Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24961 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24961 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 23542/2020 r.g. proposto da:
NOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso il dott. NOME COGNOME
-ricorrente-
CONTRO
COMUNE DI BRINDISI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di mandato speciale in calce al controricorso, elettivamente domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME le quali chiedono di ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce n. 1061/2019, depositata il 2/10/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/7/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME proprietario di un compendio immobiliare costituito da un fabbricato rurale e da circostanti terreni sito nel Comune di Brindisi, riportato alla partita 20884, foglio 50, particelle 35 (mq 11.673), 36 (fabbricato rurale), 40 (mq 2771), e 59, poi frazionata nelle attuali particelle 306 e 307, e inserito in zona urbanistica F4 del PRG, deduceva che il Comune aveva assoggettato i propri fondi ad occupazione legittima quinquennale, in base al decreto n. 6 del 2001, e ad espropriazione, pronunciata con decreto del 27/1/2006, per la riqualificazione urbanistica ed ambientale dell’area urbana del Cillarese.
In particolare, evidenziava che era stato già introdotto un giudizio con atto di citazione del 9/6/2003, in relazione all’indennizzo da occupazione temporanea, per il periodo di un anno.
Il presente giudizio, invece, veniva introdotto con atto di citazione del 13/10/2008 avverso la stima definitiva di espropriazione per il fabbricato ed i terreni, avvenuta con decreto n. 12 del 2008 da parte della competente commissione, che aveva confermato la determinazione provvisoria, pari ad euro 40.733,54, in base al valore agricolo dei terreni (lire 1.000/1.500 al metro quadrato).
I due giudizi venivano riuniti e la Corte d’appello, con sentenza dell’8/6/2011, accoglieva entrambe le domande: da un lato, determinava l’indennità di espropriazione in complessivi euro 66.719,99; dall’altro accertava l’indennità dovuta per il solo primo anno di occupazione temporanea in euro 1.668,00.
La Corte territoriale accertava che l’area era tipizzata in zona F4, che per le norme tecniche di attuazione del PRG del Comune di Brindisi «comprende tutte le aree pubbliche o private destinate alla tutela ecologica, alla formazione di parchi urbani e zone di rispetto; nelle zone F4 sono ammesse attrezzature sportive di tutti i tipi sono altresì ammesse costruzioni ad uso collettivo, quali ristoranti, bar, campeggi Nessuna edificazione o impianto è ammessa nelle zone in cui il piano particolareggiato impedisca qualsiasi edificazione».
La Corte di merito chiariva che la zona di terreno individuata dalle particelle oggetto di esproprio nn. 306 e 307 costituiva una parte elevata rispetto all’intera superficie espropriata «e risultava sostanzialmente inedificabile, in quanto ricadeva in una zona a confine con l’alveo del canale che sfociava nel seno di ponente del porto di Brindisi».
Le previsioni di piano, utilizzando l’area come F4, portavano a parificarla, a fini indennitari, a quelle agricole.
La Corte d’appello rimarcava «la sussistenza di un vincolo idrogeologico e paesaggistico sulle predette aree», sicché i terreni dovevano essere «equiparati a quelli agricoli».
Si sottolineava che non poteva riconoscersi «al terreno espropriato una precisa destinazione edificatoria, e sotto il profilo regolamentare e sotto quello fattuale», né si poteva individuare un tertium genus di aree, oltre a quelle edificabili ed a quelle agricole.
Si condividevano le conclusioni del CTU Ing. COGNOME per cui i terreni «oggetto di esproprio dovevano essere equiparati a quelli agricoli e stimati secondo il criterio tabellare di cui alla legge 865 del 1971».
Con riferimento al valore del suolo, il CTU aveva fatto riferimento ai prezzi praticati sul mercato sulla scorta di indagini svolte presso
gli operatori del settore dell’edilizia nella zona, operando una media di valori, seguendo il «metodo sintetico-comparativo».
Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione l’attore, deducendo, con il primo motivo di impugnazione, la violazione e falsa applicazione degli artt. 37 e 40 del d.P.R. n. 327 del 2001 e dell’art. 16 della legge n. 865 del 1971, «alla stregua della pronuncia della Corte costituzionale n. 181 del 2011». Era stato applicato illegittimamente il criterio del valore agricolo medio tabellare, successivamente dichiarato incostituzionale.
3.1. Con il secondo motivo di impugnazione si deduceva la violazione dell’art. 19, comma 2, legge regionale Puglia 22/2/2005, n. 3, lamentandosi che i terreni espropriati, urbanisticamente inclusi in zona F4 del PRG, non erano stati qualificati come legalmente edificabili, trascurandosi « le caratteristiche degli immobili ablati, localizzati in contesto urbanistico edificato ed a confine con aree a destinazione B4, di completamente edilizio, a cui apportavano dotazioni minime di standards e nel cui perimetro dovevano essere inserite».
3.2. Con il terzo motivo di impugnazione si deduceva l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riguardo alla reputata inedificabilità dei terreni occupati ed ablati, «nonostante che essi fossero stati urbanisticamente inclusi in zona F4 a destinazioni pubblicistiche, ma con previsione di attuazione dei previsti impianti anche tramite privati (art. 49 NTA)».
3.3. Con il quarto motivo di impugnazione si deduceva omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio «in riferimento al richiamo, in tesi erroneo, della stima attuata dal CTU con metodo sintetico-comparativo e, comunque, alla mancata considerazione degli allegati, specifici atti di comparazione inerenti a risalenti procedimenti espropriativi».
Questa Corte, con sentenza del 5/12/2016, n. 24783, accoglieva esclusivamente il primo motivo di ricorso, rigettando il secondo motivo.
In particolare, con riferimento al secondo motivo questa Corte rilevava che la Corte di merito aveva qualificato i terreni occupati ed ablati come «non edificabili», essendo ricompresi in zona omogenea F4, e quindi «assoggettati, con vincolo di indole conformativa, a un utilizzo meramente pubblicistico, volto a soddisfare i bisogni della collettività».
Si chiariva anche che le modalità di realizzazione delle opere pubbliche avrebbero potuto coinvolgere anche i privati, direttamente o tramite strumenti di convenzionamento, ma ciò comportava «il solo effetto di escludere qualsiasi decadenza quinquennale del vincolo», ma «non certamente quello di trasformare la preventivata utilizzazione (soltanto) pubblicistica della zona F nella vasta gamma dell’edilizia privata di cui alle zone A-D indicata dal D.M. 1444 del 1968, attuabile esclusivamente ad iniziativa privata e per scelta privata».
La qualifica edificatoria per i terreni non poteva neppure fondarsi sulla loro «asserita contiguità alla Zona B».
Veniva invece accolto il primo motivo di ricorso, dovendosi applicare, ai fini indennitari, a seguito della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, il pieno valore di mercato, sia pure considerandone l’accertata natura inedificabile.
Chiariva questa Corte che «il tenore dell’impugnata sentenza non consente di evincere che conclusivamente la determinazione delle indennità di espropriazione e di occupazione legittima sia già avvenuta al valore di mercato di tutto il compendio, tramite l’uso del criterio sintetico-comparativo».
Venivano assorbiti i restanti motivi.
La Corte d’appello di Lecce, in sede di rinvio, con la sentenza del 2/10/2019, n. 1061, determinava in euro 146.000,00 la somma dovuta dall’ente convenuto all’attore, a titolo di indennità di espropriazione, ed in euro 4474,00 la somma dovuta dallo stesso ente allo attore a titolo di indennità per il primo anno di occupazione legittima dei medesimi beni.
5.1. In particolare, per quel che ancora qui rileva, la Corte territoriale considerava la natura inedificabile dei beni, procedendo all’applicazione del criterio del valore venale pieno, considerando anche «le possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria (come, ad esempio, parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti)».
Il valore era stato determinato dal CTU con il metodo analiticoricostruttivo, «non essendo risultato applicabile nella fattispecie il metodo sintetico-comparativo stante la mancanza di dati, certi ed inconfutabili, idonei ad essere assunti come congruenti elementi di confronto per la definizione della stima».
Chiariva sul punto che l’applicazione di tale criterio derivava dalla «singolarità dei terreni oggetto di stima, inseriti in un esteso parco urbano cittadino di oltre 60 ettari, peraltro fortemente scosceso verso il ‘canale del Cillarese’, che presenta elevate differenze di quota, di circa venti metri».
Era stato determinato preliminarmente il valore che il terreno avrebbe avuto con la massima utilizzazione dei parametri urbanistici previsti per la zona in esame, risultato pari ad euro 232.818,13.
Erano stati però apportati correttivi, anche in ragione dei lunghi tempi per la realizzazione completa degli interventi.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’attore, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso il Comune di Brindisi.
CONSIDERATO CHE:
1. L’eccezione di tardività del ricorso è infondata.
Infatti, gli atti di citazione sono del 2003 e del 2008, sicché il termine lungo è quello annuale, non trovando applicazione la novella di cui alla legge n. 69 del 2009, in vigore per i giudizi instaurati a partire dal 4/7/2009.
Non si deve tener conto dell’atto di riassunzione, trattandosi della prosecuzione dello stesso giudizio.
1.1. Con il primo motivo di impugnazione si deduce la «nullità della sentenza per difetto di motivazione ex art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., 118 disposizione di attuazione c.p.c. e art. 111, comma 6, Costituzione, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Ad avviso del ricorrente, nel corso del giudizio, sia attraverso le osservazioni del c.t.p. di parte attrice, Ing. COGNOME sia attraverso le deduzioni difensive, sono state rivolte motivate critiche alla CTU.
La sentenza d’appello, però, non esamina le specifiche critiche mosse da parte attrice, omettendo «di fornire una pur minima motivazione che consenta di comprendere le ragioni per cui non ritiene di condividere tali critiche e intende aderire alle conclusioni del CTU».
In particolare, il ricorrente deduce che il CTU aveva depositato una prima relazione tecnica, con la quale aveva determinato il valore di mercato adottando il criterio di trasformazione.
Il CTU aveva indicato in euro 232.818,13 il valore di mercato del terreno, con utilizzo intermedio, ma aveva poi proseguito determinando anche il valore di mercato agricolo pari ad euro 61.858,60.
Il valore finale era stato poi ottenuto individuandolo nella misura del 40% della somma del valore agricolo e del valore in base alla possibilità di utilizzazione, e quindi nella misura di euro 103.136,84,
cui andava sommato il valore del fabbricato pari ad euro 42.800,00, per un valore complessivo di euro 146.000,00.
A seguito delle osservazioni del CTP di parte attrice, che contestava «la singolare operazione effettuata dal CTU di mediare tra il valore agricolo e il valore riferibile alle possibili utilizzazioni secondo le destinazioni di PRG (già da considerare intermedie tra l’utilizzazione agricola e quella edificatoria)» e chiedeva l’applicazione del criterio sintetico-comparativo, il CTU depositava la relazione finale e di replica alle osservazioni.
In tale ultima relazione il CTU «senza nulla dire in ordine alla singolare operazione di mediare tra i due distinti valori, ha trovato un’altra via per confermare lo stesso valore indicato nella prima Relazione (euro 146.000,00) applicando un metodo fondato su un ragionamento molto soggettivo e poco tecnico».
Il c.t. di parte attrice, invece, chiedeva di tenere conto unicamente della possibilità di utilizzazione intermedie, senza considerare il successivo calcolo eseguito per individuare il valore di mercato agricolo delle stesse aree.
Neppure si comprendeva la ragione dell’applicazione a tale media di una percentuale, del tutto arbitraria, del 40% della somma dei due valori, pur applicando peraltro il 35 % senza alcuna spiegazione.
Inoltre, il CTP di parte attrice invocava l’applicazione del metodo sintetico-comparativo, come previsto dalla sentenza di questa Corte n. 247 8/3/2016.
Il CTP di parte attrice ha contestato anche le valutazioni personali e soggettive del CTU, che aveva tenuto conto dell’uso che l’amministrazione comunale avrebbe voluto fare dei terreni, anche «con riferimento alla mancata realizzazione, a oggi, all’interno del parco di un bar o di un ristorante».
Il CTP determinava un valore medio di euro 909.258,35, comprensivo anche del valore della particella 306 in ragione della presunta invalidità o inefficacia del vincolo PAI.
Anche applicando il metodo analitico-ricostruttivo, il valore al metro quadrato del fabbricato costruibile era di euro 1.700,00 al m².
Calcolando l’incidenza del suolo pari a 25%, la somma totale era di euro 902.712,01, molto vicina a quella determinata con il metodo sintetico-comparativo.
Il ricorrente rammenta che nell’ambito di un ulteriore giudizio, tra proprietari di aree appartenenti alla medesima zona, è stata determinata un’indennità pari ad euro 40,00 m², a fronte di quella stimata dal CTU in questa controversia, pari ad euro 2,102 al metro quadrato.
2. Con il secondo motivo di impugnazione si deduce la «violazione e falsa applicazione articoli 384 e 392 c.p.c. per mancato rispetto del principio fissato con la sentenza della Suprema Corte n. 24783/2016 con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Nullità della sentenza per difetto di motivazione ex art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., 118 disposizione di attuazione c.p.c. e art. 111 comma 6 Costituzione, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. per ulteriori profili».
La Corte di cassazione, ad avviso del ricorrente, aveva ritenuto necessario, nell’accogliere il primo motivo di ricorso, la determinazione del «valore di mercato di tutto il compendio, tramite l’uso del criterio sintetico-comparativo».
Sia con l’atto di citazione in riassunzione, sia con gli ulteriori atti difensivi e con le deduzioni dei CTP, attore ha evidenziato «come la valutazione con il criterio sintetico-comparativo fosse obbligata ed ha fornito una serie di atti di comparazione riferibili ad aree aventi
analoga destinazione ed addirittura prossimi con i terreni oggetto di esproprio».
Il CTU, però, non avrebbe inteso procedere nel senso indicato da questa Corte, mentre la Corte di merito, in sede di rinvio, si sarebbe limitata «ad una riproposizione delle valutazioni del CTU».
In particolare, l’atto di riassunzione oltre a riproporre tutti gli atti di computo già depositati, ha aggiunto un ulteriore atto per notaio Cafaro del 2/5/2002.
Sono stati richiamati anche gli atti di pregresse espropriazioni avvenute al prezzo di lire 25.000 m² negli anni 90 e di ulteriori espropriazioni al prezzo di lire 22.000 m² intervenute negli anni 96-98.
Per il ricorrente, l’assorbimento del quarto motivo di ricorso per cassazione starebbe a significare che l’uso del criterio sintetico-comparativo era vincolante per il giudice del rinvio, «dovendosi procedere alla determinazione del valore dei terreni espropriati con la necessitata applicazione del criterio sintetico-comparativo e l’utilizzo di tutti gli atti di comparazione offerti dall’attore ed acquisiti al processo».
Peraltro, il metodo di stima sintetico-comparativo è quello che più degli altri risponde ai criteri di legge.
Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta «l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
Il ricorrente, già nel ricorso dinanzi a questa Corte, ha fatto ampio cenno a numerosi atti di comparazione utili per la determinazione del valore con il criterio sintetico-comparativo.
L’attore, dunque, «ha prodotto nel giudizio di rinvio tutti gli atti di comparazione già indicati ed anche altri atti rinvenuti con l’ausilio
del proprio CTP, ritenendoli determinanti ai fini della determinazione del valore di mercato del compendio oggetto di espropriazione».
La Corte d’appello, in sede di rinvio, non avrebbe minimamente valutato gli atti prodotti per valutarne la rilevanza e la rappresentatività.
In particolare, si citano: il documento n. 12 del fascicolo di parte R.G. n. 540/2003 e n. 11 di cui al procedimento R.G. 629/2008 (verbale 28/6/1989 dell’Anas); documento n. 12 del fascicolo di parte del procedimento n. 329/2008 (nota raccomandata 18/10/1996 della ditta RAGIONE_SOCIALE, concessionaria del Comune di Brindisi); documento n. 14 del fascicolo di parte del procedimento R.G. n. 629/2008.
Con il quarto motivo di impugnazione si deduce la «violazione e falsa applicazione art. 40 comma 2 d.P.R. n. 327/2001 come applicabile a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 181/ 2011. Violazione e falsa applicazione art. 1 Protocollo Addizionale CEDU e art. 39 legge 25/6/1865 n. 2359. Violazione principi relativi al vincolo in sede di giudizio di rinvio».
Per il ricorrente, le valutazioni fatte dal CTU si risolverebbero in una palese violazione delle norme indicate in epigrafe. Sarebbe poco comprensibile il criterio utilizzato dal CTU «applicando una singolare media» tra valore agricolo e valore edificabile per poi confermare il medesimo valore «considerando lo specifico progetto approvato» dall’Amministrazione comunale e i tempi e le difficoltà finanziarie per la sua realizzazione.
Con il quinto motivo di impugnazione si deduce «l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
Con l’accoglimento del primo motivo di ricorso, questa Corte ha ritenuto assorbito il terzo motivo, «con cui era stata evidenziato
come non fosse condivisibile il riferimento fatto dal CTU al vincolo PAI che interessava la particella n. 306».
Anche con l’atto di riassunzione la questione è stata riproposta, in quanto il PAI sarebbe stato annullato con sentenza del «T.S.A.P. n. 128 del 6/7/2009 (avente efficacia erga omnes)».
Si tratterebbe di una pronuncia relativa all’accoglimento di un ricorso proposto da alcuni comuni della Puglia.
Trattandosi di annullamento di atto a contenuto generale l’efficacia non può essere limitata alle parti in causa, sicché l’annullamento giurisdizionale del piano opera con effetti ex tunc , «per cui non vi è dubbio che ai fini del valore da attribuire alle aree oggetto di espropriazione non deve tenersi conto di un Piano che ha perso validità ed efficacia».
Il primo motivo è fondato.
6.1. La motivazione resa dalla Corte di merito è meramente apparente.
Si è, infatti, evidenziato che, allorché ad una consulenza tecnica d’ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte, il giudice che intenda disattenderle ha l’obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, ove questi a sua volta non si sia fatto carico di esaminare e confutare i rilievi di parte, incorrendo, in tal caso, nel vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass., sez. 1, 21/11/2016, n. 23637).
Se, dunque, in via generale, il giudice di merito che aderisce alle conclusioni del consulente tecnico esaurisce l’obbligo di motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, non dovendo necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, sebbene non espressamente confutate,
restano implicitamente disattese perché incompatibili, ove, invece, le censure all’elaborato peritale si rivelino non solo puntuali e specifiche, ma evidenzino anche la totale assenza di giustificazioni delle conclusioni dell’elaborato, la sentenza che ometta di motivare la propria adesione acritica alle predette conclusioni risulta affetta da nullità (nella specie, la consulenza disposta in ordine alla determinazione dell’indennità provvisoria di esproprio era stata oggetto di una prima stesura e di un successivo immotivato ripensamento ad opera del consulente d’ufficio, pur a fronte delle specifiche contestazioni delle parti e dei loro consulenti) (Cass., sez. 1, 6/6/2024, n. 15804).
Nella specie, in realtà, il CTU non ha risposto ai rilievi specifici e alle osservazioni critiche del c.t. di parte, come emerge dal contenuto del ricorso per cassazione.
In sostanza, il CTU, originariamente ha depositato una prima relazione tecnica, nella quale ha determinato il valore pieno dei terreni, facendo ricorso ad una media tra il valore agricolo dei terreni pari ad euro 61.858,60 ed il valore ricavato dall’utilizzo intermedio degli stessi, pari ad euro 232.818,13.
La somma di questi due valori, pari ad euro 294.676,73 è stata poi – del tutto inspiegabilmente – decurtata del 35%, anche se il CTU aveva fatto riferimento alla percentuale del 40% (cfr. pagine 8 e 9 del ricorso per cassazione), ottenendosi così la somma di euro 103.136,84, cui andava aggiunto il valore del fabbricato rurale, pari ad euro 42.800,00, per un totale complessivo di euro 146.000,00.
Tuttavia, a fronte delle aspre critiche del c.t. di parte attrice, il quale aveva evidenziato la singolare procedura matematica utilizzata dal CTU, che non si era limitato a valutare i terreni esclusivamente facendo applicazione dell’utilizzo intermedio delle aree e quindi tenendo fermo il dato di euro 232.818,13, ma contaminandolo con altro dato pari al valore di mercato agricolo dei terreni stessi, per poi
operare una decurtazione in base ad una certa percentuale, il CTU non ha proferito risposta.
Al contrario, il CTU ha abbandonato il criterio sintetico-comparativo, per utilizzare il metodo analitico-ricostruttivo, senza rispondere in alcun modo ai precisi e dettagliati chiarimenti richiesti. Il CTU ha, quindi, depositato la relazione finale fondata sul criterio analiticoricostruttivo.
In tale relazione, non si fa più riferimento alla somma dei due valori decurtata della percentuale del 35% (in luogo della percentuale del 40% cui aveva fatto espressamente riferimento nella relazione scritta il CTU), ma si calcola, utilizzando il metodo analiticoricostruttivo, ossia il criterio di trasformazione, il valore del fabbricato che era possibile costruire su tale terreno, applicando poi una percentuale per individuare il valore del terreno stesso.
Tuttavia, a fronte di questa diversa tecnica valutativa, tenendo conto di particolari parametri – non molto perspicui – che sono stati poi menzionati anche dalla Corte d’appello in sede di rinvio, la somma finale era sempre quella di euro 146.000,00, quindi la medesima che era scaturita dalla prima relazione.
La Corte d’appello, in sede di rinvio, non ha in alcun modo menzionato la prima relazione del CTU, basata sul metodo sintetico-comparativo (che faceva perno – in modo incongruo ed oscuro – alla media dei valori, agricolo e relativo all’utilizzo intermedio, decurtati della percentuale del 35%), ma si è soffermata esclusivamente su quella finale fondata sul criterio analitico-ricostruttivo, ossia sul criterio di trasformazione
La Corte di merito, senza alcun riferimento alle specifiche osservazioni del CT di parte attrice, ha affermato in modo meramente assertivo che il valore finale, scaturente dal criterio di trasformazione, di euro 146.000,00, derivava dalla «massima utilizzazione dei
parametri urbanistici previsti per la zona in esame, risultato pari ad euro 230.818,13».
Subito dopo, la Corte territoriale ha aggiunto, senza alcun riferimento a parametri tecnici certi, che «è stata quindi valutata l’incidenza su questo valore dei lunghi tempi per la realizzazione completa degli interventi con l’utilizzazione massima dei parametri urbanistici, anche in considerazione dell’elevata estensione del predetto parco urbano».
Inoltre, il Giudice di secondo grado ha evidenziato una circostanza del tutto irrilevante, e cioè che «sino al momento della procedura ablativa non era stata effettuata alcuna proposta di utilizzazione dei lotti da parte dei privati e oggi, a distanza di 12 anni (e a 18 anni dall’immissione in possesso), non è stata realizzata alcuna edificazione (pag. 66 CTU)».
Resta oscuro il passaggio della motivazione per cui l’importo era stato decurtato «in base ai principi della matematica finanziaria, applicando un interesse medio annuo per l’intero periodo, compatibile con la figura dell’imprenditore ordinario, pari al 5% ed ipotizzando un periodo di 25 anni (compresi i dodici anni già trascorsi), compatibile per la realizzazione degli interventi secondo i parametri urbanistici».
In modo altrettanto poco intellegibile la Corte di merito ha argomentato che «uesta previsione di un periodo di 25 anni, pari a circa il doppio del tempo già trascorso, si ritiene senz’altro condivisibile, considerata l’attuale situazione del parco (in cui, come si è già rilevato, non è stato realizzato neanche un chiosco) ed il particolare contesto economico (puntualmente analizzato dallo stesso CTU)».
In sostanza, la Corte d’appello non in alcun modo considerato la presenza in atti di due distinte relazioni del CTU, imperniate su due diversi criteri di stima.
Eppure, come detto, nella prima relazione il CTU ha operato – in modo poco comprensibile – la sommatoria di due diversi valori, il primo, meramente agricolo e, il secondo, derivante dall’utilizzazione intermedia, con applicazione della percentuale 35% (pure invocando quella del 40%).
La Corte territoriale, invece, si è soffermata sul criterio di trasformazione, con riferimento all’utilizzo intermedio, seppure graduato e decurtato sulla base di indici economici e matematici poco comprensibili («in base ai principi della matematica finanziaria, applicando un interesse medio annuo per l’intero periodo»).
Si verte, dunque, in una ipotesi di motivazione apparente.
Il secondo motivo è infondato.
8.1. Non v’è stata alcuna violazione del principio di diritto scaturente dalla sentenza di questa Corte n. 24783 del 2016.
In realtà, non si rinviene un giudicato interno, in base al quale la Corte d’appello, in sede di rinvio, sarebbe stata costretta a calcolare il valore venale dei beni esclusivamente utilizzando il metodo sintetico-comparativo.
È stato accolto, infatti, esclusivamente il primo motivo di impugnazione del ricorrente, attore in prime cure, fondato sulla sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, che ha escluso l’utilizzo esclusivo dei VAM per il computo del valore venale dei terreni agricoli.
Il quarto motivo di ricorso per cassazione, nel precedente giudizio di legittimità, relativo all’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione da parte della Corte d’appello in ordine alla stima attuata dal CTU con metodo sintetico-comparativo, senza la comparazione con specifici atti indicati dall’attore, è stato ritenuto assorbito.
Questa Corte si è limitata ad affermare, in accoglimento del primo motivo, che la Corte d’appello, in sede di rinvio, avrebbe do-
vuto tenere conto della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, determinando il pieno valore di mercato dei terreni, «sia pure considerandone l’accertata natura inedificabile».
Con la specificazione per cui «il tenore della impugnata sentenza non consente di evincere che conclusivamente la determinazione delle indennità di espropriazione e di occupazione legittima sia già avvenuta al valore di mercato di tutto il compendio, tramite l’uso del criterio sintetico-comparativo: per i terreni, infatti, viene fatto reiterato richiamo al diverso criterio astratto dei valori agricoli medi tabellari, senza escluderne o limitarne la concreta applicazione, che anzi appare indistintamente e contraddittoriamente accomunata allo esito conseguito col diverso metodo sintetico-comparativo di stima».
Pertanto, questa Corte si è limitata a prendere atto che la precedente valutazione, sia pure effettuata con il metodo sintetico-comparativo, non consentiva di comprendere l’effettivo valore che era stato dato dal CTU, e quindi dalla Corte d’appello, in ordine all’utilizzo dei VAM.
Non v’è, dunque, giudicato interno sul necessario utilizzo del criterio sintetico comparativo.
I restanti motivi sono assorbiti, a seguito dell’accoglimento del primo motivo.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso; rigetta il secondo motivo; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Lecce, in diversa
composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 luglio 2025