Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 26081 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 26081 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/09/2025
Sul ricorso iscritto al n. r.g. 14746/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE società con socio unico soggetta a direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COMUNITA’ MONTANA DI VALLE COGNOME, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
COMUNE DI SAN GIACOMO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO presso lo studio
dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 95/2023 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 15/05/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale chiede che la Corte rigetti il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1.1. Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, avanti al quale RAGIONE_SOCIALE nella sua veste di ente gestore della rete elettrica nazionale aveva impugnato, riassumendo il giudizio dopo la declinatoria pronunciata dal T.A.R. Lombardia, la delibera della giunta regionale 14.12.2020 n. XI/4037 adottata dalla Regione Lombardia per dare l’attuazione alle disposizioni introdotte dalla l.r. 15 marzo 2016, n. 4 in tema di regolarizzazione delle opere realizzate senza titolo su aree del demanio idrico fluviale, ha disatteso il proposto atto di gravame.
Il TSAP ha rigettato il primo ed il secondo motivo di ricorso, che lamentavano l’illegittimità della deliberazione laddove questa aveva previsto l’introduzione di un canone forfettario di pulizia idrica dovuto per ogni singolo attraversamento dei corsi d’acqua regionali, e ha dichiarato invece inammissibili il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo di ricorso con cui si era inteso contestare pure la legittimità dell’atto impugnato sotto il profilo dell’ingiustizia, dell’inadeguatezza dei canoni, nonché dell’irragionevolezza delle opzioni ivi esercitate. Tali profili sono stati giudicati, oltre che integranti censure di merito, estranei al perimetro della cognizione consentita al decidente, in quanto riflettenti una lesione di diritti soggettivi devoluti alla competenza-giurisdizione del TRAP.
1.2. Nel dettaglio ha motivato la declaratoria di inammissibilità considerando che « in limine , il perimetro del giudizio di legittimità deve essere circoscritto
RG 14976/23 E-distribuzione-Regione Lombardia
alle questioni che non attengono direttamente al pagamento dei canoni ed alla violazione del diritto alla corretta quantificazione di essi. Va rammentato che l’articolo 140 r.d. 1775/1933 attribuisce al TRAP, anziché al TSAP, la giurisdizione – competenza in ordine alle controversie, in materia di acque, nelle quali il petitum c.d. sostanziale si incentra sulla lesione dei diritti soggettivi, ricomprendendovi, per l’appunto, la quantificazione dei canoni di polizia idraulica (cfr. TSAP 6 novembre 2018, n. 183, Cass. Sez. un., 30 luglio 2007, n. 16798)). In aggiunta, esulano dal sindacato in esame le censure che involgono l’apprezzamento sul merito delle scelte divisate con la deliberazione impugnata dalla Giunta regionale, posto che, va sottolineato, l’articolo 89, c. 1, lett. i), d.lgs. n. 112/ 1998, in materia di gestione del demanio idrico, ha attribuito alle Regioni, le funzioni amministrative relative alla determinazione dei canoni di concessione e all’introito dei relativi proventi. Sicché vanno dichiarati inammissibili il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di impugnazione, denuncianti l’ingiustizia, l’inadeguatezza dei canoni e la generica irragionevolezza delle opzioni attinte con l’atto impugnato». Pronunciando poi con riguardo al primo ed al secondo motivo di ricorso -denuncianti l’illegittimità delle modifiche richiamate che darebbero vita ad una disciplina innovativa in danno dei grandi utenti, mediante l’estensione del canone forfettario minimo, previsto con riguardo al canone ordinario, anche alla regolarizzazione da parte dei grandi utenti -si è osservato che «al di là del fatto che il canone forfettario é dovuto indipendentemente della lunghezza del singolo tratto del demanio idrico attraversato, le modifiche impugnate non innovano la preesistente disciplina. L’art. 13, commi I e I bis, 1.r. 4/2016 opera, in apicibus , la dicotomia fra le occupazioni che hanno titolo concessorio e quelle c.d. abusive da regolarizzare, per le quali é dovuta l’indennità di occupazione senza titolo, con i benefici (recte: riduzioni dell’indennità) incentivanti la sanatoria. Ovviamente la riduzione e stata prevista solo ad avvenuta regolarizzazione dell’occupazione. Sicché non é condivisibile
l’assunto che sostanzialmente fonda (tutto) ii gravame incentrato sull’illegittima estensione del canone minimo operata, con l’atto impugnato, per ii fatto di assumerlo a parametro di determinazione dell’indennità d’occupazione senza titolo. Non computando ii canone minimo nell’ammontare totale dei canoni su cui operare le riduzioni previste dall’art. 13 l.r. cit. per incentivare la regolarizzazione-sanatoria, l’occupazione illecita sarebbe economicamente più vantaggiosa di quella sorretta da concessione. Ad evitare ii cortocircuito normativo -esso sì palesemente ingiusto e lesivo dei principi di concorrenza evocati nei motivi d’impugnazione dichiarati inammissibili -con l’atto impugnato si è espressamente chiarito che “la riduzione percentuale dell’importo del canone … si applica alla quota del canone annuale riferita ad ogni singola opera-occupazione interferente, fatto salvo I’applicazione dei canoni minimi”».
1.3. RAGIONE_SOCIALE ricorre a queste Sezioni Unite per sentire cassare l’epigrafata sentenza. La ricorrente si vale di cinque motivi di ricorso seguito da memoria, a cui resistono con controricorso e memorie tutti gli intimati.
Il Pubblico Ministero ha rassegnato le proprie conclusioni scritte chiedendo rigettarsi il ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo di ricorso E-distribuzione lamenta la violazione dell’art. 11, comma 3, cod. proc. amm., in relazione all’art. 208 r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, la violazione dell’art. 59, comma 3, l. 18 giugno 2009, n. 69 per motivi attinenti alla giurisdizione, la violazione degli artt. 140 e 143 del r.d. 1775/1933 e la violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. per assenza e contraddittorietà della motivazione.
Sostiene, più in dettaglio, la ricorrente, censurando la declaratoria di inammissibilità pronunciata dal decidente in riferimento al terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, che la carenza di giurisdizione-competenza dichiarata al riguardo sarebbe tardiva ed irrituale, in quanto rilevata nel corso del giudizio, quando al contrario l’art. 59 l. 69/2009, secondo l’interpretazione corrente, consentirebbe in caso di riassunzione -qui seguita alla declinatoria
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di giurisdizione operata dal TAR -detto rilievo solo alla prima udienza; risulterebbe poi fondata su una motivazione contraddittoria, in quanto non è dato di vedere quale sia la differenza tra i primi due motivi di ricorso ed i motivi successivi giudicati inammissibili; e non sarebbe in ogni caso giustificabile in quanto le censure ivi declinate attengono alla illegittimità dei criteri di determinazione dei canoni e delle indennità come determinate dal provvedimento impugnato.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso E-distribuzione lamenta la violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. per inesistenza, contraddittorietà e/o mera apparenza della motivazione, la violazione dell’art. 6 CEDU e la violazione dell’art. 143 comma 1, lett. a), r.d. 1775/1933, nonché eccesso di potere giurisdizionale per ‘arretramento’. Sostiene, più in dettaglio, la ricorrente , censurando la declaratoria di inammissibilità pronunciata dal decidente in riferimento al terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, che la motivazione adottata al riguardo, laddove affianca all’argomento della giurisdizione-competenza la considerazione che le censure ivi declinate involgono l’apprezzamento di profili di merito, sarebbe contraddittoria, risultando ultroneo ogni ulteriore sindacato di ammissibilità sui medesimi motivi già giudicati estranei alla cognizione del TSAP; le censure in parola sarebbero state dichiarate inammissibili malgrado esse concretassero la denuncia di vizi di legge e di eccesso di potere e la sentenza non spiegherebbe perché, malgrado detto contenuto, li abbia derubricati a vizi di merito della delibera impugnata; sarebbe poi configurabile un eccesso di potere per effetto di arretramento avendo in tal modo il decidente ricusato di accordare la chiesta tutela giurisdizionale.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso E-distribuzione lamenta la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. con riferimento all’art. 111, comma 6, Cost. per ‘mancanza assoluta di motivi’, in relazione anche (ove applicabile) all’art. 112 c.p.c. e comunque ‘motivazione apparente’ e la violazione dell’art. 6 CEDU. Sostiene, più in dettaglio, la ricorrente,
censurando l’approdo a cui è pervenuto il decidente ritenendo dovuto un canone minimo, che esso contrasterebbe con i parametri normativi di riferimento, atteso che l’art. 9 l. reg. 4/2016, senza alcuna menzione di un minimo esigibile, si limita a prevedere solo che il canone sia determinato in base all’incidenza delle opere e al loro impatto ambientale; e che la doglianza svolta sul punto sarebbe stata ritenuta infondata senza che fosse possibile rinvenire un cenno di motivazione a suffragio del giudizio così compendiato.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso E-distribuzione lamenta la violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per motivazione inesistente, motivazione apparente e motivazione contraddittoria, la violazione art. 112 cod. proc. civ. e la violazione dell’art. 6 CEDU. Sostiene, più in dettaglio, la ricorrente, censurando l’approdo a cui è pervenuto il decidente ritenendo dovuto un canone minimo anche nella determinazione del canone di concessione nell’ambito delle ipotesi di regolarizzazione, che in tal modo – ovvero imponendo l’applicazione del canone minimo in funzione di limitazione o sbarramento della riduzione prevista per i grandi utenti – verrebbe vanificato totalmente il beneficio previsto a favore dei grandi utenti dalle norme regionali, senza contare che non vi sarebbe nulla di più aberrante di una disposizione amministrativa che azzeri la portata di una previsione di legge.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso E-distribuzione lamenta la violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per mancanza assoluta dei motivi in relazione anche con art. 112 cod. proc. civ. e la violazione dell’art. 6 CEDU. Sostiene, più in dettaglio, la ricorrente richiamando il settimo motivo di ricorso al TSAP, che la sentenza impugnata avrebbe del tutto pretermesso di statuire su di esso, malgrado la questione ivi sollevata fosse non priva di gravità in quanto volta a censurare la scelta regionale di incidere sulle controversie pendenti tra essa ricorrente e le amministrazioni locali interessate, introducendo con valenza retroattiva a vantaggio dei contraddittori prescrizioni contrastanti con la normativa vigente su cui erano fondate le azioni dalla ricorrente.
I primi due motivi di ricorso si prestano ad un comune vaglio di legittimità laddove essi convergono nel denunciare in varia misura il vulnus motivazionale che infirma la decisione impugnata.
Non è di ostacolo in questa direzione, per la sua pregiudizialità e, dunque, per la sua assorbenza, la questione inizialmente sollevata dalla ricorrente nel primo motivo di ricorso. Censurando la declaratoria di inammissibilità pronunciata dal decidente con riferimento al terzo, quarto, quinto e sesto motivo di impugnazione -motivata, si è visto, sul presupposto della loro estraneità al sindacato giurisdizionale del TSAP in quanto riflettenti una lesione dei diritti soggettivi ricadenti nella competenza-giurisdizione del RAGIONE_SOCIALEdistribuzione ha, infatti, inteso contestare la violazione dell’art. 59, comma 3, l. 69/2009, ricordando che si era indotta a riassumere avanti al TSAP il giudizio già incardinato avanti al TAR Lombardia, allorché questo, previamente attinto onde conseguire l’annullamento del provvedimento qui impugnato, aveva declinato la propria giurisdizione in favore del TSAP, sì ché l’odierno giudizio era appunto scaturito dalla riassunzione del giudizio a suo tempo incardinato avanti al giudice amministrativo. Tanto, a giudizio dell’impugnante, avrebbe dovuto indurre il giudice della riassunzione, in ottemperanza al combinato disposto degli artt. 59 l. 69/2009 e 11 cod. proc. amm., a sollevare la questione di giurisdizione alla prima udienza e a proporre, di seguito, il regolamento di giurisdizione d’ufficio avanti a questa Corte, diversamente restando vincolato alla pronuncia del primo giudice e dovendo per questo pronunciarsi nel merito senza che gli fosse concessa la possibilità di porre in discussione la sussistenza della propria giurisdizione. Nella specie, al contrario, il decidente, giudicando inammissibili i predetti motivi, aveva rilevato il proprio difetto di giurisdizione tardivamente, ovvero alla terza udienza; e lo aveva fatto, per di più, in modo irrituale adottando una pronuncia sulla giurisdizione in palese contrasto con la decisione del TAR, determinando così l’insorgenza di un conflitto reale di giurisdizione.
Non è dubbio che, così ragionando, la decisione assunta dal TSAP rieccheggi un comando da tempo ricorrente nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite secondo cui «l’ambito del sindacato del Tribunale superiore delle acque pubbliche, qualora sia chiamato a pronunciarsi in unico grado sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati, è limitato all’accertamento dei vizi relativi allo svolgimento della funzione pubblica (compresi quelli denotati dalle figure sintomatiche dell’eccesso di potere), ed attiene quindi alla verifica della ragionevolezza e proporzionalità della scelta rispetto al fine, senza estendersi alle ragioni di merito, dovendosi arrestare non solo dinanzi alle ipotesi di scelte equivalenti, ma anche a quelle meno attendibili, purché congruenti con il fine da raggiungere e con le esigenze da governare» ( ex plurimis , Cass., Sez. U, 13/07/2025, n. 19237). Nella sua veste di giudice di legittimità in unico grado, abilitato ai sensi dell’art. 143, comma 1, lett. a), r.d. 1775/1933, a conoscere di «ogni controversia sugli atti amministrativi in materia di acque pubbliche, ancorché non promananti da pubbliche amministrazioni istituzionalmente preposte alla cura degli interessi in materia, idonei ad incidere in maniera non occasionale, ma immediata e diretta, sul regime delle acque pubbliche e del relativo demanio» ( ex plurimis , Cass., Sez. U, 5/02/2020, n. 2710), esulano, di conseguenza, dalla sua cognizione «le controversie in cui si discute, in via diretta, di diritti correlati alle derivazioni e utilizzazioni di acque pubbliche» ( ex plurimis, Cass., Sez. U, 19/04/2013, n. 9534), la cui cognizione è viceversa riservata a mente dell’art. 140 r.d. 1775/1933 alla competenza del TRAP quale «giudice ordinario specializzato» ( ex plurimis , Cass., Sez. U, 12/07/2019, n. 18827). Donde del tutto rettamente il Procuratore Generale ha potuto concludere, rilevando l’infondatezza della censura in parola, che l’inammissibilità decretata dal decidente con riferimento ai predetti motivi di ricorso, «è stata ricondotta alla estraneità delle censure al perimetro della cognizione del TSAP, che nella
fattispecie per cui è causa è giudice di legittimità in unico grado sugli interessi legittimi».
Il punto è però che, pur alla luce di queste premesse, la decisione del TSAP non dà vita ad alcuna sovvrapposizione rispetto a quella del TAR, capace di ingenerare l’ombra di quel conflitto reale di giudicati di cui discorre la ricorrente; e ciò perché, ricusando di pronunciarsi nel merito con riguardo ai mentovati motivi di impugnazione, il TSAP non ha inteso contrapporsi al giudicato discendente dalla pronuncia del TAR, ma anzi vi ha ottemperato, poiché è solo per effetto della declaratoria in punto di giurisdizione operata dal giudice amministrativo, che ha potuto conoscere di essi ed ha potuto così statuirne, considerandone il petitum sostanziale, l’estraneità alla propria giurisdizione di legittimità, giudicandoli per questo inammissibili. Si tratta, a ben vedere, di decisioni che non operano sul medesimo terreno processuale, essendo l’una interna ai criteri che sovrintendondo alla distribuzione della funzione giurisdizionale tra i plessi incaricati di attuarla, l’altra interna ai criteri che sovrintendono alla distribuzione della medesima nell’ambito dello stesso plesso.
Ciò precisato, non è detto, tuttavia, che se, in relazione alla denunciata violazione dell’art. 59 l. 69/2009, il TSAP abbia perciò legittimamente ricusato di prendere in esame le doglianze ritenute meritali, giudicandole estranee al proprio perimetro di scrutinabilità in quanto ricadenti nella giurisdizionecompetenza del TRAP, ciò abbia fatto pure in modo motivatamente corretto.
Ed invero le censure, che ai cennati motivo primo e secondo di ricorso investono l’ iter motivazionale della decisione qui impugnata, devono reputarsi fondate e meritevoli di condivisione.
Anche qui non è inopportuno avvertire che è il collegio non crede che talune di esse -e segnatamente quelle che fanno perno sul secondo motivo di ricorso -possano trovare risposta appagante, nel senso della loro inammissibilità, nelle parole impiegate a loro riguardo dal Procuratore
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Generale, dell’avviso che il vizio ivi denunciato, dovendo essere ricondotto nell’alveo dell’omessa pronuncia sanzionabile a mente dell’art. 112 cod. proc. civ., troverebbe rimedio nello strumento della rettificazione consentita dall’art. 204 r.d. 1775/1993, di guisa che della sua cognizione andrebbe perciò investito il medesimo organo decidente, risultandone per converso preclusa la deducibilità aventi a queste Sezioni Unite.
L’argomento, pur se non totalmente risolutivo, è, in rapporto al motivo richiamato, indubbiamente suggestivo; è tuttavia opinione del collegio che, anche nei limiti in cui lo si è voluto, qui, evocare, esso non consenta di fotografare con esattezza il vulnus che inficia la decisione impugnata. Che, per vero, una decisione sui motivi di ricorso, sia pure se per dichiararne solo l’inammissibilità, vi sia stata, è una realtà difficilmente confutabile, e non si vede, dunque, come se ne potrebbe negare l’esistenza per farne materia di un rinnovato ricorso al decidente a fini di rettificazione. Piuttosto, è lo sviluppo argomentativo a questo fine messo in atto dal Procuratore Generale -laddove spiega che è la mancanza di una qualsivoglia giustificazione delle ragioni che hanno indotto il decidente a derubricare i motivi esaminati a viziare la decisione -che segnala -ed è questa la convinzione del collegio -che ciò che vizia la decisione in disamina non è che il TSAP non abbia pronunciato sul ricorso, ma che non lo abbia fatto in modo motivatamente corretto.
Anche a questo riguardo qualche breve ragguaglio di principio non è inopportuno. Si deve infatti inizialmente ricordare che, alla stregua di un consolidato comando di diritto vivente, nel paradigma della violazione di legge deducibile, alla stregua dell’art. 111 Cost., come motivo di ricorso per cassazione contro le decisioni, in unico grado o in grado d’appello, del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, può ricomprendersi il solo vizio di motivazione nei profili dell’inesistenza, della contraddittorietà o della mera apparenza, risultante dal testo dei provvedimenti impugnati, mentre non rientra nei compiti della Corte di cassazione la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine agli accertamenti fattuali compiuti e alla
valutazione di merito attinente alla ponderazione dei contrapposti concreti interessi coinvolti nella vicenda sostanziale ( ex plurimis , così in motivazione, da ultimo, Cass., Sez. U, 12/02/2024, n. 3787). Sotto altra angolazione giova, poi, pure rimarcare che al fine di assolvere l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali imposto dall’art. 111 Cost., secondo un principio parimenti più volte enunciato da questa Corte, «la motivazione della sentenza deve articolarsi a tal fine in una sequenza di passaggi logici che possono schematicamente scomporsi: 1- nella ricognizione dei fatti rilevanti in ordine alla questione in diritto controversa, che vengono in tal modo a definire il “thema probandum” della fattispecie concreta oggetto della controversia; 2nella individuazione, tra quelli ritualmente acquisiti al giudizio, degli elementi probatori dimostrativi dei predetti fatti e nella selezione di quelli ritenuti decisivi, all’esito di un giudizio di prevalenza, alla formazione del convincimento del Giudice; 3- nella indicazione delle ragioni per cui alla fattispecie concreta, come rilevata in base ai fatti provati, debbono essere ricollegati determinati e non altri effetti giuridici (ovvero le ragioni della applicazione della “regula iuris” al rapporto controverso » (così in motivazione, ex plurimis , Cass., Sez. III, 2/04/2024, n. 8699; Cass., Sez. V, 8/07/2022, n. 21767; Cass., Sez. V, 11/03/2016, n. 4791). Il vizio di carenza di motivazione si rende perciò ravvisabile tutte le volte in cui la sentenza non dia conto dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione (così in motivazione, ex plurimis , Cass., Sez. III, 8/07/2022, n. 21724; Cass., Sez. V, 30/10/2015, n. 22251; Cass., Sez. V, 28/07/2011, n. 16573) e, dunque, non consenta la comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, non evidenziando gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (così in motivazione, ex plurimis , Cass., Sez. V, 11/05/2018, n. 11478; Cass., Sez. VI-III, 5/06/2014, n. 12713; Cass., Sez. V, 28/07/2011, n. 16573) ed impedendo ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del giudice (così in motivazione, ex plurimis , Cass., Sez. III, 11/05/2018, n. 11478; Cass., Sez. III, 10/05/2016, n. 9393; Cass., Sez. III, 3/11/2008, n. 26246). E’ poi affermazione, posta a sintesi di
questi precetti, che in rapporto allo sviluppo dell’ iter argomentativo della sentenza impugnata il vizio di motivazione apparente sia ravvisabile quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, o quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito ( ex plurimis , cosi in motivazione, da ultimo, Cass., Sez. U, 20/03/2025, n. 7405).
Questo è esattamente, a parere del collegio, il vizio che infirma la decisione impugnata e ne rende, perciò, doverosa cassazione.
A fronte, per vero, delle argomentate contestazioni che la ricorrente aveva sollevato in riferimento alla deliberazione della Giunta regionale della Lombardia 14 dicembre 2020 -n. XI/4037 concernente il “Riordino dei reticoli idrici di Regione Lombardia e revisione dei canoni di polizia idraulica. Aggiornamento della d.g.r. 18 dicembre 2017 n. X/7581, della d.g.r. 24 ottobre 2018 n. XI/698 e dei relativi allegati tecnici’ pubblicata in B.U.R. Serie ord. n. 51 del 18 dicembre 2020, nonché, in parte qua , degli allegati F ed H alla stessa e di tutti gli atti e provvedimenti da essa presupposti e ad essa conseguenziali, la replica motivazionale offerta dal decidente resta, infatti, manifestamente “sotto soglia”.
Il giudizio di inammissibilità osteso nell’occasione è sorretto solo da una motivazione apparente in quanto, al cospetto delle ragioni di gravame condensate nel terzo, nel quarto, nel quinto e nel sesto motivo di ricorso, si sostanzia, a ben vedere, in un’affermazione assertoria e puramente apodittica, astenendosi segnatamente dal chiarire perché quelle ragioni integrassero delle censure solo di merito. Il quadro delle contestazioni assai articolate che la ricorrente aveva inteso muovere alla deliberazione impugnata dovevano, al
contrario, imporre al decidente uno sforzo motivazionale più compiuto di quello che trova espressione nell’affermare che esse riguardano «l’ingiustizia, l’inadeguatezza dei canoni e la generica irragionevolezza delle opzioni attinte con l’atto impugnato». E’ un giudizio, questo, che laddove, nella sua sbrigativa laconicità, mette capo alla censurata declaratoria di inammissibilità, fondata sulla pretesa natura meritale delle contestazioni ricorrenti, trascende, invero, l’oggettiva complessità della materia e non si mostra minimamente avvertito che il confine tra determinazione del canone e applicazione dello stesso -in guisa del quale possa ritenersi come qui che la controversia abbia un taglio di merito piuttosto che di legittimità -riposa su basi che necessitano di una illustrazione più argomentata di quanto autorizzi a credere la formula utilizzata dal decidente, tanto più se si fosse considerato che già in passato queste Sezioni Unite non avevano, appunto, mancato di sottolineare, a questo proposito, che mentre l’art. 140, comma 1, lett. c), r.d. 1775/1933 attribuisce alla cognizione dei Tribunali regionali delle acque pubbliche le controversie aventi ad oggetto qualsiasi diritto relativo alle derivazioni ed utilizzazioni di acqua pubblica nelle quali sia in contestazione il diritto soggettivo del concessionario alla corretta applicazione delle disposizioni regolanti l’indicato canone in base a elementi oggettivi e certi, secondo parametri e criteri tecnici vincolanti per l’amministrazione, «al contrario, l’illegittimità degli atti amministrativi determinanti detti elementi può essere fatta valere mediante impugnativa, in via principale, davanti al giudice amministrativo (nella specie, il Tribunale superiore delle acque pubbliche) o, alternativamente, sollecitandone la disapplicazione da parte del giudice ordinario (nella specie, quello specializzato: Tribunale regionale acque pubbliche) nelle controversie sui diritti soggettivi che si assumano lesi da atti o provvedimenti consequenziali» (così, in motivazione, Cass., Sez. U, 4/09/2019, n. 22081).
Assunto, questo, ancora, che avrebbe avuto poi più di una ragione per trovare congruo approfondimento nella decisione impugnata sol a compulsare,
anche sommariamente, il quadro complessivo delle contestazioni costituenti le ragioni di censura dichiarate inammissibili.
Orbene, come debitamente ricapitola a questo fine il ricorso, basterà ricordare che con il terzo motivo di impugnazione si era contestata la decretata applicazione di un canone minimo per ogni attraversamento previsto sulla misura di 50 metri, ancorché esso fosse di minore lunghezza: «la considerazione atomistica della rete di distribuzione, come fittizia ‘somma’ di tanti brevissimi tratti di attraversamenti come se ognuno di essi fosse relativo ad autonome e così molteplici opere fra loro diverse, comporta che abbia luogo indebitamente la somma di tanti ‘canoni minimi forfetari’ (correlati ad attraversamenti di lunghezza ben inferiore a 50 mt.) con la determinazione di un importo smisuratamente superiore a quello che si otterrebbe considerando unitariamente la rete e, in particolare, sommando la lunghezza dei ‘singoli’ attraversamenti e applicando alla lunghezza totale così ottenuta il canone per metro lineare»; non diversamente, con il quarto motivo di ricorso si era impugnato l’effetto discriminatorio a scapito degli enti gestori della rete elettrica rispetto all’esonero disposto, invece, in favore dei titolari delle altre reti infrastrutturali: «questi ultimi infatti sono esonerati dall’applicazione del canone regionale in ragione della missione di interesse pubblico che sono chiamati a perseguire. Dunque, il mancato esonero dei titolari delle reti di distribuzione di energia elettrica configura un’irragionevole violazione dell’art. 3 Cost., con conseguente richiesta di remissione alla Corte costituzionale (là dove la discriminazione -come per le ferrovie e le telecomunicazioni- deriva dalla legge) e di annullamento per eccesso di potere (là dove la discriminazione -come per gli enti del SIREG -deriva da atti amministrativi)»; con il quinto si era censurata la pretesa di pretendere, comunque, il pagamento per intero di eventuali partite arretrate, escludendosi così le riduzioni previste in favore dei grandi utenti che intendano regolarizzare gli attraversamenti abusivi, malgrado il contrario risultasse dalla norma primaria: ed «invero l’art. 13 l.r. 4/16 è stato introdotto allo scopo dichiarato e specifico di incentivare l’emersione di situazioni prive di titolo, con
particolare riguardo ai ‘Grandi utenti’ per i quali è prevista la riduzione degli importi dovuti (sino al 90%) (art. 13 commi 2-4). Dunque riguarda anzitutto le indennità di occupazione. La previsione di una riduzione del canone (anche per il passato) è speculare rispetto alla regolarizzazione (con autodenuncia debitamente comprovata) delle occupazioni di suolo demaniale. Il mancato riconoscimento delle riduzioni frustrerebbe l’interesse pubblico sottinteso dalla normativa in esame, che consiste nell’esigenza di tutti i soggetti coinvolti, di far emergere tutte le interferenze, e che a tale scopo ha configurato una procedura che, attraverso il riconoscimento di una riduzione dei canoni (e, dunque, anche delle indennità di occupazione), coinvolge proprio i Grandi utenti»; il sesto motivo, infine, si appuntava sulla pretesa applicazione retroattiva delle variazioni apportate dall’atto deliberativo impugnato: «si è lamentato che le modifiche deteriori apportate all’all. H dalla delibera di GR impugnata innanzi al TSAP sono destinate a trovare applicazione anche in relazione ai procedimenti di regolarizzazione già avviati da E-distribuzione e ad oggi ancora non conclusi. Tutto ciò viola appunto i principi di affidamento, buona fede e irretroattività dell’azione amministrativa (art. 11 Preleggi), affermati a livello nazionale e sovranazionale (cfr. ad. es. C.G.C.E., 26/4/2005, C-376/02, p. 45; Cost. n. 236 del 2009)».
Già questo sommario elenco rende evidente che si era perciò alla presenza di un ventaglio argomentativo che, anche se si fosse ritenuto corretto credere che i rilievi formulati afferissero al merito della vicenda, non poteva trovare soddisfacente risposta motivazionale nella formula a cui ha invece fatto ricorso il decidente, se non appunto al prezzo di dar vita ad una motivazione meramente apparente che non spiega perché, ad onta di un contenuto oggettivamente articolato e meritevole per questo di una replica più appropriata, si sia concluso per ritenere che le contestazioni ricorrenti riguardassero semplicemente «l’ingiustizia, l’inadeguatezza dei canoni e la generica irragionevolezza delle opzioni attinte con l’atto impugnato».
In breve, come bene sintetizza la stessa ricorrente, «l’impugnata sentenza non spiega perché, pur a fronte dei vizi di violazioni di legge (presenti in tutti i quattro motivi giudicati inammissibili) e pur in presenza di vizi di eccesso di potere (pur essi presenti in detti motivi, come consentito dall’art. 143 del c. 1 lett. a) del RD 1775/1933), li abbia tout court derubricati a vizi di merito della delibera regionale impugnata. Si tratterebbe di vizi simulati? Di vizi solo apparentemente configurati come di legittimità? Di vizi che, pur formulati con le canoniche censure di illegittimità e con i contenuti tipici di tali censure, in realtà non raggiungerebbero la soglia della legittimità? Non è dato di sapere, perché l’impugnata sentenza si è guardata bene dal procedere ‘ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito”».
Tutte domande, queste, a cui la sentenza qui impugnata non dà risposta motivata.
La sua cassazione è perciò inevitabile.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso e dichiara assorbiti il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso; cassa l’impugnata sentenza nei limiti dei motivi accolti e rinvia la causa avanti al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezioni Unite civili il giorno 25.3.2025.
Il Presidente NOME COGNOME