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Motivazione apparente: sentenza nulla se non spiega

Una confederazione di imprese ha citato in giudizio i suoi ex amministratori per mala gestio. Dopo due gradi di giudizio sfavorevoli, la Cassazione ha annullato la sentenza d’appello per motivazione apparente. La Corte ha stabilito che i giudici di merito non avevano adeguatamente spiegato le ragioni del rigetto, limitandosi a formule generiche sull’onere della prova e a rinvii tautologici, rendendo così impossibile ricostruire il loro percorso logico-giuridico. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello.

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Motivazione Apparente: La Cassazione Annulla la Sentenza che non Spiega

Una sentenza deve sempre essere motivata, ma cosa succede se la motivazione è solo di facciata? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento: una motivazione apparente equivale a una motivazione assente e determina la nullità della sentenza. Questo caso, nato da un’accusa di mala gestio contro gli ex vertici di una confederazione di imprese, offre un’importante lezione sull’obbligo del giudice di esporre un ragionamento chiaro, logico e comprensibile.

I Fatti di Causa

Una confederazione di imprese citava in giudizio il suo ex Presidente e il suo ex Direttore Generale, accusandoli di aver gestito in modo dannoso il patrimonio dell’ente. La richiesta era di risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti da una serie di atti di mala gestio.
Il Tribunale, in primo grado, rigettava la domanda. La confederazione proponeva appello, sostenendo, tra le altre cose, che il primo giudice avesse errato nel valutare i singoli episodi di presunta cattiva gestione in modo isolato (‘per compartimenti stagni’), senza considerarli nel loro insieme come parte di un’unica condotta dannosa.
Anche la Corte d’Appello, però, respingeva il gravame. Contro questa seconda decisione, la confederazione presentava ricorso in Cassazione, lamentando principalmente la violazione delle norme sulla motivazione della sentenza.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Motivazione Apparente

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a una diversa sezione della stessa Corte d’Appello per un nuovo esame.
Il cuore della decisione risiede nell’aver riconosciuto che la motivazione dei giudici d’appello era, appunto, ‘apparente’. I giudici di merito non avevano fornito una vera spiegazione per il rigetto dei motivi di appello, limitandosi a formule di stile e a rinvii generici che rendevano impossibile comprendere l’iter logico seguito.

Le Motivazioni

La Cassazione ha smontato punto per punto la fragile struttura argomentativa della sentenza impugnata.

In primo luogo, di fronte alla critica della confederazione riguardo alla valutazione ‘per compartimenti stagni’ effettuata dal Tribunale, la Corte d’Appello si era limitata a ribadire il principio generale secondo cui chi chiede un risarcimento ha l’onere di provare il danno in modo rigoroso per ogni singola condotta. Secondo la Cassazione, questa non è una risposta. La Corte d’Appello avrebbe dovuto spiegare perché l’approccio atomistico del primo giudice era corretto e perché, invece, una valutazione complessiva della gestione non fosse praticabile. Limitarsi a enunciare la regola sull’onere della prova senza applicarla al caso specifico e senza confrontarsi con il motivo di appello costituisce una motivazione apparente.

In secondo luogo, per rigettare altri motivi di appello (relativi a danni da conflitto di interessi e mancata adozione di procedure competitive), la Corte territoriale aveva fatto un semplice rinvio per relationem alle ‘medesime argomentazioni sopra espresse’. Ma se le argomentazioni precedenti erano già insufficienti e apparenti, il rinvio ad esse non può che essere altrettanto nullo. Si tratta di un ragionamento meramente tautologico che non aggiunge nulla alla comprensione della decisione.

La Suprema Corte ha ricordato che una motivazione è apparente quando impedisce qualsiasi controllo sul procedimento logico seguito dal giudice, perché basata su argomentazioni talmente generiche da poter essere applicate a qualunque controversia, o su affermazioni apodittiche e prive di un reale confronto con le specifiche questioni sollevate dalle parti.

Conclusioni

Questa ordinanza è un monito per tutti gli operatori del diritto. La giustizia non è solo decidere, ma anche spiegare perché si decide in un certo modo. Una motivazione chiara, completa e logicamente coerente non è un orpello formale, ma il fondamento della legittimità della giurisdizione e il presupposto per un efficace diritto di difesa. Quando un giudice si nasconde dietro formule di stile, rinvii tautologici o principi astratti senza calarli nella realtà del caso, non sta motivando, ma sta solo simulando di farlo. La conseguenza, come insegna la Cassazione, è la nullità della sentenza, con la necessità di rifare il processo, a garanzia della trasparenza e della razionalità del decidere.

Che cos’è una ‘motivazione apparente’ secondo la Cassazione?
È una motivazione che, pur essendo materialmente presente, risulta talmente generica, contraddittoria o tautologica da non permettere di comprendere il percorso logico-giuridico che ha portato il giudice alla decisione. Si verifica, ad esempio, quando il giudice si limita a citare principi generali senza applicarli al caso concreto.

Può un giudice rigettare diversi motivi di appello rinviando sempre alla stessa argomentazione?
No, se l’argomentazione a cui si rinvia è a sua volta generica e apparente. La Corte di Cassazione ha stabilito che un rinvio ‘per relationem’ a una motivazione già di per sé insufficiente rende il ragionamento meramente tautologico e, quindi, nullo.

Cosa accade quando la Corte di Cassazione accerta la nullità di una sentenza per motivazione apparente?
La sentenza impugnata viene ‘cassata’, cioè annullata. La causa viene quindi rinviata a un altro giudice dello stesso grado (in questo caso, un’altra sezione della Corte d’Appello) che dovrà riesaminare il caso e decidere nuovamente, attenendosi ai principi di diritto stabiliti dalla Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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