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Motivazione apparente: Cassazione annulla sanzione UIF

La Corte di Cassazione ha annullato una sanzione per omessa segnalazione di operazione sospetta, irrogata a una società fiduciaria. La decisione della Corte d’Appello, che aveva aumentato la sanzione basandosi su una presunta ‘pluralità di operazioni’, è stata cassata per motivazione apparente, in quanto il ragionamento del giudice è risultato contraddittorio e incomprensibile. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Motivazione Apparente: perché la Cassazione richiede chiarezza ai giudici

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale del nostro sistema processuale: le sentenze devono essere motivate in modo chiaro e comprensibile. Quando ciò non avviene, si cade nel vizio di motivazione apparente, un difetto grave che può portare all’annullamento della decisione. Il caso in esame riguarda una sanzione antiriciclaggio aumentata dalla Corte d’Appello con un ragionamento ritenuto contraddittorio e illogico, offrendo uno spunto prezioso per comprendere i doveri dei giudici e i diritti delle parti.

I Fatti del Caso: Una Sanzione Antiriciclaggio Contesa

Una società fiduciaria e un suo cliente si sono visti recapitare un decreto sanzionatorio per non aver segnalato all’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) un’operazione sospetta del valore di 600.000 euro. L’operazione era legata al rimpatrio di capitali dall’estero tramite lo “scudo fiscale” e presentava, secondo gli ispettori, anomalie significative, come una palese diseconomicità e una valorizzazione incongruente di quote societarie.

Il Tribunale, in prima istanza, aveva ridotto la sanzione a soli 3.000 euro, riconoscendo l’unicità dell’operazione e l’assenza di elementi aggravanti. Tuttavia, la Corte d’Appello, su ricorso del Ministero dell’Economia, ha ribaltato la decisione, elevando la sanzione a 40.000 euro. La ragione? La Corte ha ritenuto che si trattasse di una “pluralità di operazioni non segnalate”, giustificando così l’applicazione di una cornice sanzionatoria più severa.

La Decisione della Cassazione: il Vizio di Motivazione Apparente

I ricorrenti hanno impugnato la sentenza d’appello davanti alla Corte di Cassazione, lamentando principalmente una motivazione apparente. Essi sostenevano che la Corte d’Appello avesse affermato la pluralità delle operazioni in modo apodittico, senza spiegare come e perché fosse giunta a tale conclusione, contraddicendosi peraltro poche righe dopo, dove la sanzione veniva parametrata al “ristretto numero di operazioni”.

La Suprema Corte ha accolto questo motivo. Ha evidenziato come la giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, sia consolidata nel definire la motivazione come “apparente” quando, pur esistendo graficamente, non permette di comprendere il ragionamento seguito dal giudice. Le argomentazioni devono essere idonee a far conoscere il fondamento della decisione, non lasciando all’interprete il compito di tirare a indovinare.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha rilevato che la Corte d’Appello ha dato per scontato che si trattasse di plurime operazioni, su cui ha poi calcolato l'”ammontare complessivo”, riformando così la decisione di primo grado che, al contrario, aveva motivatamente ravvisato una sola operazione. La sentenza d’appello, però, non ha spiegato le ragioni logiche che l’hanno portata a una conclusione così diversa. Questa lacuna rende il percorso argomentativo incomprensibile e, di conseguenza, vizia la sentenza.

Il giudice non può limitarsi ad enunciare una conclusione; deve esporre l’iter logico-giuridico che lo ha condotto a quella determinata scelta. In questo caso, passare dalla qualificazione di “operazione unica” a “pluralità di operazioni” senza un’adeguata spiegazione ha reso la motivazione meramente apparente, violando il diritto della parte a comprendere le ragioni della decisione e il dovere del giudice di renderne conto.

Le conclusioni

L’ordinanza ha quindi cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per un nuovo esame. Il nuovo giudice dovrà rimediare alla lacuna motivazionale e decidere nuovamente sulla questione, spiegando in modo chiaro e coerente se si tratti di una o più operazioni e determinando la sanzione di conseguenza. Questa decisione rafforza la garanzia di un giusto processo, in cui ogni provvedimento giurisdizionale deve essere supportato da una motivazione effettiva e non solo di facciata.

Quando una motivazione di una sentenza si definisce “apparente”?
Secondo la Corte di Cassazione, una motivazione è apparente quando, pur essendo graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione perché contiene argomentazioni oggettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice, oppure è talmente contraddittoria da non permettere di ricostruire l’iter logico.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte d’Appello?
La Corte ha annullato la decisione perché la motivazione era apparente. La Corte d’Appello aveva affermato che si trattava di una “pluralità di operazioni” per giustificare una sanzione più alta, ma non ha spiegato le ragioni di tale conclusione, contraddicendo la valutazione del primo giudice e risultando essa stessa contraddittoria, senza fornire un percorso logico comprensibile.

Qual è la differenza tra un’operazione finanziaria unica e una “pluralità di operazioni” ai fini sanzionatori?
La distinzione è cruciale perché la legge prevede regimi sanzionatori diversi. Una violazione legata a un’operazione unica può ricadere in una fascia sanzionatoria più bassa (nel caso di specie, la sanzione base era di 3.000 euro). La qualificazione come “pluralità di operazioni non segnalate”, invece, può far scattare una fattispecie aggravata, con sanzioni edittali significativamente più elevate (nel caso di specie, da 30.000 a 300.000 euro).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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