Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13008 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13008 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30394/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) ed NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante NOME COGNOME, nonché NOME COGNOME in proprio, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO INDIRIZZO,
presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi disgiuntamente dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al controricorso,
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BRESCIA n.1014/2019 depositata il 21.6.2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23.4.2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione dell’1.3.2005 la RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi per brevità RAGIONE_SOCIALE) conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Brescia la RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi per brevità RAGIONE_SOCIALE) ed in proprio il legale rappresentante della stessa, COGNOME NOME, per sentirli condannare in via alternativa, ed il secondo ex art. 2043 cod. civ., al risarcimento dei danni subiti, quantificati in € 1.500.000,00, o in altra somma di giustizia, derivati dall’asserita violazione del diritto di esclusiva relativo al rapporto di agenzia intercorso tra le due società tra il 2002 ed il dicembre 2004, sulla base del contratto verbale del 7.7.2002. In base a tale contratto alla RAGIONE_SOCIALE era stato conferito l’incarico di promuovere la vendita di sedili da bagno di vari modelli e materiali prodotti dalla RAGIONE_SOCIALE presso la grande distribuzione nei paesi della Comunità Europea ed in altre zone da concordare di volta in volta, con asserito obbligo per l’agente di non trattare gli affari di imprese concorrenti, e con riserva alla preponente di alcuni clienti direzionali, mentre la RAGIONE_SOCIALE avrebbe violato l’esclusiva, occupandosi, con l’ausilio del COGNOME, della vendita di sedili da
bagno prodotti dalla concorrente RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, già cliente da vari anni della RAGIONE_SOCIALE, come emerso dal contratto pervenuto per errore alla RAGIONE_SOCIALE, incassando dalla RAGIONE_SOCIALE la relativa provvigione. Avendo la RAGIONE_SOCIALE contestato con fax del 23.11.2004 tale violazione, ottenendo in risposta il fax del 27.11.2004 col quale la COGNOME aveva negato ogni addebito aggiungendo che non le risultava l’esistenza di un contratto di agenzia tra le due società, la RAGIONE_SOCIALE, con raccomandata a.r. dell’1.12.2004, aveva comunicato alla RAGIONE_SOCIALE il suo recesso per giusta causa con effetto immediato, ed in sede giudiziale aveva ricollegato il suo recesso anche ad ulteriori violazioni dell’esclusiva che la RAGIONE_SOCIALE, con l’ausilio del COGNOME, avrebbe posto in essere successivamente con altre imprese concorrenti.
Si costituivano nel giudizio di primo grado la COGNOME ed il COGNOME, che chiedevano l’estromissione del COGNOME in quanto estraneo alla vicenda, e nel merito contestavano l’esistenza del vincolo di esclusiva, facendo anche presente che la COGNOME, prima della costituzione della RAGIONE_SOCIALE nel 2002, aveva operato a favore di altre imprese mandanti, la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, tutte riconducibili alla famiglia COGNOME, che avevano venduto propri rami di azienda per la costituzione della RAGIONE_SOCIALE, e che quest’ultima, in corso di rapporto di agenzia, si era avvalsa in Germania di altri due agenti, la RAGIONE_SOCIALE e la COGNOME. In via riconvenzionale la COGNOME chiedeva di accertare che la RAGIONE_SOCIALE era receduta dal contratto di agenzia in tronco senza giusta causa, e di condannare conseguentemente la stessa, per quanto ancora rileva, al pagamento in favore della COGNOME dell’indennità di mancato preavviso e dell’indennità per cessazione del rapporto.
Il Tribunale di Brescia, assunte prove testimoniali ed espletata CTU, con la sentenza n. 492/2015 dell’11.2.2015, rigettava la domanda della RAGIONE_SOCIALE di risarcimento danni per lesione dell’esclusiva, accoglieva parzialmente le riconvenzionali della
COGNOME, condannando la RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della stessa della complessiva somma di € 567.317,31 con interessi legali sulla somma di € 513.517,88 dovuta per l’indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 cod. civ. e per l’indennità sostitutiva di preavviso dall’1.12.2004, e sulla somma di € 53.799,43 dovuta per le provvigioni maturate in un tempo ragionevole successivo alla cessazione del rapporto dall’1.2.2005, e compensava le spese processuali e poneva le spese di CTU a carico delle parti per metà ciascuna.
4) Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE, che riproponeva la domanda di risarcimento danni per violazione dell’esclusiva, sostenendo, in contrasto con quanto affermato nella citazione di primo grado, che a recedere dal contratto di agenzia era stata la RAGIONE_SOCIALE e che quindi era infondata la riconvenzionale di quest’ultima di accertamento del recesso esercitato dalla RAGIONE_SOCIALE per violazione dell’esclusiva per difetto di giusta causa, censurava la sentenza di primo grado per avere escluso la violazione dell’esclusiva da parte della RAGIONE_SOCIALE ritenendo tale violazione non provata anche in relazione alle ulteriori violazioni dell’esclusiva allegate nella citazione di primo grado, negava la spettanza dell’indennità di mancato preavviso in quanto sarebbe stata la RAGIONE_SOCIALE a recedere dal contratto di agenzia e non la RAGIONE_SOCIALE, e la spettanza dell’indennità di cessazione del rapporto in quanto la RAGIONE_SOCIALE non aveva fornito prova di avere procurato nuovi clienti alla RAGIONE_SOCIALE, né di avere sviluppato gli affari esistenti, né che dopo la cessazione del rapporto di agenzia la RAGIONE_SOCIALE avesse conservato i vantaggi sostanziali ottenuti dagli affari conclusi coi clienti procurati dalla RAGIONE_SOCIALE, evidenziando che secondo la CTU (pagina 72) il fatturato della RAGIONE_SOCIALE dei clienti intermediati dalla RAGIONE_SOCIALE durante il contratto di agenzia (2002 -2004) si era solo lievemente incrementato, mentre dopo il recesso, nel periodo 2005 – 2007, si era dimezzato, e negava la spettanza delle provvigioni per gli affari
riconducibili all’attività promozionale della RAGIONE_SOCIALE la cui proposta era pervenuta al preponente e/o all’agente in data antecedente al recesso, ma che si erano poi conclusi dopo lo scioglimento del rapporto.
Si costituivano in secondo grado la COGNOME ed il COGNOME, che chiedevano il rigetto dell’appello, non senza evidenziare (vedi pagina 42 e seguenti della comparsa di costituzione in appello) la novità ed inammissibilità della tesi sostenuta per la prima volta nell’atto di appello avversario, che a recedere dal contratto di agenzia senza giusta causa fosse stata la COGNOME, e non, come pacifico nel giudizio di primo grado, la RAGIONE_SOCIALE con la raccomandata dell’1.12.2004, con la quale il recesso della stessa dal contratto era stato giustificato con l’asserita violazione dell’esclusiva da parte della RAGIONE_SOCIALE per la vendita di sedili da bagno promossa tra la concorrente RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’Appello di Brescia, dopo avere sospeso in via provvisoria l’esecutività della sentenza di primo grado, con la sentenza n. 1014/2019 del 19/21.6.2019, rigettava l’appello della RAGIONE_SOCIALE e la condannava al pagamento delle spese processuali di secondo grado, da distrarre in favore dei legali antistatari degli appellati.
In particolare la sentenza di secondo grado premetteva che per l’effetto devolutivo dell’appello i motivi specifici di impugnazione dovevano essere intesi come elementi individuatori della parte di sentenza appellata, e per tale tramite, della parte del rapporto sostanziale controverso in primo grado devoluta al giudice di appello, e quindi di tutte le questioni di fatto e di diritto sollevate, o comunque conoscibili in primo grado, che costituivano o potevano costituire antecedente logico necessario ai fini della pronuncia di esistenza o inesistenza della parte del rapporto sostanziale controverso devoluta al giudice di appello. Da ciò tale sentenza desumeva implicitamente che i primi due motivi di appello della
RAGIONE_SOCIALE, che avevano contestato rispettivamente la ritenuta infondatezza del recesso della RAGIONE_SOCIALE dal contratto di agenzia esercitato per violazione del diritto di esclusiva con conseguente rigetto della domanda della RAGIONE_SOCIALE di risarcimento danni per violazione dell’esclusiva, ed il ritenuto difetto di prova della violazione dell’esclusiva da parte della RAGIONE_SOCIALE anche in relazione alle asserite violazioni di esclusiva che erano state contestate dalla RAGIONE_SOCIALE in citazione, avevano rimesso in discussione il tema dell’esistenza dell’esclusiva, delle deroghe alla stessa e della prova dei limiti di tali deroghe.
La sentenza impugnata rilevava quindi la bilateralità dell’esclusiva ex art. 1743 cod. civ., qualificandola come elemento naturale anche se non essenziale del contratto di agenzia, riconoscendone la derogabilità in forza di clausola espressa, o di tacita manifestazione di volontà, desumibile dal comportamento tenuto dalle stesse parti, sia al momento della conclusione del contratto, che durante l’esecuzione.
La sentenza impugnata, discostandosi da quella di primo grado, che aveva ritenuto l’esclusiva esistente, ma derogata solo in favore dell’agente pur riconoscendo che la preponente era stata abilitata a conservare i clienti direzionali, riteneva non contestata l’esistenza di deroghe al diritto di esclusiva (l’operatività consentita al preponente in Germania attraverso gli agenti COGNOME ed COGNOME, ed all’agente nel territorio portoghese per la vendita dei sedili da bagno prodotti dalla RAGIONE_SOCIALE riferiti dal teste COGNOME), ma non provata l’estensione di tali deroghe (si citava a conforto Cass. n. 8053/1999), e da ciò faceva discendere che le parti avevano inteso derogare al reciproco diritto di esclusiva ex art. 1743 cod. civ., e per tale ragione riteneva assorbite le doglianze della RAGIONE_SOCIALE relative alla correttezza della valutazione delle prove circa la violazione del diritto di esclusiva, incidenti anche sulla sussistenza della giusta causa del recesso.
La sentenza medesima disattendeva, invece, le censure mosse dall’appellante alla corretta determinazione delle indennità di scioglimento del contratto di agenzia (indennità sostitutiva di preavviso ed indennità di cessazione del rapporto), ritenendo che la RAGIONE_SOCIALE non avesse indicato specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invocava il controllo di logicità, avendo omesso di riportare i passaggi salienti della relazione del CTU non condivisi e le critiche specifiche ad essi mosse per consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione, richiamando a supporto le sentenze della Corte di Cassazione n. 16368/2014 e n. 13845/2007, ed essendosi l’appellante asseritamente limitato a contrapporre alle conclusioni del CTU proprie diverse valutazioni, senza evidenziare gli errori nei quali le prime sarebbero incorse.
Avverso tale sentenza, notificata l’8.7.2019, ha proposto ricorso alla Suprema Corte, notificato alla RAGIONE_SOCIALE ed al COGNOME il 14/19.11.2019, la RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a cinque motivi, e resistono la RAGIONE_SOCIALE ed il COGNOME con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 329 comma 2° c.p.c. per l’intervenuta acquiescenza in ordine all’esistenza, nel contratto verbale di agenzia concluso dalla RAGIONE_SOCIALE con la RAGIONE_SOCIALE il 7.7.2002, del diritto di esclusiva.
Deduce la ricorrente che il Tribunale di Brescia, anche se in modo non chiaro, aveva statuito a pagina 9 che per un verso nessuna violazione del diritto di esclusiva dell’agente si era verificata e che non era emerso che le parti avessero mai derogato
al diritto di esclusiva della preponente, riconoscendo quindi che il rapporto di agenzia era connotato dal vincolo di esclusiva, tanto che poi il giudice di primo grado aveva esaminato le prove per verificare se vi fosse stata violazione di tale vincolo ad opera dell’agente, pervenendo però ad un’erronea conclusione negativa e deducendone l’irrilevanza ai fini della sussistenza della giusta causa, e che poiché l’esistenza dell’esclusiva non era stata attinta dall’appello principale e non vi era stato appello incidentale, sul punto doveva ritenersi intervenuta l’acquiescenza tacita parziale impropria.
Col secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’articolo 360 comma primo n. 3) c.p.c. ( rectius n. 4) c.p.c.), la violazione dell’art. 101 comma 2° c.p.c., sostenendo che la Corte d’Appello di Brescia, prima di decidere, avrebbe dovuto sottoporre al contraddittorio delle parti la questione della deroga per comportamento concludente ad opera delle parti dell’esclusiva del contratto di agenzia.
I primi due motivi, inerenti entrambi all’accertamento compiuto in secondo grado in ordine alla deroga per comportamento concludente delle parti all’esclusiva del contratto verbale di agenzia, vanno esaminati congiuntamente e sono infondati.
Va premesso che tali due motivi non possono essere ritenuti inammissibili per difetto di interesse per non avere la RAGIONE_SOCIALE specificamente impugnato la premessa fatta dalla sentenza della Corte d’Appello di Brescia sull’effetto devolutivo dell’appello (riportata all’inizio di pagina 4 di questa ordinanza), come invece eccepito dai controricorrenti, in quanto tale premessa non é sfociata in un autonomo capo di sentenza che possa costituire giudicato interno, non essendo stato richiesto sul punto, né disposto, un autonomo accertamento, ed é comunque direttamente
coinvolta dal motivo del richiesto accertamento di acquiescenza parziale.
L’art. 329 comma 2° c.p.c. sulla cosiddetta acquiescenza parziale, stabilisce che ” l’impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata “. Siffatta previsione, però, presuppone che le parti della sentenza non siano collegate da un nesso per il quale l’impugnazione della parte principale, se accolta, comporterebbe un effetto automatico e necessario su altre parti. In dottrina si sottolinea che il principio enunciato dall’art. 329, comma 2° c.p.c. può valere solo per i capi che siano autonomi e indipendenti da quello impugnato, e la giurisprudenza della Suprema Corte è orientata nello stesso senso, precisando che è capo autonomo della sentenza -suscettibile di formare oggetto di giudicato interno -solo quello che risolva una questione controversa tra le parti, caratterizzata da individualità e autonomia, sì da integrare, in astratto, gli estremi di un decisum affatto indipendente, ma non anche quello relativo ad affermazioni che siano mera premessa logica della statuizione in concreto adottata (Cass. sez. lav. 6.2.2024 n. 3358; Cass. 31.1.2018 n.2379; Cass. 30.10.2007 n. 22863).
Altra norma in tema di sentenze articolate in più parti è l’art. 336 c.p.c., che si occupa degli effetti della riforma o cassazione della sentenza impugnata. Questa previsione regola specificamente l’eventualità in cui la sentenza consti di una parte principale e di una dipendente e dispone, al comma 1, che ” La riforma o la cassazione parziale ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata o cassata “.
Nel caso di specie le argomentazioni, peraltro contraddittorie, della sentenza di primo grado, relative al diritto di esclusiva ed alla sua deroga, non sono sfociate in autonome statuizioni non impugnate, e sono state svolte come premessa logica delle decisioni adottate sulla domanda di risarcimento danni per lesione
dell’esclusiva avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE e sulla riconvenzionale della RAGIONE_SOCIALE di accertamento che il recesso in tronco della RAGIONE_SOCIALE dal contratto di agenzia per violazione da parte dell’agente dell’esclusiva era avvenuto senza causa. Per l’effetto devolutivo dell’appello, pertanto, a seguito della proposizione dei primi due motivi dell’appello della RAGIONE_SOCIALE, che avevano contestato rispettivamente la ritenuta infondatezza del recesso della RAGIONE_SOCIALE dal contratto di agenzia esercitato per violazione del diritto di esclusiva con conseguente rigetto della domanda della RAGIONE_SOCIALE di risarcimento danni per violazione dell’esclusiva, ed il ritenuto difetto di prova della violazione dell’esclusiva da parte della RAGIONE_SOCIALE anche in relazione alle asserite violazioni di esclusiva che erano state contestate dalla RAGIONE_SOCIALE in citazione, erano state riproposte anche le questioni dell’esistenza del diritto di esclusiva, della deroga allo stesso e dei limiti ad essa, che dovevano essere accertate per addivenire all’invocata pronuncia in secondo grado sul risarcimento danni per lesione dell’esclusiva da parte dell’agente, e sulla legittimità o meno del recesso in tronco della preponente che era stato esercitato per l’asserita lesione di tale esclusiva da parte dell’agente.
Quanto all’asserita violazione dell’art. 101 comma 2° c.p.c., va detto che la Corte d’Appello non era affatto tenuta a sottoporre nuovamente al contraddittorio delle parti, prima di decidere, la questione dell’esistenza del diritto di esclusiva del contratto di agenzia, delle deroghe ad essa e della loro estensione, trattandosi di questioni sulle quali pacificamente le parti avevano discusso già nel giudizio di primo grado. In secondo grado, poiché tali questioni non erano sfociate in autonomi capi di sentenza, e poiché la COGNOME ed il COGNOME non erano risultati soccombenti in ordine alla riconvenzionale di accertamento dell’intervenuto recesso della RAGIONE_SOCIALE senza giusta causa, ed in ordine alla domanda di quest’ultima di risarcimento danni per violazione dell’esclusiva, gli
originari convenuti non erano tenuti a proporre appello incidentale, risultando sufficiente il richiamo alle argomentazioni svolte negli atti del giudizio di primo grado espressamente richiamate alla pagina 12 della comparsa di costituzione in appello e nella comparsa conclusionale del giudizio di secondo grado per dimostrare che gli stessi non avevano inteso rinunciare alla tesi, già sostenuta in prime cure, che le parti col loro comportamento concludente avessero escluso l’esistenza dell’esclusiva. La questione indicata, del resto, faceva già parte del tema controverso, in ragione dell’effetto devolutivo dell’appello sopra esaminato.
12) Col terzo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1743 e 2697 cod. civ..
Si duole la ricorrente che l’impugnata sentenza abbia dichiarato che ” E’ incontestato tra le parti che nel rapporto di agenzia in esame la preponente – dopo l’insorgenza del rapporto di agenzia ha operato in Germania attraverso l’opera di altri soggetti quali RAGIONE_SOCIALE e COGNOME, mentre l’agente nel territorio del Portogallo si occupava della vendita dei sedili da bagno prodotti dalla ditta RAGIONE_SOCIALE (dichiarazione teste RAGIONE_SOCIALE)”, mentre da un lato non era in discussione la violazione del diritto di esclusiva da parte della RAGIONE_SOCIALE, e dall’altro il teste COGNOME aveva in realtà dichiarato nel verbale di udienza del 25.2.2009 che ” la vendita dei sedili alla RAGIONE_SOCIALE veniva promossa da RAGIONE_SOCIALE sempre per conto della RAGIONE_SOCIALE“, per cui la Corte d’Appello aveva assolto la RAGIONE_SOCIALE dall’onere di provare ex art. 2697 cod. civ. di avere tenuto condotte incompatibili col vincolo di esclusiva per il periodo dal 2002 al 2004.
Premesso che non é dato comprendere sotto quale profilo la Corte d’Appello avrebbe violato il principio della bilateralità dell’esclusiva dell’art. 1743 cod. civ., che se é vero che prevede che
il preponente non possa valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività, e che l’agente non possa assumere l’incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro, é anche vero che codifica un elemento naturale ma non essenziale del contratto di agenzia, che ben può essere derogato dalle parti con espresso accordo, o per comportamento concludente, e che nella specie il giudice di secondo grado con valutazione di fatto non sindacabile in questa sede ha ravvisato tale ultima ipotesi, va detto che non vi é stata alcuna violazione del principio dell’onere probatorio dell’art. 2697 cod. civ., avendo l’impugnata sentenza ritenuto dimostrata dalla COGNOME, attraverso la deposizione del teste COGNOME, la deroga al principio di esclusiva a favore dell’agente.
Quanto poi alla lamentata difformità di contenuto esistente tra quanto riportato nella sentenza impugnata a pagina 12 primo capoverso (” l’agente nel territorio del Portogallo si occupava della vendita dei sedili da bagno prodotti dalla ditta RAGIONE_SOCIALE “) e quanto effettivamente riportato nel verbale di udienza del 25.2.2009 (” la vendita dei sedili alla RAGIONE_SOCIALE veniva promossa da RAGIONE_SOCIALE sempre per conto della RAGIONE_SOCIALE “) in merito al contenuto delle deposizione del teste COGNOME, quello che é stato lamentato é un chiaro errore di percezione e non di valutazione della testimonianza, che in quanto tale doveva essere fatto oggetto di revocazione ex art. 395 n. 4) c.p.c. davanti alla stessa Corte d’Appello di Brescia, ma non può essere fatto valere col ricorso in cassazione.
L’errore revocatorio consiste, infatti, in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia
costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato (Cass. 17.4.2024 n. 10358; Cass. sez. un. 5.3.2024 n.5792; Cass. n. 442/2018). In particolare ci si duole della non corrispondenza del dato informativo acriticamente riportato nella sentenza impugnata circa il contenuto della deposizione del teste COGNOME, senza compiere alcuna valutazione, e l’effettivo contenuto di tale testimonianza palesemente ed oggettivamente divergente, ma un siffatto travisamento della prova acquisita, anche alla luce dell’orientamento recentemente espresso dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, doveva essere fatto oggetto di revocazione ex art. 395 n. 4) c.p.c. davanti alla Corte d’Appello, involgendo una valutazione di fatto, non potendo rientrare tra i vizi di legittimità denunciabili in cassazione.
13) Col quarto motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. per l’errata affermazione circa l’insussistenza di critiche specifiche alle risultanze della CTU nell’atto di appello.
Lamenta la ricorrente che l’impugnata sentenza alle pagine 13 e 14 ha riportato che la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe indicato specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invocava il controllo di logicità, avendo omesso di riportare i passaggi salienti della relazione del CTU non condivisi e le critiche specifiche ad essi mosse per consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione, richiamando a supporto le sentenze della Corte di Cassazione n. 16368/2014 e n. 13845/2007, e che la RAGIONE_SOCIALE si sarebbe limitata a contrapporre alle conclusioni del CTU, proprie diverse valutazioni, senza evidenziare gli errori nei quali le prime sarebbero incorse.
Osserva, di contro, la ricorrente, che nell’atto di appello aveva evidenziato che nessuna indennità per mancato preavviso doveva essere corrisposta alla RAGIONE_SOCIALE perché era stata quella a sciogliere il rapporto di agenzia senza alcuna riserva, prima ancora che la
RAGIONE_SOCIALE con la raccomandata dell’1.12.2004 le comunicasse il proprio recesso in tronco per violazione dell’esclusiva, e non aveva contestato invece la quantificazione di tale indennità operata dal CTU.
Quanto all’indennità di cessazione del rapporto, invece, osserva la ricorrente, che alle pagine 21 e 22 dell’atto di appello aveva contestato la spettanza di tale indennità, non per erroneità dei calcoli compiuti dal CTU, ma perché la COGNOME non aveva fornito prova, come era suo onere, della sussistenza dei due presupposti di tale indennità previsti dall’art. 1751 cod. civ., rappresentati dall’incremento della clientela del preponente o sensibile sviluppo degli affari con i clienti già esistenti, e dal permanere dopo la cessazione del rapporto di agenzia di vantaggi sostanziali per il preponente derivanti dagli affari conclusi coi clienti procurati dall’agente. Aggiunge la ricorrente, che alla pagina 15 dell’appello, aveva evidenziato che il CTU alla pagina 72 della sua relazione aveva riportato un fatturato procurato alla RAGIONE_SOCIALE dalla RAGIONE_SOCIALE nel periodo 2002 -2004 di € 22.129.522,42, sceso nel periodo successivo alla risoluzione del rapporto 2005 -2007 ad €12.95.344,33, sostenendo che tale dimezzamento di fatturato poteva eventualmente essere stato determinato anche da fattori legati alla dinamica naturale della vita di impresa, indipendenti quindi dalla rottura del rapporto con l’agente COGNOME, mentre egli aveva richiamato in contrario gli esiti della prova testimoniale che avevano dimostrato che negli anni successivi alla risoluzione del rapporto di agenzia, e precisamente nel 2005 e 2006, la COGNOME aveva cominciato a collaborare con le società concorrenti della RAGIONE_SOCIALE, quali la RAGIONE_SOCIALE NOME corrente in INDIRIZZO, INDIRIZZO, e la società portoghese RAGIONE_SOCIALE, nonché le risultanze dell’interrogatorio formale di COGNOME NOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, che aveva ammesso di avere iniziato ad avere contatti con la RAGIONE_SOCIALE nel novembre 2004 ed
a lavorare con essa a febbraio 2005, sicché il calo di fatturato della RAGIONE_SOCIALE dopo la risoluzione del rapporto di agenzia era dipeso proprio dal comportamento posto in essere dalla RAGIONE_SOCIALE, e non da dinamiche naturali della vita dell’impresa RAGIONE_SOCIALE come ipotizzato dal CTU.
14) Col quinto motivo, connesso al precedente, la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 comma primo n. 4) c.p.c., per avere reso una motivazione meramente apparente sui motivi di appello che erano stati formulati sulle statuizioni del Tribunale di Brescia che avevano accolto le domande della RAGIONE_SOCIALE di pagamento dell’indennità per mancato preavviso e dell’indennità di cessazione del rapporto.
Deduce la ricorrente che l’impugnata sentenza non ha fornito alcuna spiegazione specifica e pertinente ai motivi d’impugnazione fatti valere dalla RAGIONE_SOCIALE, sopra riportati, formulando rilievi di genericità delle censure alla CTU avulsi dal concreto contenuto dei motivi d’impugnazione proposti, finendo così per rendere una motivazione meramente apparente alle doglianze dell’appellante relative alle domande della RAGIONE_SOCIALE dell’indennità per mancato preavviso e dell’indennità di cessazione del rapporto, che erano state accolte in primo grado.
15) Gli ultimi due motivi di ricorso, inerenti alle risposte date dalla Corte d’Appello alle doglianze della RAGIONE_SOCIALE relative all’indennità per mancato preavviso ed all’indennità per cessazione del rapporto ex art. 1751 cod. civ., vanno esaminati congiuntamente, e sono fondati, in quanto la Corte d’Appello ha reso sul punto una motivazione meramente apparente, inidonea a spiegare le effettive ragioni della decisione adottata, perché non si é affatto confrontata col contenuto dei motivi che erano stati fatti valere dalla RAGIONE_SOCIALE, che per quanto sopra riportato, non erano relativi a contestazioni dei conteggi compiuti dal CTU in primo grado, per le quali si potesse
censurare la genericità e la mancanza di critiche puntuali idonee a far comprendere il difetto di motivazione lamentato secondo l’orientamento della Suprema Corte sbrigativamente richiamato in motivazione (Cass. n. 16368/2014 e n.13845/2007), attenendo piuttosto alla contestazione dei presupposti stessi delle due indennità, che andavano evidentemente verificati dalla Corte d’Appello e che non erano stati rimessi in primo grado, né potevano esserlo, al giudizio del CTU.
La contestazione dell’indennità per mancato preavviso era avvenuta, infatti, nell’atto di appello, da parte della RAGIONE_SOCIALE, sostenendo che in realtà era stata la stessa COGNOME a sciogliere il rapporto di agenzia senza alcuna riserva, prima ancora che la RAGIONE_SOCIALE con la raccomandata dell’1.12.2004 le comunicasse il proprio recesso in tronco per violazione dell’esclusiva, per cui la Corte avrebbe dovuto valutare anzitutto se fosse ammissibile tale prospettazione rispetto a quella compiuta dalla RAGIONE_SOCIALE in primo grado, ossia che il rapporto si era risolto a seguito del suo recesso con raccomandata a.r. dell’1.12.2004, ed eventualmente se fosse o meno fondata.
La contestazione dell’indennità di cessazione del rapporto riconosciuta in primo grado alla RAGIONE_SOCIALE, era a sua volta avvenuta, nell’atto di appello, da parte della RAGIONE_SOCIALE, non per rilievi generici ai conteggi relativi del CTU, ma nel rispetto dell’art. 342 c.p.c., con la critica mossa in ordine alla sussistenza dei due presupposti dell’indennità di cessazione del rapporto desumibili dall’art. 1751 cod. civ., rappresentati dalla compresenza di un incremento della clientela del preponente o sensibile sviluppo degli affari con i clienti già esistenti, e dal permanere dopo la cessazione del rapporto di agenzia di vantaggi sostanziali per il preponente derivanti dagli affari conclusi coi clienti procurati dall’agente. Peraltro, almeno in relazione a tale ultimo presupposto, la censura era stata mossa in modo specifico, sulla base di dati emergenti dalla stessa CTU sul
calo di fatturato nel periodo 2005 -2007, e di richiami a risultanze di prove testimoniali e per interpello, contrastanti col giudizio espresso dal CTU circa la mera eventualità che il calo di fatturato riscontrato in quel triennio fosse stato determinato da non meglio precisati fattori legati alla dinamica naturale della vita di impresa, indipendenti quindi dalla rottura del rapporto con l’agente COGNOME.
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, ” La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture ” (Cass. 22.2.2018 n. 4294; Cass. sez. un. 3.11.2016 n. 22232).
La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
sì deciso nella camera di consiglio del 23.4.2024
Il Presidente NOME COGNOME