 (mille/800) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 %, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge, ed in favore della IFIS RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.800 (mille/800) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 %, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Condanna, altresì, il ricorrente al pagamento dell’ulteriore somma di € 1.800 (mille/800) in favore dei ciascuno dei controricorrenti, ai sensi dell’art. 96, co.
3, cod. proc. civ.; nonché della somma di € 1.000 (mille) , ai sensi dell’art. 96, co. 4, cod. proc. civ., in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2024.