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Motivazione Apparente: Cassazione e i limiti del ricorso

Una garante si opponeva a un decreto ingiuntivo, ma le sue eccezioni venivano respinte sia in primo grado che in appello. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il suo ricorso, chiarendo i rigidi limiti del vizio di motivazione apparente. La Suprema Corte ha ribadito che non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la coerenza logico-giuridica della sentenza impugnata, confermando le decisioni dei giudici di merito.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Motivazione Apparente: quando criticare una sentenza non basta per vincere in Cassazione

L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui limiti del ricorso in Cassazione, in particolare quando si contesta una motivazione apparente. Spesso, chi perde una causa in appello ritiene che la sentenza sia ingiusta o mal motivata. Tuttavia, la Suprema Corte ci ricorda che il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio dove si riesaminano i fatti, ma di un giudice di legittimità, che valuta solo la corretta applicazione delle norme e la coerenza logica della decisione. Vediamo insieme questo caso emblematico.

I Fatti del Caso

La vicenda nasce da un decreto ingiuntivo emesso da un Tribunale nei confronti di una signora, in qualità di garante per i debiti di una società immobiliare verso un noto istituto di credito. L’importo richiesto era superiore al milione di euro. La garante si opponeva al decreto, disconoscendo la propria firma sulla fideiussione e chiedendo, in via riconvenzionale, un risarcimento danni per l’illegittima segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia.
Il Tribunale rigettava le contestazioni sulla firma ma accoglieva la domanda di cancellazione dalla Centrale Rischi. Insoddisfatta, la garante proponeva appello, ma la Corte territoriale confermava integralmente la decisione di primo grado. A questo punto, la signora decideva di portare il caso davanti alla Corte di Cassazione, lamentando, con numerosi motivi, una violazione di legge per carenza e illogicità della motivazione della sentenza d’appello.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno ritenuto che le censure mosse dalla ricorrente, sebbene articolate e numerose, non integrassero i requisiti necessari per contestare validamente la motivazione della sentenza d’appello. In sostanza, la ricorrente chiedeva alla Suprema Corte una nuova valutazione del merito della controversia, un’attività che è preclusa al giudice di legittimità.

Le Motivazioni: i confini della motivazione apparente

Il cuore della decisione risiede nella spiegazione di cosa si intenda per vizio di motivazione e, in particolare, per motivazione apparente. La Corte, richiamando un consolidato orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite (sentenza n. 8053/2014), ha ribadito che si può parlare di motivazione omessa o apparente solo in casi estremi:

1. Mancanza grafica: la motivazione non esiste materialmente.
2. Incomprensibilità: il ragionamento è talmente perplesso, oscuro o contraddittorio da non essere comprensibile.

Il vizio non riguarda la sufficienza o la correttezza della motivazione, ma la sua esistenza stessa come percorso logico-giuridico. Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva esaminato i punti nodali della controversia, spiegando le ragioni del suo convincimento e condividendo le statuizioni del primo giudice. La sua motivazione, sebbene sintetica e per relationem (cioè richiamando quella di primo grado), era chiara, consequenziale e rispettosa del “minimo costituzionale”.
La Cassazione ha sottolineato che le critiche della ricorrente si traducevano in una richiesta di rivalutazione dei fatti e delle prove, come la natura della garanzia o la validità del contratto di mutuo. Questa attività è riservata ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello), i quali hanno il compito di vagliare le prove e scegliere quelle più idonee a dimostrare la verità dei fatti.
Infine, per uno specifico motivo di ricorso, la Corte ha rilevato l’applicazione del principio della “doppia conforme”, che impedisce di contestare in Cassazione l’omesso esame di un fatto decisivo quando le due sentenze di merito sono giunte alla stessa conclusione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza è un monito fondamentale per chi intende impugnare una sentenza in Cassazione. Non è sufficiente essere in disaccordo con la decisione o ritenere che il giudice abbia valutato male le prove. Per avere successo, è necessario dimostrare un vizio grave e specifico previsto dalla legge.

Le principali implicazioni pratiche sono:

* Il ricorso non è un terzo grado di merito: La Cassazione non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici dei gradi precedenti.
* La motivazione apparente è un vizio raro: Si configura solo quando il ragionamento del giudice è inesistente o indecifrabile, non quando è semplicemente discutibile o non condivisibile.
* Attenzione alla “doppia conforme”: Se Tribunale e Corte d’Appello concordano sulla ricostruzione dei fatti, le possibilità di contestare tale aspetto in Cassazione si riducono drasticamente.

In conclusione, per impugnare una sentenza per vizi di motivazione, occorre individuare un’anomalia strutturale nel ragionamento del giudice, non una semplice insufficienza argomentativa.

Quando una motivazione può essere definita ‘apparente’ e quindi contestata in Cassazione?
Secondo la Corte, una motivazione è ‘apparente’ solo quando è graficamente mancante, oppure è talmente perplessa, oggettivamente incomprensibile o manifestamente contraddittoria da non rendere percepibile il fondamento della decisione. Non è sufficiente che sia sintetica o che si ritenga che non abbia approfondito a sufficienza un certo punto.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove o i fatti di una causa?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che il suo compito non è quello di riesaminare e valutare autonomamente il merito della controversia. L’accertamento dei fatti e la valutazione delle risultanze istruttorie sono attività riservate esclusivamente al giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello).

Cosa significa che una sentenza d’appello è motivata ‘per relationem’ e quando è legittimo?
Significa che la sentenza motiva la sua decisione facendo riferimento alle argomentazioni della sentenza di primo grado. Questa tecnica è legittima a condizione che il giudice d’appello dia conto, anche sinteticamente, delle ragioni della conferma, confrontandosi con i motivi di impugnazione proposti, in modo che dal percorso argomentativo complessivo delle due sentenze emerga una decisione coerente ed esaustiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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