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Motivazione apparente: sentenza nulla se decide ultra petita

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza d’appello per motivazione apparente. Il caso riguardava una servitù di passaggio, dove la Corte d’Appello aveva individuato un percorso per l’esercizio del diritto che nessuna delle parti aveva richiesto, violando il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Secondo la Cassazione, una decisione che si discosta dalle domande e dai motivi d’appello, fornendo una soluzione autonoma e non richiesta, è viziata da motivazione apparente, poiché non rende percepibile l’iter logico-giuridico seguito.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Motivazione Apparente: Quando la Sentenza del Giudice è Nulla

Il principio secondo cui il giudice deve motivare le proprie decisioni è un cardine del nostro ordinamento. Ma cosa succede quando la motivazione è solo di facciata? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di motivazione apparente, un vizio grave che rende la sentenza nulla. Il caso analizzato riguarda una controversia su una servitù di passaggio, ma i principi affermati hanno una portata generale e fondamentale per comprendere i limiti del potere decisionale del giudice d’appello.

I Fatti: Una Servitù di Passaggio Contesa

La vicenda ha origine da un atto di donazione che costituiva una servitù di passaggio a favore di alcuni fratelli per accedere a un pozzo d’acqua situato su un terreno di proprietà di un altro fratello. L’atto specificava che il passaggio doveva avvenire lungo il “tratto più breve tra il vallone e il pozzo”.

Anni dopo, il terreno su cui insisteva il pozzo (fondo servente) viene venduto a nuovi proprietari, i quali recintano la proprietà e installano un cancello, rendendo più difficoltoso l’esercizio della servitù. Ne nasce una causa per determinare l’esatto tracciato del passaggio. Una consulenza tecnica d’ufficio (CTU) individua diversi percorsi possibili, identificati con colori diversi: verde, rosso e blu.

Il Percorso Giudiziario e l’Errore della Corte d’Appello

Il Tribunale di primo grado individua nel “percorso verde”, il più breve e quello di fatto utilizzato in passato, il corretto tracciato della servitù, ordinando ai proprietari del fondo servente di rimuovere recinzione e cancello.

Questi ultimi propongono appello, sostenendo che il percorso corretto sarebbe dovuto essere il “percorso rosso”, che costeggiava la loro proprietà senza attraversarla se non in prossimità del pozzo. In subordine, chiedevano, in caso di conferma del percorso verde, di poter semplicemente consegnare le chiavi del cancello anziché demolirlo.

La Corte d’Appello, tuttavia, compie un passo inatteso. Ignorando sia la richiesta principale degli appellanti (percorso rosso) sia la decisione del primo giudice (percorso verde), decide autonomamente di individuare il tracciato nel “percorso blu”. La Corte ritiene questo percorso più aderente al titolo originario, ma così facendo accoglie un appello su basi mai proposte dagli appellanti stessi.

Il Vizio della Motivazione Apparente secondo la Cassazione

La questione giunge dinanzi alla Corte di Cassazione, che accoglie il ricorso degli originari attori. La Suprema Corte rileva che la sentenza d’appello è viziata da motivazione apparente. Sebbene la sentenza contenga un testo che formalmente sembra una motivazione, in realtà non spiega come sia giunta a quella conclusione partendo dalle richieste delle parti.

Il giudice d’appello ha ignorato il principio fondamentale del tantum devolutum quantum appellatum, secondo cui l’esame del giudice di secondo grado è limitato ai motivi specifici sollevati nell’atto di appello. Gli appellanti avevano chiesto il rigetto della domanda originaria e l’individuazione del percorso rosso; non avevano mai chiesto di stabilire il percorso blu.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione spiega che la motivazione è “apparente” perché, pur essendo graficamente esistente, non consente all’interprete di percepire le ragioni per le quali la Corte d’Appello ha ritenuto di accogliere l’impugnazione. Il giudice di secondo grado ha agito come se potesse individuare a suo piacimento il thema decidendum (l’oggetto del decidere), prescindendo completamente dalle domande e dalle argomentazioni delle parti.

Il giudice d’appello non si è pronunciato sui motivi proposti, ma ha di fatto “inventato” una soluzione al di fuori del perimetro della controversia delineato dalle parti. Questo crea un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, che si traduce in una violazione di legge costituzionalmente rilevante.

In pratica, la Corte d’Appello ha pronunciato una decisione ultra petita, ovvero andando oltre quanto le era stato chiesto. Questo non solo viola le regole del processo, ma rende la motivazione stessa incomprensibile e, quindi, apparente.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale: il processo è governato dalle domande delle parti. Il giudice, anche in appello, non ha un potere illimitato di decidere la causa come meglio crede, ma deve attenersi scrupolosamente ai motivi di gravame. Una sentenza che si fonda su una soluzione non richiesta e che non spiega logicamente come vi sia giunta a partire dalle istanze processuali, è una sentenza con una motivazione apparente e, come tale, è nulla.

La conseguenza è stata la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello, che dovrà riesaminare il caso attenendosi, questa volta, ai motivi d’appello originariamente proposti.

Quando una motivazione può essere considerata “apparente”?
Una motivazione è considerata “apparente” quando, pur essendo presente nel testo della sentenza, è formulata in modo così illogico, contraddittorio o slegato dalle domande delle parti da non permettere di comprendere il ragionamento giuridico che ha portato alla decisione. In questo caso, la Corte d’Appello ha individuato un percorso per la servitù mai richiesto, rendendo la sua motivazione incomprensibile.

Cosa significa che il giudice d’appello ha violato il principio “tantum devolutum quantum appellatum”?
Significa che il giudice d’appello ha deciso su questioni che non gli erano state sottoposte con l’atto di appello. Il suo potere di riesame è limitato ai soli punti della sentenza di primo grado che sono stati specificamente contestati. Decidendo su una soluzione autonoma e non richiesta (il “percorso blu”), la Corte ha superato questi limiti.

Qual è stata la conseguenza della motivazione apparente in questo caso?
La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d’Appello (c.d. “cassazione con rinvio”). Il processo dovrà quindi essere celebrato nuovamente davanti a una diversa sezione della stessa Corte d’Appello, la quale dovrà emettere una nuova decisione basandosi correttamente sui motivi di appello originari, senza inventare soluzioni non richieste dalle parti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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