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Motivazione per relationem: legittima in appello

Un terzo si opponeva alla vendita forzata di alcuni terreni, sostenendo di averli acquisiti per usucapione. Sia il tribunale che la corte d’appello hanno respinto le sue richieste. La Corte di Cassazione ha confermato tali decisioni, rigettando il ricorso e chiarendo la legittimità della motivazione per relationem quando il giudice di secondo grado non si limita a un mero richiamo, ma integra e completa il ragionamento del primo. La Corte ha inoltre ribadito che la semplice coltivazione di un fondo non è sufficiente a dimostrare l’intenzione di possederlo come proprietario, necessaria per l’usucapione.

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Motivazione per Relationem: La Cassazione ne Conferma la Piena Legittimità

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale della procedura civile: la motivazione per relationem. Questo principio consente a un giudice di motivare la propria sentenza facendo riferimento alle argomentazioni di un’altra pronuncia, tipicamente quella del grado precedente. La Corte ha stabilito che tale pratica è pienamente legittima, a condizione che non si traduca in un’adesione acritica, ma integri e completi il percorso logico-giuridico, rispondendo puntualmente ai motivi di gravame. La decisione offre anche importanti chiarimenti sui requisiti per la prova dell’usucapione.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine dall’opposizione di un terzo alla procedura esecutiva di vendita di alcuni terreni. L’opponente sosteneva di essere il proprietario esclusivo di tali fondi per averli acquisiti tramite usucapione. La sua richiesta di sospensione della procedura veniva respinta e i beni venivano aggiudicati a un’altra parte. L’opposizione veniva quindi giudicata inammissibile dal Tribunale di primo grado, che rigettava anche la domanda di rivendicazione della proprietà.

L’opponente soccombente impugnava la decisione dinanzi alla Corte d’Appello, ma anche in questo caso l’esito era negativo. La Corte territoriale confermava la sentenza di primo grado, osservando che l’opposizione era stata proposta tardivamente, dopo la vendita e l’assegnazione dei beni. Inoltre, i giudici evidenziavano come il presunto titolo di proprietà (basato su una donazione da parte di chi a sua volta affermava di aver usucapito i beni) non fosse idoneo a trasferire il diritto reale, poiché l’usucapione non era mai stata accertata giudizialmente. Infine, le prove raccolte erano state ritenute insufficienti a dimostrare il possesso utile ai fini dell’usucapione.

Contro questa seconda decisione sfavorevole, il soggetto proponeva ricorso per Cassazione, articolando tre motivi di doglianza.

L’Analisi della Corte: I Limiti della Motivazione per Relationem

Il ricorrente lamentava, in primo luogo, che la Corte d’Appello avesse motivato la propria decisione per relationem, ossia richiamando la sentenza di primo grado senza una critica autonoma. La Cassazione ha respinto questo motivo, definendolo manifestamente infondato.

Secondo gli Ermellini, la giurisprudenza costante ammette la motivazione per relationem a patto che il giudice del gravame dia conto, anche sinteticamente, delle ragioni per cui conferma la decisione precedente, dimostrando di aver esaminato le questioni sollevate con l’appello. Nel caso specifico, la Corte d’Appello non si era limitata a un mero rinvio, ma aveva integrato e completato le argomentazioni del primo giudice, illustrando ampiamente e correttamente le ragioni del rigetto.

La Prova dell’Usucapione e l’Irrilevanza del Giudicato Possessorio

Un altro motivo di ricorso si basava sulla presunta omessa valutazione di un fatto decisivo: l’esistenza di un giudicato formatosi in un precedente giudizio possessorio. La Cassazione ha dichiarato anche questo motivo inammissibile, richiamando il principio della “doppia conforme”, che impedisce di censurare in Cassazione l’omesso esame di un fatto quando le decisioni di primo e secondo grado sono concordanti.

Inoltre, la Corte ha chiarito un punto fondamentale: il giudicato formatosi su una domanda possessoria non ha alcuna efficacia in un successivo giudizio petitorio (come quello per l’accertamento dell’usucapione). Il possesso tutelato in sede possessoria è una mera situazione di fatto, mentre il possesso utile per usucapire richiede requisiti più stringenti e l’intenzione di comportarsi come proprietario (animus possidendi), elementi che non vengono accertati nel primo tipo di giudizio.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha consolidato principi giurisprudenziali di notevole importanza. In primo luogo, ha ribadito che la valutazione delle prove è un’attività riservata esclusivamente al giudice di merito. In sede di legittimità, non è possibile criticare il “convincimento” del giudice o proporre una diversa interpretazione delle risultanze istruttorie. Il sindacato della Cassazione è limitato alle sole ipotesi di anomalia motivazionale, come la mancanza assoluta di motivi, la motivazione apparente o il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.

In secondo luogo, e con specifico riferimento al merito della causa, la Corte ha sottolineato che la semplice coltivazione di un terreno non è di per sé sufficiente a dimostrare l’intenzione del possessore di esercitare un potere corrispondente al diritto di proprietà, escludendo gli altri. Tale attività, infatti, è pienamente compatibile con una relazione materiale con il bene basata su un titolo diverso (es. un contratto di affitto) o sulla mera tolleranza del proprietario. Pertanto, la prova del possesso ad usucapionem richiede la dimostrazione di atti inequivocabilmente idonei a manifestare l’esclusione di terzi dal godimento del bene.

Le Conclusioni

La decisione in esame conferma la legittimità della motivazione per relationem come strumento di economia processuale, purché utilizzata in modo critico e non come scorciatoia per eludere l’obbligo di motivazione. L’ordinanza rappresenta anche un’importante lezione sulla prova dell’usucapione: chi intende far valere questo diritto in giudizio non può limitarsi a dimostrare di aver utilizzato il bene (ad esempio, coltivandolo), ma deve fornire la prova rigorosa di un possesso esclusivo, pubblico e pacifico, esercitato con l’inequivocabile intenzione di comportarsi come unico proprietario. Il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di sanzione per lite temeraria sottolineano la necessità di adire la Suprema Corte solo in presenza di vizi concreti e non per tentare una terza valutazione del merito della causa.

Una sentenza d’appello motivata per relationem è valida?
Sì, secondo la Corte di Cassazione è valida, a condizione che il giudice d’appello non si limiti a un richiamo acritico della sentenza di primo grado, ma dia conto delle ragioni della conferma in relazione ai specifici motivi di impugnazione, integrando e completando il ragionamento del primo giudice.

La semplice coltivazione di un terreno è sufficiente per dimostrare l’usucapione?
No. La Corte ha ribadito che la mera coltivazione non è sufficiente a dimostrare l’intenzione del possessore di esercitare sul bene un potere esclusivo tipico del proprietario (ius excludendi alios), poiché tale attività è compatibile anche con la semplice tolleranza del proprietario o con un rapporto contrattuale.

Una vittoria in un giudizio possessorio aiuta a dimostrare l’usucapione in un’altra causa?
No. La decisione afferma che il giudicato formatosi su una domanda possessoria è privo di efficacia nel successivo giudizio petitorio volto ad accertare l’usucapione. I requisiti del possesso utile per l’usucapione sono diversi e più stringenti di quelli richiesti per la tutela possessoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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