Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3700 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3700 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11655-2021 proposto da:
COGNOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’ avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 150/2021 della CORTE DI APPELLO di PERUGIA, depositata il 19/03/2021;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 29 ottobre 2024.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso del 5.3.2007 COGNOME e NOME evocavano NOME e NOMECOGNOME quest’ultima deceduta nel corso del giudizio, innanzi al Tribunale di Spoleto, invocandone la condanna ad arretrare la sopraelevazione da essi realizzata sino al rispetto della distanza di dieci metri dall’edificio dei ricorrenti, assumendo altresì che la predetta edificazione costituiva molestia nel loro diritto di possesso.
Nella resistenza dei convenuti, il Tribunale dapprima negava la tutela interdittale, e poi, con sentenza n. 301/2018, rigettava la domanda, ritenendo che la sopraelevazione, di soli 9 cm. rispetto alla preesistente, non costituisse lesione del diritto degli originari ricorrenti.
In virtù di gravame interposto dagli originari ricorrenti, con sentenza n. 150/2021, la Corte di Appello di Perugia rigettava l’impugnazione e per l’effetto confermava la decisione di prime cure.
Propongono ricorso per la cassazione avverso detta decisione COGNOME e COGNOME affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso NOME
A seguito di proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. il ricorrente COGNOME con istanza del 19.9.2023, ha chiesto la decisione del ricorso.
In prossimità dell’odierna adunanza camerale ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente si dà atto che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611 del 10 aprile 2024, non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte ed eventualmente ad essere nominato relatore del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Sempre in via preliminare, va rilevato che la ricorrente NOME COGNOME non ha presentato istanza di decisione, a seguito della comunicazione della proposta di definizione anticipata. Ne consegue che il ricorso dalla stessa proposto si deve intendere rinunciato ope legis , alla luce della disposizione di cui all’art. 380 bis c.p.c.
Con il primo motivo viene lamentata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe considerato tutti gli accertamenti del C.T.P. e la documentazione prodotta a corredo degli stessi, dai quali emergerebbe la reale entità della sopraelevazione di cui è causa, la cui entità non sarebbe di soli 9 cm., ma di 55 cm. e di 2,40 mt. al colmo del tetto.
Con il secondo motivo viene denunziata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe rigettato il ricorso per manutenzione del possesso sulla scorta di una acritica adesione alle risultanze della C.T.U., senza
considerare il diverso quadro di fatto emergente dagli accertamenti del C.T.P. di parte ricorrente, il cui contenuto è stato evidenziato in relazione alla prima doglianza, e senza disporre la rinnovazione dell’indagine tecnica che era stata invocata a fronte delle rilevate divergenze sull’entità della sopraelevazione contestata.
Con il terzo motivo viene dedotta ancora della nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. ed apparenza della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché il giudice di seconde cure avrebbe escluso la sussistenza della denunziata molestia possessoria sulla base di un percorso logico non lineare e comunque non corretto, mentre la prova della molestia predetta emergeva chiaramente dai rilievi operati dal C.T.P.
Le tre censure, suscettibili di esame congiunto, perché comunque attinenti al percorso motivazionale seguito dal giudice di merito, sono inammissibili.
La Corte di Appello, all’esito di un apprezzamento del fatto e delle prove, ha confermato la decisione di prima istanza, ritenendo che le opere realizzate dall’odierno controricorrente avessero causato una variazione dell’altezza e della volumetria del preesistente fabbricato minima (9 cm.), come tale non idonea a creare molestia all’odierna parte ricorrente, ed ha di conseguenza rigettato la domanda.
Tale statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui se da un lato la violazione delle norme in tema di distanze legali può esser fatta valere, in linea generale, anche mediante il ricorso all’azione possessoria (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22414 del 29/11/2004 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17868 del 24/11/2003), dall’altro lato non ogni contravvenzione alle norme predette implica lesione del possesso. Va infatti ribadito che ‘L’azione di manutenzione possessoria tutela il potere di fatto sulla cosa e non il corrispondente
diritto reale, sicché la violazione delle distanze legali tra costruzioni può essere denunciata ex art. 1170 cod. civ. solo quando abbia determinato un’apprezzabile modificazione o limitazione dell’esercizio del possesso’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8731 del 15/04/2014; cfr. anche Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2988 del 31/01/2019, secondo la quale non sussiste violazione del divieto di cumulo tra possessorio e petitorio, se il convenuto in sede possessoria per turbativa del possesso, derivante dall’inosservanza delle norme a tutela della distanza legale da una preesistente costruzione dell’attore, eccepisca la legittimità del proprio operato come conseguenza delle modalità di esercizio del diritto di prevenzione da parte dell’attore stesso, poiché in tal caso è necessario accertare, sia pure ai soli effetti possessori, l’esistenza e i limiti di tale diritto).
Alla luce del suindicato principio, il giudice di merito, di fronte al quale la violazione delle distanze per effetto di una sopraelevazione venga prospettata soltanto in relazione ad una lamentata lesione del possesso, è pienamente legittimato a verificare se, alla luce delle caratteristiche dei luoghi e dell’entità di quella sopraelevazione, essa sia tale da comportare, o meno, una lesione del possesso della parte istante, concedendo, o denegando, l’invocata tutela in dipendenza dell’esito di detto giudizio, che concerne dunque il merito della controversia. Nella specie, la Corte di Appello, dopo aver verificato la modestia della sopraelevazione (9 cm.) sulla scorta delle risultanze della C.T.U., e dopo aver dato atto che l’ausiliario aveva considerato i rilievi del C.T .P . degli odierni ricorrenti, ha escluso la sussistenza, in concreto, della lamentata lesione del possesso.
Alla complessiva ricostruzione in fatto operata dalla Corte territoriale la parte ricorrente contrappone una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza considerare che il motivo di ricorso non
può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. Un., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014).
Nel caso di specie, inoltre, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il c.d. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass., Sez. Un., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Con il quarto ed ultimo motivo parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001, 7 della legge
regionale Umbria n. 1 del 2015, 1170 c.c., nonché del principio affermato dalla sentenza n. 15732 del 15 giugno 2018 di questa Corte, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la sussistenza, nella fattispecie, di una nuova costruzione, alla luce dell’entità della sopraelevazione, in realtà ben superiore a quanto rilevato dal C.T.U.
La censura è inammissibile.
In merito all’entità della sopraelevazione, vale quanto già detto in occasione dello scrutinio dei primi tre motivi di ricorso: la Corte distrettuale ha fatto proprie le risultanze della C.T.U., che a sua volta aveva considerato i rilievi critici del C.T .P. degli odierni ricorrenti, e dunque ha escluso la sussistenza della lesione del possesso da questi ultimi lamentata sulla scorta di una motivazione non apparente né affetta da irriducibile contrasto logico, idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar conto del percorso logico-argomentativo seguito dal giudice di merito.
In relazione, invece, alla configurazione dell’intervento come nuova costruzione, la censura non coglie la ratio della decisione. Se da un lato, infatti, va confermato l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui qualsiasi aumento della volumetria costituisce elemento sufficiente a configurare una nuova costruzione, come tale soggetta al rispetto della normativa in tema di distanze legali (cfr. Cass., Sez. Un., Ordinanza n. 21578 del 19/10/2011 e Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12196 del 14/04/2022), dall’altro lato il rigetto dell’azione possessoria intrapresa dal COGNOME e dalla COGNOME, nel caso specifico, non è affatto stato motivato dal rilievo che l’intervento edilizio operato dal COGNOME non costituisse nuova costruzione, bensì dalla diversa considerazione che esso non presentasse entità tale da poter cagionare una compromissione e una molestia del possesso vantato dagli odierni
ricorrenti. Ne deriva che la comparazione, operata dal giudice di seconde cure, tra la consistenza dell’edificio del COGNOME, prima e dopo l’intervento, non è stata condotta al fine di accertare se esso integrasse, o meno, una nuova costruzione, non essendo tale profilo rilevante ai fini della decisione del ricorso in concreto introdotto dal COGNOME e dalla COGNOME, bensì al solo scopo di verificare se detta modifica avesse, o meno, importato una molestia nel possesso vantato dai secondi, in coerenza con i principi di diritto enunciati da questa Corte in tema di denuncia della lesione del possesso derivante dalla violazione delle norme sulle distanze (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8731 del 15/04/2014, già richiamata in relazione all’esame dei primi tre motivi di ricorso).
In considerazione dell’inammissibilità di tutti i motivi proposti dalla parte ricorrente, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c.- il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara estinto il ricorso proposto da COGNOME NOME ed inammissibile quello proposto da COGNOME;
condanna quest’ultimo al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 1.800,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati;
condanna altresì il predetto COGNOME, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi, nonché al pagamento della somma di € 500,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del predetto COGNOME, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda