Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20782 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20782 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
Oggetto
Locazione di immobile ─ Sfratto per morosità ─ Ritenuta insussistenza del presupposto della gravità dell’inadempimento in relazione alle limitazioni poste dalla normativa emergenziale di contenimento del contagio da Covid-19
NOME COGNOME
Presidente –
NOME COGNOME
Consigliere Rel. –
R.G.N. 6502/2024
NOME COGNOME
Consigliere –
Pasqualina A.P. COGNOME
Consigliere –
COGNOME
NOME COGNOME
Consigliere –
CC – 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6502/2024 R.G. proposto da COGNOME rappresentata e difesa dall’ Avv. NOME COGNOME e dall’ Avv. NOME COGNOME domiciliata digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
COGNOME Roberto, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME domiciliato digitalmente ex lege ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 8321/2023, pubblicata il 21 dicembre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 luglio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME intimò a NOME COGNOME sfratto per morosità in relazione ad immobile sito in Roma, INDIRIZZO, int. 2, a lui concesso in locazione ad uso abitativo con contratto del 24 maggio 2018, contestualmente citandolo per la convalida davanti al Tribunale di Roma;
dedusse a fondamento il mancato pagamento del canone, fissato nella misura di € 2 .000,00, da aprile 2020 a settembre 2020, per il complessivo importo di € 12.000 ,00;
l’intimat o si oppose affermando di avere nel frattempo pagato i canoni scaduti e che il ritardo era dovuto al blocco dell’attività recettiva che -come noto alla locatrice -era di fatto svolta nell’immobile , blocco causato dalla pandemia da Covid-19;
con sentenza n. 3369 del 2023 l’adito Tribunale -ritenuto che il conduttore non avesse dato prova della dedotta destinazione dell’immobile, per concorde volontà dei contraenti, ad uso diverso dall’abitativo e che , pertanto, la gravità dell’inadempimento andasse valutata in relazione al disposto dell’art. 5 l. n. 392 del 1978, non potendosi di contro attribuire rilevanza all’emergenza sanitaria da Covid-10 in quanto inidonea a influire sulla debenza e sulla misura dei canoni -in accoglimento della domanda, dichiarò risolto il contratto per inadempimento del conduttore, ordinando il rilascio dell’immobile e condannando il resistente alle spese;
in accoglimento dell’appello incidentale del COGNOME, e dichiarato assorbito quello principale della COGNOME sulle spese, la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 8321/2023, resa a verbale all’udienza de l 21 dicembre 2023, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di risoluzione, accertando la mutata destinazione dell’immobile locato ad uso non abitativo e condanna ndo la COGNOME alla rifusione in favore di controparte delle spese del giudizio di appello, compensate invece quelle del primo grado;
in motivazione ha osservato, anzitutto, che il mutamento di destinazione dell’immobile locato doveva ritenersi ad ogni effetto determinato, ai sensi dell’art. 80 l. n. 392 del 1978, in mancanza di opposizione della locatrice, trascorsi tre mesi dalla conoscenza dello stesso, nella specie sicuramente acquisita quanto meno dal 30 marzo 2020 (data in cui ella ricevette la missiva con la quale il conduttore le aveva chiesto una riduzione del canone in ragione dell’emergenza legata all’epidemia da Covid -19 e dei suoi effetti sul settore turistico, rappresentandole in particolare il forte calo subito nelle prenotazioni di soggiorno turistico e che la richiesta era finalizzata « a mantenere l’esercizio dell’attività extralberghiera e conservare e salvaguardare il livello occupazionale del gruppo »);
ha quindi considerato che la valutazione in ordine alla gravità del dedotto inadempimento, da condurre con riferimento alla regola dettata dall’art. 1455 cod. civ., doveva nella specie avere esito negativo, tenuto conto del pagamento successivo dei canoni e del fatto che nei mesi in cui era maturata la poi purgata morosità vi era stata l’ emergenza sanitaria da Covid-19, che aveva avuto, inevitabilmente, ricadute negative sulle attività commerciali, anche dopo il periodo di chiusura (marzo/maggio), rallentando i rapporti commerciali e determinando la notoria forte crisi con la chiusura di tanti esercizi commerciali;
avverso tale decisione NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi, cui resiste NOME COGNOME depositando controricorso;
è stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti;
il Pubblico Ministero ha depositato, in data 4 giugno 2025, conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso;
entrambe le parti hanno depositato memorie;
considerato che:
con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., «v iolazione e falsa applicazione dell’art. 1455 cod. civ. per errata interpretazione ed applicazione di tale norma con riferimento alla omessa valutazione dell’importanza dell’inadempimento del conduttore avuto riguardo all’interesse del locatore »;
lamenta che la mancata corresponsione di sei canoni consecutivi, pagati solo dopo l’intimazione di sfratto, sia stata erroneamente considerata dalla Corte di merito un inadempimento “non grave”, senza valutare l’interesse primario del locatore alla regolare esecuzione del contratto;
con il secondo motivo NOME COGNOME denuncia « violazione degli artt. 1455 e 2727 cod. civ. per omessa applicazione della regola che impone al g iudice l’applicazione del principio in virtù del quale doveva ritenere grave l’inadempimento del conduttore »;
sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere presuntivamente ‘ vulnerato ‘ dalla condotta del conduttore l’interesse della parte locatrice alla puntuale riscossione dei canoni di locazione, essendo questa l’obbligazione principale del conduttore e costituendo la riscossione dei canoni l’interesse primario di chi concede un bene in locazione, e conseguentemente considerare di ‘ rilevante entità ‘ la lesione subita dal locatore;
rileva che la Corte territoriale non ha indicato alcuna circostanza che giustificasse la valutazione di “scarsa importanza” dell’inadempimento, così violando l’art. 1455 c.c. anche sotto il profilo della non corretta applicazione delle regole di cui all’art. 2727 cod. civ.;
lamenta che, peraltro, la Corte abbia omesso di considerare la complessiva condotta del conduttore e, in particolare, la mancata restituzione dell’immobile motivata dalla ingiustificata pretesa di
riduzione del canone;
deduce, inoltre, che la Corte d’appello, una volta ritenuto che costituisse inadempimento di scarsa importanza il mancato pagamento consecutivo di sei canoni di locazione, avrebbe dovuto prendere in considerazione le ulteriori inadempienze poste a fondamento della domanda di risoluzione nel giudizio di primo grado (assorbite, in quella sede, dalla disposta pronunzia di risoluzione conseguente al mancato pagamento dei canoni): l’avere , cioè, il conduttore senza ‘ alcun titolo, diritto e legittimazione’ proceduto ‘ senza autorizzazione a modifiche ed opere su beni che non gli appartengono’, non avere egli provveduto alla manutenzione degli impianti, avere disperso il mobilio;
censura, infine, siccome in thesi mancante di fondamento positivo, la rilevanza attribuita ipso iure alla vicenda pandemica, in mancanza di prova che, nel caso concreto, il mancato pagamento dei canoni fosse dipeso dalle misure di contenimento proprie della legislazione speciale , evidenziando al riguardo che l’art. 91 d.l. n. 18 del 2020 fa riferimento solo agli artt. 1218 e 1223 cod. civ. e non anche all’art. 1455 cod. civ. e che l’elemento che la norma esige sia valutato è « il rispetto delle misure di contenimento », misure venute definitivamente a cessare il 18 maggio 2020;
con il terzo motivo la ricorrente denuncia, infine, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ., per avere la Corte d’ appello ritenuto che il conduttore, in difetto di allegazione probatoria e, quindi, in via meramente presuntiva, non avesse corrisposto i canoni alla scadenza contrattuale per la « notoria emergenza sanitaria da Covid 19 » che ha « evidentemente rallentato i rapporti commerciali », violando in tal modo il disposto dell’articolo menzionato, che dispone che il giudice « non deve ammettere che le presunzioni gravi, precise e concordanti »;
i tre motivi, congiuntamente esaminabili per la stretta connessione e in parte anche per la sovrapposizione delle censure svolte, sono fondati, nei termini appresso precisati, con i quali -appare opportuno rimarcare ̶ questa Corte intende censurare, in quanto consentito dal tenore dei motivi medesimi, sia violazione sia falsa applicazione dell’art. 1455 c.c. e della normativa C ovid;
la Corte di merito ha giustificato il convincimento della scarsa gravità dell’inadempimento (in sé oggettivamente a pacificamente sussistente, siccome integrato dal mancato pagamento di ben sei canoni successivi relativi alle mensilità da aprile a settembre del 2020 e non escluso, nella sua giuridica rilevanza come tale, dalla successiva purgazione della mora anteriormente alla udienza di convalida) sulla base delle considerazioni che conviene qui testualmente riportare (v. sentenza, pag. 5):
« Nel periodo in cui non ha corrisposto i canoni vi è stata la notoria emergenza sanitaria da Covid- 19, che ha avuto, inevitabilmente, ricadute negative sulle attività commerciali, anche dopo il periodo di chiusura (marzo/maggio), basti pensare al rispetto delle misure necessarie per evitare il contagio, tra cui assume rilievo il distanziamento;
ciò ha evidentemente rallentato i rapporti commerciali determinando la notoria forte crisi, che ha determinato anche la chiusura di tanti esercizi commerciali;
in tale contesto, il conduttore, evidentemente in difficoltà (circostanza che si può desumere in ragione dell’attività recettiva svolta nell’immobile locato), non ha corrisposto i canoni;
tutto ciò fa propendere per un inadempimento non grave sia da un punto di vista oggettivo, tenuto conto che l’importo, peraltro non particolarmente rilevante, è stato corrisposto nel novembre 2020, e sia da un punto di vista soggettivo, tenuto conto delle oggettive difficoltà riscontrate dalle attività commerciali nel periodo in cui si è
realizzato l’inadempimento »;
una tale motivazione si espone effettivamente alle censure di violazione di legge fondatamente dedotte in ricorso, sia con riferimento all’art. 1455 cod. civ. , sia con riferimento all’art. 2729 cod. civ. (parametri censori questi ovviamente relativi a passaggi argomentativi distinti ma strettamente connessi), in correlazione con gli argomenti traibili dalla normativa Covid;
sotto il primo profilo, va rilevato che, se è vero che, come questa Corte ha sempre affermato, in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, ed è insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione immune da vizi (v. ex multis Cass. n. 12182 del 22/06/2020; n. 6401 del 30/03/2015; n. 14974 del 28/06/2006), è pur vero che resta consentito il sindacato sulla congruità e correttezza in punto di diritto del criterio di valutazione (ovvero della regola di giudizio) che in concreto presiede a tale valutazione;
va invero rammentato che, ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., l’importanza dell’inadempimento di una delle parti del contratto, ai fini della risoluzione, va sempre valutata « avuto riguardo all’interesse dell’altra », che è parametro non necessariamente correlato al dato quantitativo delle prestazioni (o della parte di esse) rimaste inadempiute, ma a quello qualitativo della rispondenza delle prestazioni così come eseguite (e a fortiori di quelle ineseguite) all’effettivo e principale interesse, sottostante al contratto, della parte che ne aveva diritto;
in tal senso questa Corte ha giù più volte evidenziato -e va qui ribadito -che « lo scioglimento del contratto per inadempimento salvo che la risoluzione operi di diritto – consegue ad una pronuncia
costitutiva, che presuppone da parte del giudice la valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento stesso, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte; tale valutazione viene operata alla stregua di un duplice criterio, applicandosi in primo luogo un parametro oggettivo, attraverso la verifica che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale; l’indagine va poi completata mediante la considerazione di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità, nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata » (Cass. n. 1773 del 07/02/2001; n. 7083 del 28/03/2006; n. 22346 del 22/10/2014; n. 10995 del 27/05/2015; n. 8220 del 24/03/2021);
nel caso di specie la Corte di merito ha adottato un criterio difforme da quello esposto, avendo orientato la propria valutazione esclusivamente in relazione alla (presunta) condizione della parte inadempiente, senza però operare alcuna ponderazione in relazione all’incidenza dell’inadempimento e del suo protrarsi nel tempo sugli interessi dell’altra parte;
sotto il secondo connesso profilo, altrettanto fondatamente la ricorrente lamenta la carenza di supporto argomentativo a fondamento del ragionamento presuntivo adottato dalla Corte di merito a giustificazione della ritenuta scarsa rilevanza dell’inadempimento: carenza il cui apprezzamento in questa sede, lungi dal potersi ritenere precluso in quanto impingente nella valutazione di merito, deve ritenersi consentito in quanto quella
carenza manifesta una erronea applicazione dei requisiti legali di validità del ragionamento medesimo, quali dettati dall’art. 2729 cod. civ. (v. Cass. Sez. U. 24/01/2018, n. 1785);
l’errore sta in particolare nell’avere esteso la rilevanza in effetti attribuibile, come subito appresso sarà detto, al rispetto delle misure governative emergenziali di contenimento dal contagio (c.d. lockdown ) per i mesi nei quali esse hanno avuto vigore, e dunque fino al 18 maggio 2020 (v. art. 1 d.l. 16 maggio 2020, n. 33, convertito con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74), anche al periodo successivo, nel caso in esame, peraltro, di gran lunga prevalente essendosi prolungato l’inadempimento, come detto, da aprile fino a settembre del 2020;
al riguardo va considerato che, come ricorda in memoria il controricorrente, questa Corte con recente pronuncia (Cass. Sez. 3 Sentenza n. 16113 del 16/06/2025), ha affermato il principio (già più volte ribadito da successivi arresti: v. Cass. Sez. 3 Ordinanza 07/07/2025, n. 18535; Cass. Sez. 3 Ordinanza 08/07/2025, n. 18666) secondo cui « in tema di contratti ad esecuzione continuata, periodica o differita, l’art. 91, comma 1, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. decreto ‘Cura Italia’), assume rilievo ai fini del giudizio di imputabilità dell’inadempimento nelle fattispecie di responsabilità contrattuale, attribuendo all’impedimento derivante dal rispetto delle misure anti-Covid la natura di impedimento non prevedibile né superabile con la diligenza richiesta al debitore e quindi di causa non imputabile della inesecuzione della prestazione da parte sua, liberandolo dall’obbligo di risarcimento del danno ed escludendo la legittimazione della controparte all’azione di risoluzione per inadempimento ; dalla norma in questione, invece, non può farsi derivare l’esistenza di un diritto potestativo giudiziale di otte nere la riduzione della prestazione dovuta in esecuzione di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata o
periodica per effetto dell’incidenza su tale rapporto delle suddette misure restrittive anti-pandemiche, atteso che, stante il principio di tipicità dei rimedi giudiziali potestativi diretti a suscitare sentenze di carattere costitutivo (art. 2908 cod. civ.), un potere conservativo di riduzione ad equità della prestazione va riconosciuto alla parte eccessivamente onerata soltanto nell’ipotesi di contratto a titolo gratuito (art. 1468 cod. civ.), mentre, al di fuori di tale ipotesi, essa parte resta legittimata all’azione di risoluzione per eccesiva onerosità sopravvenuta, spettando in tal caso alla controparte che intenda evitare lo scioglimento del rapporto contrattuale un diritto potestativo di rettifica (da esercitarsi mediante negozio giuridico unilaterale e recettizio), analogo a quello previsto in tema di contratto annullabile per errore (art. 1432 cod. civ.) e di contratto rescindibile »;
nel caso di specie, evidentemente, è la prima parte di tale principio che viene in rilievo;
alla base della regola di giudizio che ivi è enunciata sta evidentemente una interpretazione della norma di cui all’art. 91, comma 1, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, come introduttiva nell’ordinamento di una presunzione legale, iuris et de iure , in base alla quale « il rispetto delle misure di contenimento » è « sempre » valutato come idoneo a costituire ragione di impedimento non imputabile che, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., ha reso impossibile l’adempimento dell’obbligazione posta a carico di chi quelle misure è tenuto a rispettare e che pertanto esclude la responsabilità che, altrimenti, ad ogni effetto, e dunque anche ai fini della risoluzione del contratto ex artt. 1453 e 1455 cod. civ., da quell’inadempimento deriverebbe;
tale interpretazione e il principio che in base ad essa è stato enunciato sono da questo Collegio condivisi e vanno ribaditi, in quanto pienamente coerenti con la ratio e la lettera della disposizione, secondo il cui chiaro disposto, invero -giova rimarcare
-« il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti »;
è, però, evidente che una tale presunzione si giustifica, e anzi si impone, solo per il limitato periodo in cui le dette misure di contenimento hanno avuto applicazione, e dunque -nel caso in esame -può valere ad escludere la responsabilità da inadempimento solo in relazione al mancato pagamento dei canoni di aprile e maggio 2020, non anche per il periodo successivo, il contrario anzi desumendosi proprio dal tenore della norma che, nell’indicare come « sempre » dovuta la valutazione « ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore » del « rispetto delle misure di contenimento », implicitamente per ciò stesso affida invece ai normali parametri e criteri di valutazione il giudizio sulla responsabilità del debitore in relazione all’inadempimento maturato in altri periodi;
per questi ultimi, dunque, una tale valutazione non può più basarsi esclusivamente sulla considerazione delle misure di contenimento -come invece mostra di fare in sostanza la Corte di merito -ma richiede anche l’emergenza di altri specifici elementi nel contesto del rapporto sinallagmatico (come ad es. la prova di una effettiva crisi di liquidità direttamente conseguente al calo di fatturato causato da una contrazione degli affari a sua volta direttamente riferibile alla crisi pandemica ma da porre anche in rapporto di opportuno bilanciamento con le condizioni della parte locatrice e tenuto conto del comportamento di entrambe le parti), ai fini della ponderazione come detto necessaria dell’in cidenza dell’inadempimento sugli interessi della parte non inadempiente (v. già in tal senso, in un caso analogo, Cass. n. 1341 del 12 /01/2024);
né al riguardo può valere il richiamo al carattere notorio della crisi determinata anche dopo il periodo di chiusura (marzo/maggio) dalla emergenza Covid, trattandosi di nozione bensì di comune esperienza ma riferita ad una serie indeterminata di casi (e come tale anche evocato nella sentenza impugnata) che non autorizza univoche e sicure implicazioni probatorie anche in relazione allo specifico rapporto contrattuale in considerazione;
né costituisce elemento idoneo ad attribuire maggiore valenza inferenziale al detto elemento la correlata considerazione dell’attività recettiva svolta, in mancanza di alcun elemento oggettivo di conferma di una sospensione dell’attività recettiva in concreto svolta anche nei mesi successivi alla cessazione delle misure di contenimento;
in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata deve essere dunque cassata e la causa rinviata, per nuovo esame, al giudice a quo , che, naturalmente, dovrà procedere a tale esame solo sulla base delle risultanze probatorie eventualmente acquisite in atti quanto alle ragioni giustificative dell’inadempienza lamentata;
appare opportuna altresì la precisazione che, nel valutare ai fini della chiesta risoluzione del contratto l’inadempimento del conduttore , il giudice di rinvio non potrà prendere in esame anche le « ulteriori inadempienze » cui si fa riferimento nel secondo motivo di ricorso, trattandosi di questione che, come ricorda la stessa ricorrente, è rimasta assorbita nel giudizio di primo grado e che, però, non risulta sia poi stata riproposta in appello dalla parte vittoriosa in primo grado, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 346 c.p.c.;
al giudice di rinvio va demandato il regolamento delle spese del presente giudizio;
P.Q.M.
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza; rinvia ad altra Sezione della Corte d’appello di Roma, comunque in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche
sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza