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Mora PA e fondi UE: la richiesta vale come diffida

Una società esportatrice ha richiesto alla Pubblica Amministrazione il pagamento di restituzioni all’esportazione previste da normative UE. A fronte del ritardo, la società ha agito in giudizio per ottenere gli interessi moratori. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha stabilito un principio fondamentale sulla mora PA: per i debiti derivanti dal diritto dell’Unione, la richiesta di pagamento presentata dal creditore è idonea a costituire in mora l’amministrazione, senza necessità di un successivo atto di diffida. Gli effetti della mora decorrono dalla scadenza del termine ragionevole che l’amministrazione aveva per completare le verifiche e disporre il pagamento.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Mora PA: Quando la Richiesta di Pagamento Diventa Messa in Mora per i Debiti UE

La gestione dei crediti verso la Pubblica Amministrazione presenta spesso delle complessità, soprattutto quando si tratta di definire la Mora PA. Una recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha fatto luce su un aspetto cruciale: il momento in cui scatta l’obbligo di pagare gli interessi per i ritardi nei pagamenti di somme dovute in base al diritto dell’Unione Europea. La Corte ha stabilito che la semplice richiesta di pagamento, presentata dall’impresa creditrice, è sufficiente a costituire in mora l’ente pubblico, una volta trascorso un termine ragionevole per l’adempimento, senza che sia necessario un ulteriore sollecito formale.

Il Contesto: Esportazioni Agricole e Fondi Comunitari

Il caso ha origine dalle richieste di pagamento presentate da una società operante nel settore agricolo, la quale, tra il 1990 e il 1997, aveva esportato i propri prodotti al di fuori dell’Unione Europea. In base alla normativa comunitaria, l’azienda aveva diritto a ricevere dei sussidi, noti come ‘restituzioni all’esportazione’, volti a compensare la differenza tra i prezzi del mercato interno e quelli, più bassi, del mercato mondiale.

Nonostante le numerose richieste, l’Amministrazione Finanziaria tardava a erogare le somme dovute. Di conseguenza, la società si è rivolta al Tribunale per ottenere non solo il capitale, ma anche gli interessi moratori e il risarcimento per il maggior danno subito a causa del ritardo.

La Questione Giuridica sulla Mora PA

Il nodo centrale della controversia riguardava la determinazione del momento esatto in cui l’Amministrazione potesse considerarsi in mora. Secondo la tesi dell’Amministrazione, basata sulle norme di contabilità di Stato, i debiti della PA sono ‘quérables’, ovvero devono essere riscossi presso la tesoreria del debitore. Questo, tradizionalmente, implica la necessità di un atto formale di costituzione in mora da parte del creditore per far decorrere gli interessi.

D’altra parte, la società creditrice sosteneva che, trattandosi di un diritto derivante direttamente dalla normativa UE, le singole richieste di pagamento presentate avrebbero dovuto essere considerate di per sé sufficienti a generare gli effetti della mora, una volta spirato un termine congruo per le verifiche amministrative. I giudici di merito avevano accolto questa tesi, fissando in 60 giorni tale termine ragionevole.

La Decisione delle Sezioni Unite sulla Mora PA

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha confermato la decisione dei giudici di merito, rigettando il ricorso dell’Amministrazione e delineando un principio di diritto di grande importanza pratica.

L’istanza come Atto di Costituzione in Mora ‘ad effetto differito’

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione della richiesta di pagamento. La Corte ha chiarito che, sebbene presentata prima della scadenza del termine per l’adempimento, l’istanza del creditore agisce come un atto di costituzione in mora i cui effetti sono differiti. In altre parole, la richiesta manifesta inequivocabilmente la volontà del creditore di ricevere il pagamento. Tale volontà produce i suoi effetti giuridici – ovvero la mora del debitore – nel momento esatto in cui scade il termine ragionevole concesso all’Amministrazione per adempiere.

Considerare necessaria un’ulteriore intimazione dopo la scadenza del termine sarebbe, secondo la Corte, un ‘autentico nonsenso’ e un’irragionevole formalità, che concederebbe alla PA un ingiustificato privilegio.

Il Bilanciamento con i Principi del Diritto dell’Unione

Questa interpretazione è fortemente ancorata ai principi del diritto dell’Unione Europea, in particolare a quello di effettività. Le norme procedurali nazionali, incluse quelle sulla contabilità pubblica, non possono rendere eccessivamente difficile o praticamente impossibile l’esercizio dei diritti che derivano dall’ordinamento UE. Imporre al creditore un onere formale aggiuntivo, dopo aver già subito un ritardo ingiustificato, violerebbe tale principio.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che il diritto alle restituzioni sorge direttamente dalla normativa comunitaria, che crea un rapporto obbligatorio tra l’esportatore e lo Stato membro. L’istanza dell’operatore non crea il diritto, ma attiva semplicemente il procedimento di verifica e liquidazione. Una volta individuato giudizialmente un ‘termine ragionevole’ (nella fattispecie, 60 giorni) entro cui l’Amministrazione deve concludere tale procedimento, la sua inerzia oltre tale termine costituisce un inadempimento. La richiesta di pagamento iniziale, pertanto, assolve già alla funzione della costituzione in mora: avvisare il debitore che il creditore non intende tollerare ritardi oltre la scadenza. L’efficacia di tale ‘avviso’ si attiva automaticamente al decorrere del termine. Questa soluzione, per la Corte, è l’unica coerente con il principio di buona fede e con la necessità di garantire una tutela effettiva ai diritti di matrice europea.

Conclusioni

La sentenza delle Sezioni Unite rappresenta un punto fermo per tutte le imprese che vantano crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione derivanti da normative europee. Viene stabilito che la PA non può trincerarsi dietro le proprie procedure interne per ritardare i pagamenti. La richiesta di erogazione del contributo o del sussidio è un atto sufficiente a innescare, alla scadenza del termine per provvedere, la Mora PA e il conseguente obbligo di corrispondere gli interessi. Questo rafforza la posizione del creditore e allinea la tutela dei diritti di fonte europea con i principi di efficienza e ragionevolezza.

Per i debiti della Pubblica Amministrazione è sempre necessario un atto formale di costituzione in mora per ottenere gli interessi di ritardo?
No. La sentenza chiarisce che, almeno per i debiti derivanti dal diritto dell’Unione Europea come le restituzioni all’esportazione, la richiesta stragiudiziale di pagamento presentata dal creditore è di per sé un atto idoneo a costituire in mora la PA, senza bisogno di un’ulteriore diffida formale.

Da quale momento iniziano a decorrere gli interessi di mora in caso di ritardato pagamento di un sussidio UE da parte della PA?
Gli interessi moratori iniziano a decorrere dalla scadenza del ‘termine ragionevole’ che l’Amministrazione ha a disposizione per svolgere le verifiche e completare il procedimento di pagamento. Nel caso specifico, questo termine era stato fissato dai giudici di merito in 60 giorni dalla ricezione della documentazione completa.

Una richiesta di pagamento inviata prima della scadenza del debito può valere come costituzione in mora?
Sì. La Corte di Cassazione ha affermato che una richiesta di pagamento inviata prima che il termine per adempiere sia scaduto può validamente costituire in mora il debitore. L’efficacia di tale atto è semplicemente ‘differita’ al momento in cui il termine scade senza che il pagamento sia avvenuto. Questo principio è stato applicato per evitare formalismi inutili e garantire una tutela più efficace del creditore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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