Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3807 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3807 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4644/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 5273/2021 depositata il 15/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/11/2023 dal Consigliere COGNOME NOME.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza n.7/2004, il Comune RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ingiunse a COGNOME NOME, nella qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE il pagamento dell’importo di € 70.006,00, a titolo di sanzione amministrativa per l’attività di coltivazione di cave in ampliamento in area non sottoposta a vincolo paesaggistico senza la prescritta autorizzazione.
RAGIONE_SOCIALE propose opposizione innanzi al Tribunale di Viterbo e dedusse l’esistenza di un giudicato penale di assoluzione dai fatti contestati in via amministrativa, risultante da due sentenze, cui era seguita un’ordinanza di esecuzione, che aveva statuito non doversi procedere in ordine agli illeciti amministrativi.
Il Tribunale di Viterbo accolse l’opposizione.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 15.7.2021, accolse l’opposizione del Comune, il quale aveva dedotto che il giudicato penale di assoluzione si riferiva alle aree sottoposte a vincolo paesaggistico, mentre l’ordinanza ingiunzione riguardava l’attività estrattiva in ampliamento effettuata su aree non sottoposte a vincolo paesaggistico.
La Corte di merito accertò che il procedimento penale conclusosi con l’assoluzione aveva riguardato il reato previsto e punito dall’art.142 lett. c, 157, 146 e 181 del d. lgs 42/2004, per avere la RAGIONE_SOCIALE effettuato attività estrattiva in un terreno sottoposto a vincolo paesaggistico -ambientale senza la preventiva autorizzazione; il giudicato riguardava violazioni commesse nell’area ‘D’, come da annotazione di P.G. del 20.4.1986, mentre l’ordinanza ingiunzione riguardava le aree ‘A’, ‘B’ e ‘C’, sicché tali fatti non erano coperti dal giudicato penale.
La Corte d’appello dichiarò inammissibili le richieste istruttorie formulate dalla RAGIONE_SOCIALE perché non riproposte specificamente in sede di precisazione delle conclusioni. Rilevò che la contestazione relativa all’assenza di responsabilità era generica e infondata, potendo l’ordinanza ingiunzione essere motivata anche per relationem. Infine, la perizia tecnica dell’ottobre 2013 prodotta dalla RAGIONE_SOCIALE, attestante la regolarità dell’attività svolta, non solo non era stata prodotta in atti ma si riferiva a violazioni risalenti al 2006.
Per la cassazione della sentenza d’appello la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi.
Il Comune di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
In prossimità della camera di consiglio, parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt. 24 della L. 689/81, 2909 cc, 324 cpc, in relazione art. 360, comma 1, cpc, per violazione del giudicato costituito dall’ordinanza del Tribunale di Viterbo la quale, a definizione del procedimento di esecuzione scaturente da due sentenze di assoluzione, aveva statuito non doversi procedere ad alcuna sanzione amministrativa, stante l’insussistenza dell’illecito amministrativo connesso alla coltivazione della cava. Il ricorrente ricostruisce la vicenda processuale con riferimento al verbali di accertamento che si erano susseguiti e sostiene che il giudice penale, con due sentenze avesse assolto l’imputato e, con
successiva ordinanza, emanata a seguito di incidente di esecuzione, avesse pronunciato anche sulle violazioni amministrative, dichiarando non doversi procedere ai sensi dell’art.24 della L. 689 del 1981. Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata faccia riferimento ad un solo procedimento penale, trascurando l’esito del secondo procedimento penale, avente n. 3837/2009 RG, che si era concluso con sentenza n. 193/2011 di assoluzione. La sentenza impugnata, soggiunge ancora, sarebbe in contrasto anche con il giudicato formatosi sulla sentenza n. 62/13 del Tribunale Civile di Viterbo, che avrebbe annullato l’ordinanza ingiunzione n. 32 prot. 20650 del 19.10.2011 e il presupposto verbale di contestazione n. 12 del 23.04.2006.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame di atti e documenti decisivi per il giudizio decisivi per il giudizio che, se esaminati, avrebbero portato all’accoglimento dell’opposizione. In particolare, si denuncia l’omesso esame del verbale di accertamento del 6.7.2009, integrato dal verbale del 28.9.2009, nonché della sentenza n. 63/13 del 26.3.2016 del Tribunale di Viterbo, avente ad oggetto l’opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n.32 prot. 20650, fondata sul verbale di contestazione dell’illecito amministrativo del 23.4.2006, per l’esercizio dell’attività di coltivazione di cava in ampliamento dell’area autorizzata; tale sentenza avrebbe riconosciuto l’autorità di giudicato delle sentenze di assoluzione del giudice penale.
Con il terzo motivo la parte ricorrente dubita della costituzionalità dell’art. 28 della l. Regione Lazio n. 17/2004, per violazione del principio del ne bis in idem.
Gli esposti motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono inammissibili.
Nel giudizio di cassazione il principio della rilevabilità del giudicato esterno deve essere coordinato con l’onere del rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione sicché la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve, a pena di inammissibilità, riprodurre nel ricorso il testo integrale della sentenza che assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione o a un riassunto sintetico della stessa (Cass. 18.11.2019, n.29881; Cass. 31.10. 2019, n. 28182; Cass. 30838/2018).
Il rilievo pubblicistico del giudicato comporta altresì che l’onere di allegazione del ricorrente debba essere completo e non resti affidato alla deduzione di frammentarie proposizioni della sentenza che, come tali, non consentono al giudice di legittimità di trarre il significato oggettivo della regola o del comando di cui il provvedimento è portatore (Cass. Sezioni Unite, 9 maggio 2008, n.11501).
Nel caso di specie, i motivi di ricorso non consentono di rilevare con immediatezza l’esistenza del giudicato esterno in quanto in quanto non riproducono il testo integrale delle ordinanze dalle quali si evinca che il giudice penale ha dichiarato il non doversi procedere in relazione all’illecito amministrativo contestato con l’ordinanza n.7/2004, oggetto del presente giudizio, con la quale il Comune RAGIONE_SOCIALE ha ingiunto a COGNOME NOME, nella qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE sRAGIONE_SOCIALE, il pagamento dell’importo di € 70.006,00, a titolo di sanzione amministrativa per l’attività di coltivazione di cave in ampliamento e in area non sottoposta a vincolo paesaggistico, senza la prescritta autorizzazione.
L’eccezione di giudicato è affidata a una ricostruzione del fatto affidata a verbali di accertamento e decisioni del giudice penale dai quali non si trae che la sanzione amministrativa contestata con l’ordinanza opposta sia quella coperta dal giudicato penale.
Al contrario, la Corte di merito ha accertato che il procedimento penale conclusosi con l’assoluzione aveva riguardato il reato previsto e punito dall’art.142 lett. C, 157, 146 e 181 del D. Lgs 42/2004, per avere la RAGIONE_SOCIALE effettuato attività estrattiva in un terreno sottoposto a vincolo paesaggistico -ambientale senza la preventiva autorizzazione; si trattava di violazioni commesse nell’area ‘D’, come da annotazione di P.G. del 20.4.1986, mentre l’ordinanza ingiunzione riguardava le aree ‘A’, ‘B’ e ‘NOME.
La Corte di merito ha accertato, quindi, che l’ordinanza del Tribunale di Viterbo, che ha caducato gli effetti degli illeciti amministrativi connessi ai procedimenti penali, non riguardava i fatti contesati con l’ordinanza n.7/2014.
Inammissibile è, altresì, il vizio motivazionale di cui all’art.360, comma 1, n.5 c.p.c. in quanto il ricorrente non deduce l’omesso esame di un fatto storico o di un documento decisivo per il giudizio, bensì contesta la ricostruzione effettuata dal giudice di merito in relazione al contenuto degli atti di accertamento e dei provvedimenti adottati dai giudici di merito, riportandone per stralci il loro contenuto, in violazione dell’art.366, comma 1, n.6 c.p.c.
Quanto alla sentenza n.63/13 del 26.3.2016 del Tribunale di Viterbo, oltre ai profili di inammissibilità già rilevati, si evince dalla stessa lettura del ricorso che oggetto della decisione era l’opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n.32, prot. 20650, mentre, nel caso in esame, è oggetto di opposizione l’ordinanza ingiunzione n.7 del
22.9.2014, sicché, oltre a non sussistere l’identità dell’oggetto, non va ravvisata nemmeno la decisività del documento.
È, pertanto, irrilevante, nel presente giudizio, l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 28 della Legge Regionale Lazio n.17/2004 per violazione del divieto di ne bis in idem tra sanzione amministrativa e sanzione penale, poiché la sanzione amministrativa ha riguardato violazioni non scaturenti da un illecito penale.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 356 e 437 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere la Corte d’appello dichiarato inammissibili le richieste istruttorie formulate dalla RAGIONE_SOCIALE in primo grado perché non riproposte in sede di precisazione delle conclusioni, senza considerare che nel rito del lavoro non è prevista l’udienza di precisazione delle conclusioni. Nel caso di specie, le prove sarebbero state articolate nel ricorso introduttivo per opposizione all’ordinanza ingiunzione e riproposte nella comparsa di costituzione in appello.
Il motivo è fondato.
É errata l’affermazione della Corte d’appello secondo cui le richieste istruttorie erano inammissibili perché non riproposte in sede di precisazione delle conclusioni in quanto le controversie in materia di opposizione ad ordinanza ingiunzione sono regolate dal rito del lavoro, ai sensi dell’art.6 e 2 del D. Lgs n.150 del 2011; ne consegue che le richieste istruttorie devono essere formulate nell’atto introduttivo del giudizio e non è prevista un’udienza di precisazione delle conclusioni.
Come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, nelle controversie di lavoro, qualora i mezzi di prova siano stati
tempestivamente articolati negli atti introduttivi in primo grado, non può presumersi il loro abbandono, né ritenersi maturata alcuna decadenza dalla mancata presentazione di un’ulteriore istanza di ammissione nelle udienze successive alla prima; ne consegue che il giudice d’appello può ammettere le prove che, ritualmente richieste, non siano state ammesse in primo grado, essendo a tal fine sufficiente, ove chi vi abbia interesse sia completamente vittorioso, che la parte riproponga l’istanza di ammissione nella memoria di costituzione nel giudizio di secondo grado ( ex multis Cass. Civ., Sez. Lav. 27.10.2017, n.25652)
Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 25 della L.241/90, articoli 17 e 18 l. 689/81, dell’art. 24 Cost., in relazione e violazione art. 360 comma 1 n.3, per vizio di motivazione dell’ordinanza ingiunzione.
Il motivo è inammissibile per il concorrere di più ragioni.
L’ordinanza ingiunzione irrogativa di una sanzione amministrativa non deve avere una motivazione analitica e dettagliata come quella di un provvedimento giudiziario, essendo sufficiente che sia dotata di una motivazione succinta, purché dia conto delle ragioni di fatto della decisione (che possono anche essere desunte “per relationem” dall’atto di contestazione) ed evidenzi l’avvenuto esame degli eventuali rilievi difensivi formulati dal ricorrente (Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, n.16316).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha fatto riferimento agli atti, prodotti dallo stesso opponente, su cui era basata l’ordinanza ingiunzione.
La legge 241/1990, secondo l’interpretazione consolidata di questa Corte, costituente diritto vivente, non trova applicazione in materia di sanzioni amministrative (ex multis. Cass. n. 17088/2019).
Per completezza val la pena soggiungere che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459).
È, invece fondato il sesto motivo di ricorso, con il quale si deduce, ai sensi dell’art.360, comma 1, n.5 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, con riferimento all’apodittica motivazione della Corte d’appello, che ha rigettato l’opposizione affermando che ‘ nel merito la contestazione, nella parte in cui è basata su una presunta assenza di responsabilità è generica e palesemente infondata’.
Si tratta di motivazione apparente, inidonea a spiegare le ragioni per le quali è stato ritenuto sussistente l’illecito amministrativo per l’attività di coltivazione di cave in ampliamento ed in area non sottoposta a vincolo paesaggistico senza la prescritta autorizzazione.
La Corte d’appello ha disatteso il motivo l’opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione sulla base di una generica ed infondata contestazione della responsabilità, senza alcuna motivazione che consenta di cogliere la ratio decidendi.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l.
n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione, previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione, per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile; in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. (Cassazione civile sez. VI, 25/09/2018, n.22598; Cass. Sez. 07/04/2014 n.8053).
Resta, di conseguenza, assorbito il settimo motivo di ricorso, con il quale si censura la violazione degli artt. 2697 cc, 23, ult. co., l. 689/81, 6, co. 11, d. lgs n. 150/2011, in relazione all’art. 360 cpc, comma 1, n. 3., per avere la Corte d’appello errato nel regolare i principi sull’onere della prova.
Il ricorso deve, pertanto, essere accolto in relazione al quarto e sesto motivo di ricorso e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
P.Q.M.
accoglie il quarto e sesto motivo del ricorso, dichiara assorbito il settimo e inammissibili i restanti, cassa la sentenza impugnata in
relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.