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Motivazione apparente: Cassazione annulla decreto

Un ex sottufficiale si è visto negare l’equo indennizzo per la durata eccessiva di un procedimento disciplinare. La Corte d’Appello ha rigettato la sua richiesta con una motivazione apparente, limitandosi a citare la norma senza analizzare i fatti. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la decisione e ribadendo che il giudice deve fornire una motivazione concreta e che spetta all’Amministrazione provare l’abuso del processo da parte del cittadino.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Motivazione Apparente: La Cassazione Annulla il Rigetto della Domanda di Equo Indennizzo

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto processuale: il vizio di motivazione apparente. Questo concetto si verifica quando un giudice, pur scrivendo una motivazione, non spiega realmente le ragioni della sua decisione, rendendola di fatto ingiustificata. Il caso riguarda la richiesta di equo indennizzo per la durata eccessiva di un processo, negata dalla Corte d’Appello con argomentazioni ritenute insufficienti dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Un ex sottufficiale della Guardia di Finanza aveva avviato un giudizio amministrativo nel 2011 per impugnare una sanzione disciplinare. Il processo si è protratto per dieci anni. A causa di questa eccessiva durata, l’interessato ha richiesto un equo indennizzo allo Stato, come previsto dalla Legge Pinto.

La Corte d’Appello di Roma ha rigettato la sua domanda. La decisione si basava sull’articolo 2, comma 2-quinquies della Legge 89/2001, che esclude l’indennizzo per chi agisce in giudizio con la consapevolezza che la propria domanda sia infondata. Secondo i giudici di merito, tale consapevolezza derivava dal fatto che il ricorrente custodiva presso la sua abitazione privata atti investigativi segreti che lo riguardavano.

Il Ricorso in Cassazione e la Motivazione Apparente

L’ex sottufficiale ha impugnato la decisione della Corte d’Appello dinanzi alla Cassazione, lamentando una motivazione apparente. Egli sosteneva che i giudici di secondo grado non avessero realmente esaminato le sue argomentazioni, limitandosi a un richiamo generico alla norma e a un fatto (la detenzione di documenti) senza spiegare come questo dimostrasse la consapevolezza della manifesta infondatezza della sua azione disciplinare iniziale.

In sostanza, la Corte d’Appello si era limitata a dire che il ricorrente non aveva contestato specificamente un punto della decisione del primo giudice, omettendo di entrare nel merito della questione e di valutare gli elementi concreti del caso.

Le Motivazioni della Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo fondata la censura di motivazione apparente. Gli Ermellini hanno chiarito che il giudice non può limitarsi a riportare il testo di una norma di legge per giustificare il rigetto di una domanda. È necessario, invece, che esamini la fattispecie concreta e specifichi quali elementi di fatto dimostrino la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello avrebbe dovuto:
1. Analizzare i fatti: Valutare se e perché la detenzione di documenti segreti potesse effettivamente provare la consapevolezza del ricorrente di agire in un giudizio palesemente infondato.
2. Ripartire l’onere probatorio: Riconoscere che spetta all’Amministrazione (il Ministero) dimostrare che il cittadino ha agito con ‘abuso del processo’, non al cittadino provare il contrario.

La Cassazione ha inoltre ribadito un principio fondamentale: l’opposizione al decreto che nega l’indennizzo non è un appello limitato, ma un giudizio a cognizione piena che instaura un vero e proprio contraddittorio sulla fondatezza della domanda, senza limiti di temi.

Conclusioni

La Suprema Corte ha cassato il decreto impugnato e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, affinché riesamini la domanda applicando i principi corretti. Questa decisione rafforza l’obbligo per i giudici di fornire motivazioni reali, concrete e comprensibili, che diano conto del ragionamento logico-giuridico seguito. Una motivazione solo formale, che si cela dietro formule generiche o il semplice richiamo a una norma, viola il diritto a un giusto processo sancito dall’art. 111 della Costituzione. Per i cittadini, ciò significa una maggiore tutela contro decisioni arbitrarie e un’affermazione del principio che l’onere di provare un ‘abuso del processo’ grava sulla Pubblica Amministrazione.

Cosa si intende per motivazione apparente?
Si ha una motivazione apparente quando il giudice si limita a citare una norma di legge o a usare formule generiche senza esaminare i fatti specifici del caso e senza spiegare il percorso logico che lo ha portato a quella decisione. È una motivazione che esiste solo in apparenza ma è vuota di contenuto.

A chi spetta l’onere di provare che una domanda di equo indennizzo è infondata per ‘abuso del processo’?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di provare la consapevolezza della parte di aver agito o resistito in giudizio con una domanda o difesa palesemente infondata (configurando un ‘abuso del processo’) spetta all’Amministrazione resistente e non al cittadino che chiede l’indennizzo.

L’opposizione al decreto che nega l’equo indennizzo è un mezzo di impugnazione limitato?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che l’opposizione al decreto monocratico (ex art. 5 ter, L. 89/2001) non è un’impugnazione con motivi limitati, ma uno strumento che instaura un giudizio a cognizione piena sulla fondatezza della domanda di indennizzo, senza limitazione di temi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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