Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10506 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 10506 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 26273/2019 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 2845/2019 depositata il 02/05/2019.
Udita la relazione svolta dal Consigliere dr. NOME COGNOME.
Udito il P.G. in persona della dr.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo ed il rigetto de i restanti.
Udito per il ricorrente l’avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso .
Udito per i controricorrenti l’avv. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME , lamentando che il proprietario del fondo contiguo NOME COGNOME avesse posto in opera un traliccio per trasmissioni radioelettriche in violazione delle norme sulle distanze e sulle altezze, chiesero al Tribunale di Cassino la rimozione del manufatto ed il ripristino dello status quo ante. Il giudice adito accolse la domanda.
Su gravame del COGNOME, con sentenza n. 2845 del 2 maggio 2019 la Corte di appello di Roma confermò la sentenza impugnata.
I giudici di secondo grado affermarono che, alla luce delle misurazioni effettuate dal CTU, il complesso impianto era stato realizzato in violazione della normativa in materia di altezze, distanze dal confine e tra immobili e costituiva a pieno titolo una costruzione, ubicata in zona sottoposta a vincolo idrogeologico, sicché non avrebbe potuto collocarsi al di sotto della soglia di rilevanza urbanisticoedilizia.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di sette motivi.
Resistono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME .
Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo del ricorso ed il rigetto dei restanti.
In prossimità dell’udienza pubblica, entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la prima doglianza, proposta ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., il ricorrente assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 n. 5 e 133 c.p.c.
La sentenza di primo grado avrebbe contenuto una data di deliberazione (31 luglio 2012) successiva all’attestazione della cancelleria inerente al suo deposito (27 luglio 2012) e la Corte d’appello avrebbe ritenuto erroneamente trattarsi di un mero refuso, laddove la suddetta anomalia -ingenerando incertezza in merito alla data di effettivo deposito del provvedimento -si sarebbe tradotta in una nullità della sentenza.
Il motivo non ha ragion d’essere , giacché si tratta di un puro e semplice errore materiale: in tal senso, f a’ fede l’attestazione del cancelliere sulla data di pubblicazione.
D’altronde, l ‘esistenza della sentenza civile emessa all’esito di un giudizio trattato con le forme del rito ordinario è determinata dalla pubblicazione mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunziata, essendo irrilevante a questo fine la data della deliberazione (Sez. 2, n. 22035 del 22 novembre 2004).
Inoltre, la data di deliberazione della sentenza, a differenza della data di pubblicazione (che ne segna il momento di acquisto della rilevanza giuridica), non è un elemento essenziale dell’atto processuale, sicché tanto la sua mancanza, quanto la sua erronea indicazione, non integrano alcuna ipotesi di nullità, ma costituiscono fattispecie di mero errore materiale, come tale emendabile ex artt. 287 e 288 c.p.c. (Sez. 5, n. 21806 del 20 settembre 2017).
Del resto, in tema di ricorso per cassazione è inammissibile, per difetto di interesse, il motivo con cui si censuri una violazione processuale non correttamente valutata dal giudice d’appello, allorché essa non rientri tra i casi tassativi di rimessione della causa al primo giudice e non si sia tradotta in un effettivo pregiudizio per il diritto di difesa. In tal caso, infatti, convertendosi l’eventuale nullità della sentenza in motivo di impugnazione, l’impugnante deve,
a pena d’inammissibilità, indicare specificamente quale sia stato il pregiudizio arrecato alle proprie attività difensive dall’invocato vizio processuale (Sez. 2, n. 20834 del 30 giugno 2022).
Infatti, i vizi dell’attività del giudice che possano comportare la nullità della sentenza o del procedimento, rilevanti ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., non sono posti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato ‘ error in procedendo ‘ (Sez. 3, n. 26419 del 20 novembre 2020; Sez. 1, n. 2626 del 2 febbraio 2018).
Nella specie, fermo restando che va considerata la sola data del deposito in cancelleria (27 luglio 2012), il Tuzi neppure ha indicato quale sia stata la lesione al proprio diritto di difesa, conseguente alla discrepanza fra le due date.
Attraverso la seconda, articolata censura, proposta ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., il ricorrente deduce, per un verso, l’omesso esame dell’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, per violazione dell’art. 101 comma 2° c.p.c., e dall’altro, la conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e dell’art. 54 D.L. n. 83/2012 .
La sentenza di primo grado aveva evocato autonomamente il principio di precauzione, ai fini dell’interpretazione dell’art. 890 c.c. Nel gravame, era stata eccepita in proposito la violazione dell’art. 101 comma 2 ° c.p.c. ed, in caso di non accoglimento della stessa, era stata richiesta la produzione integrativa di un documento contenente la denuncia di esercizio dell’impianto operato da RAGIONE_SOCIALE, titolare della stazione radio base installata nel manufatto, e costituente cert ificazione di innocuità dell’im pianto o del rispetto dei limiti di legge. Tuttavia, la Corte d’appello avrebbe dichiarato inammissibile la produzione, applicando erroneamente la nuova versione dell’art. 345 c.p.c. ad un giudizio conclusosi in primo grado nel luglio 2012.
Con il terzo mezzo, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente, in relazione alla normativa urbanistica applicabile, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c.
La sentenza impugnata avrebbe aderito acriticamente e senza un proprio percorso logico alle conclusioni del primo giudice, il quale a sua volta le avrebbe mutuate da quelle del CTU, senza prendere in esame i rilievi formulati in ordine al PRG applicato.
Quest’ultimo m otivo va scrutinato con priorità, rispetto al precedente, ed è fondato.
In effetti, la parte motivazionale della decisione della Corte distrettuale si limita ad avallare l’iter logico -giuridico seguito dal primo giudice, senza contrastare gli assunti dell’appellante. Afferma, infatti, la sentenza impugnata ‘ La Corte condivide appieno, per i suesposti motivi, l’iter logico -giuridico seguito dal giudicante di primo grado, il quale correttamente ha ritenuto che il manufatto de quo fosse a pieno titolo una costruzione, per di più illegittimamente realizzata secondo quanto emerso dalla consulenza espletata ‘.
In tal modo, il giudice di secondo grado è incorso nel vizio di motivazione apparente.
Invero, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il suddetto vizio ricorra -come nel caso di specie – quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, Sez. U, n. 22232 del 3 novembre 2016; Sez. 1, n. 1986 del 28 gennaio 2025; Sez. 6 – 1, n. 6758 del 1° marzo 2022). Quanto al secondo motivo, preso atto della sua forma articolata, va osservato che, per la prima parte della doglianza, riguardante la violazione dell’art. 101 comma 2° c.p.c., esso resta assorbito dall’accoglimento del terzo motivo , attenendo al profilo della condanna risarcitoria.
Per la parte riguardante la violazione dell’art. 345 c.p.c. , il motivo è fondato.
La sentenza impugnata ha affermato ‘ Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità di tutta la documentazione prodotta per la prima volta dall’appellante in sede di gravame, in quanto effettuata in violazione del disposto
di cui all’art. 345 c.p.c. che contempla il divieto dei nova in appello, non ritenendo la Corte dimostrata la mancata imputabilità alla parte del ritardo nella produzione medesima ‘.
Tale assunto non può essere condiviso. Nel giudizio di appello, la nuova formulazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c., risultante dalla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 134 del 2012 è applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012 . Al presente giudizio (conclusosi con la sentenza del Tribunale di Cassino del 27 luglio 2012) andava dunque applicato il regime previsto dall’art. 345 c.p.c., nella versione medio tempore vigente, sulla scorta del principio tempus regit actum , in forza del quale il Collegio avrebbe potuto ammettere le prove nuove, se ritenute indispensabili (Sez. 2, n. 21606 del 28 luglio 2021; Sez. 2, n. 6590 del 14 marzo 2017).
La Corte territoriale avrebbe dovuto dunque pronunciarsi in ordine all’indispensabilità o no della prova documentale allegata dal Tuzi.
Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, l’art. 345, comma 3, c.p.c., come modificato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353 (nel testo applicabile ” ratione temporis “), nell’escludere l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova, ivi compresi i documenti, se non, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, ritenuti indispensabili perché dotati di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella delle prove già rilevanti sulla decisione finale della controversia, impone al giudice del gravame di motivare espressamente sulla ritenuta attitudine, positiva o negativa, della nuova produzione a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi, così da consentire, in sede di legittimità, il necessario controllo sulla congruità e sulla logicità del percorso motivazionale seguito e sull’esattezza del ragionamento adottato nella decisione impugnata (Sez. 2, n. 15488 del 21 luglio 2020; Sez. 1, n. 17341 del 31 agosto 2015; Sez. 1, n. 16745 del 23 luglio 2014).
La quarta lagnanza è volta a denunciare la nullità della sentenza ancora per motivazione apparente, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., per aver tralasciato l’esame dei motivi d’impugnazione ai capi 3 c, d, ed e, rubricati rispettivamente
‘errore sulla natura dell’eccezione convenuta. Titolo legittimante servitù personale’ ‘acquisto avverso nello stato di fatto e di diritto. Destinazione del padre di famiglia. Mancata applicazione dell’art. 1062 c.c.’ ‘Errore di fatto. Pretesa inefficacia d ell’obbligo assunto da NOME CarloCOGNOME .
La motivazione non recherebbe alcun richiamo in proposito, né tali argomenti avrebbero potuto ritenersi superati o implicitamente travolti da quelli trattati in sentenza, giacché proporrebbero una diversa prospettazione giuridica della vicenda, in particolare l’interpretazione dell’atto di acquisto del Tuzi nonché l’applicazione dell’art. 1062 c.c.
Anche tale motivo è fondato.
Va premesso che, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione circa la ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (Sez. U., n. 17931 del 24 luglio 2013; Sez. 2, n. 10862 del 7 maggio 2018).
E’ dunque corretto il r iferimento del Tuzi alla violazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c. , senz’altro sussistente, posto che la Corte d’appello non accenna minimamente alle critiche dell’appellante sui motivi 3c, 3d e 3e.
La quinta censura attiene alla falsa applicazione degli artt. 115 e 193 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.
Il COGNOME sostiene che la Corte territoriale non avrebbe colto il motivo di gravame riguardante la critica alla CTU, ritenuta esplorativa e non percettiva, in rapporto alla pretesa violazione di norme locali, non allegate né indicate, che il giudice non era tenuto a conoscere né a ricerca rne d’ufficio il contenuto, incombendo sulle parti interessate un onere di allegazione.
Il mezzo è infondato.
Costituisce un principio costantemente predicato da questa Corte, a cui il Collegio intende dare continuità, quello per il quale le norme dei regolamenti
comunali edilizi e i piani regolatori sono, per effetto del richiamo di cui agli artt. 872, 873 cod. civ., integrativi delle norme del codice civile in materia di distanze tra costruzioni, sicché il giudice deve applicare le richiamate norme locali indipendentemente da ogni attività assertiva o probatoria delle parti, acquisendone conoscenza o attraverso la sua scienza personale o attraverso la collaborazione delle parti o attraverso la richiesta di informazioni ai Comuni o avvalendosi comunque di ogni mezzo utile, inclusa la consulenza tecnica d’ufficio , che può fungere da alternativa alla richiesta rivolta ai Comuni (Sez. 2, n. 2661 del 5 febbraio 2020; Sez. 2, n. 25501 del 2 dicembre 2014).
Il sesto rilievo riguarda la violazione e falsa applicazione del principio di non contestazione e degli artt. 194 e 198 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
I giudici di secondo grado avrebbero equivocato in merito al terzo motivo di gravame, riguardante l’atto notarile di acquisto del fondo , che era stato dapprima stralciato dal Tribunale, poi allegato alla CTP senza alcuna opposizione avversaria e ritenuto tardivo dalla Corte d’appello, benché fosse stat a richiesta una pronunzia specifica sulla mancata contestazione iniziale.
Il motivo è infondato.
L a Corte d’Appello ha preso posizione sulla non contestazione , affermando che ‘ dagli atti risulta la rituale impugnazione e contestazione del predetto documento ‘ (cfr. pag. 5 sentenza impugnata). Il problema allora si sposta sulla sufficienza della motivazione, ma trattasi di vizio non più denunziabile in cassazione , ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
E tanto a voler sottacere che la sentenza impugnata utilizza altresì una seconda ratio (mancata trascrizione dell’atto) che neppure è censurata dal ricorrente.
Con la settima doglianza, il Tuzi stigmatizza la erronea e falsa applicazione dell’art. 890 c.c. , del principio di precauzione e delle norme sugli oneri probatori in tema di condanna risarcitoria, ex art. 360 n. 3 c.p.c.
Anche in tal caso, la sentenza impugnata non avrebbe colto il nucleo del motivo di gravame, volto a rilevare che la condanna risarcitoria era stata fondata sul principio di precauzione, ma era avulsa da qualunque prova circa il superamento dei limiti-soglia, con palese violazione del riparto probatorio.
Il rilievo resta logicamente assorbito dall’accoglimento del secondo, per quanto di ragione, del terzo e quarto motivo, che implicano una nuova valutazione degli esiti istruttori.
In definitiva, vanno rigettati il primo, il quinto ed il sesto motivo, devono essere accolti il secondo, per quanto di ragione, il terzo ed il quarto motivo e vanno dichiarati assorbiti il secondo, per quanto di ragione, ed il settimo motivo. La sentenza è cassata in relazione alle censure accolte e rinviata alla Corte d’appello di Roma, per una nuova valutazione dei fatti.