Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23752 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23752 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35340/2019 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente principale- contro
COGNOME, deceduto nel corso del giudizio, e COGNOME in qualità di sua erede, rappresentati e difesi da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente incidentale-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di LECCE n. 1008/2019, depositata il 26/09/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5/03/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
1. Nel 2007 NOME COGNOME ha convenuto in giudizio NOME COGNOME quale titolare dell’omonima ditta individuale, chiedendo che, previa dichiarazione di inadempimento del convenuto rispetto al contratto di appalto concluso tra le parti, questi venisse condannato al risarcimento dei danni subiti dall’attrice, quantificati in euro 121.235. L’attrice ha dedotto di avere appaltato con contratto del 2003 alla ditta del convenuto lavori di ristrutturazione straordinaria di un immobile per il corrispettivo di euro 80.000, con termine dei lavori al 30 giugno 2004 e che, nonostante il pagamento del corrispettivo e di un’ulteriore somma di euro 35.000, alla data del 12 maggio 2007 la ditta aveva eseguito solo una parte dei lavori e aveva abbandonato il cantiere, costringendo la committente a fare completare i lavori a un’altra ditta. Il convenuto si è costituito e ha eccepito di aver eseguito lavori più rilevanti rispetto a quelli contrattualmente previsti, proponendo quindi domanda riconvenzionale di condanna al pagamento della somma di euro 480.000 per l’esecuzione di tali ulteriori lavori. Con la sentenza n. 1422/2015 il Tribunale di Brindisi ha dichiarato l’inadempimento del convenuto rispetto al contratto d’appalto e lo ha condannato a pagare all’attrice la somma di euro 79.200. Ad avviso del Tribunale manca la prova che fosse stata concordata tra le parti la realizzazione di lavori ulteriori rispetto a quelli previsti nel contratto d’appalto ed è viceversa provato che l’appaltatore ha sospeso i lavori nel dicembre del 2006 lasciandoli incompiuti, cosicché è fondata la pretesa dell’attrice di ottenere la penale per ogni giorno di ritardo nella consegna dei lavori e il
risarcimento del danno conseguente all’inadempimento contrattuale.
La sentenza è stata impugnata da COGNOME. Con la sentenza n. 1008/2019 la Corte d’appello di Lecce ha parzialmente accolto l’impugnazione. Sulla base della consulenza tecnica d’ufficio svolta in secondo grado, la Corte ha ritenuto provata l’esecuzione di lavori ulteriori rispetto a quelli pattuiti per una cifra pari ad euro 106.789,47, dovendosi ritenere accertato che la committente, dopo la stipulazione del contratto d’appalto, ha ordinato e concordato con l’appaltatore variazioni ai lavori, cosicché, interpretando l’esecuzione del rapporto secondo i canoni di buona fede e correttezza, l’appaltatore ha diritto al pagamento di un corrispettivo aggiuntivo per le maggiori opere eseguite, così come quantificate dal consulente tecnico d’ufficio. La Corte d’appello ha poi ritenuto che le ulteriori opere avrebbero reso necessario un numero di giornate lavorative (42) inferiori rispetto a quelle effettivamente impiegate (914), cosicché può imputarsi all’appaltatore un ritardo di 872 giorni nella consegna dei lavori, mentre alla committente va imputato il mancato pagamento di quanto dovuto per le maggiori opere eseguite; gli elementi acquisiti, ad avviso del giudice d’appello, non consentono di ritenere accertato a quale dei due contraenti possa essere imputato l’inadempimento di maggior gravità che ha determinato la risoluzione del rapporto, cosicché va esclusa ogni pronuncia sotto il profilo della colpa e dei suoi effetti. La Corte d’appello ha quindi dichiarato COGNOME tenuto al pagamento della penale di euro 50 per 872 giorni, mentre ha dichiarato COGNOME tenuta al pagamento del corrispettivo delle ulteriori opere, cosicché, effettuate le opportune compensazioni, ha condannato COGNOME a pagare euro 54.689,47.
Avverso la sentenza ricorre in via principale NOME COGNOME.
Resiste con controricorso e fa valere ricorso incidentale NOME COGNOME.
Resiste al ricorso incidentale con controricorso la ricorrente principale.
Memoria è stata depositata dalla ricorrente principale e da NOME COGNOME quale erede del controricorrente.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso principale è articolato in cinque motivi.
I primi tre motivi sono tra loro strettamente connessi:
il primo motivo denuncia violazione degli artt. 2697, 2729 e 1667 c.c. e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, avendo la Corte d’appello ritenuto per facta concludentia provato l’accordo per l’esecuzione di lavori in variazione; la Corte d’appello viola le norme sulle prove ponendo a fondamento della decisione presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza e omettendo l’esame di fatti contrastanti con tali presunzioni;
il secondo motivo contesta violazione dell’art. 1372 c.c. e omesso esame circa un documento decisivo per il giudizio, in quanto in base al contratto d’appalto concluso tra le parti, ove la committente avesse ordinato cambiamenti nei lavori previsti per un valore di oltre 1/10 del prezzo complessivo stabilito per l’appalto, tali modifiche avrebbero dovuto essere preventivamente concordate per iscritto e sottoscritte da entrambe le parti; tale clausola non è stata considerata dalla Corte d’appello, che ha così omesso l’esame di un fatto decisivo ai fini della decisione della causa;
il terzo motivo lamenta violazione dell’art. 1659 c.c. in base al quale l’appaltatore non può apportare variazioni alle modalità convenute per l’opera se il committente non le ha autorizzate, autorizzazione che si deve provare per iscritto.
I motivi non possono essere accolti.
La ricorrente non considera che la Corte d’appello ha fatto applicazione dell’orientamento di questa Corte (cfr. al riguardo Cass. n. 10201/2012, nonché da ultimo Cass. n. 12396/2024), secondo il quale, ove le opere compiute dall’appaltatore importino notevoli modificazioni alla natura dell’opera ovvero dei quantitativi nelle singole categorie dei lavori previste nel contratto, non viene in rilievo lo ius variandi di cui all’art. 1661 c.c., ma una sostituzione consensuale del regolamento contrattuale già in essere, dovendosi muovere dal criterio più generale della modifica che devii in modo importante dal progetto originario dell’opera, il quale trova concretezza in base a parametri che possono essere quelli dell’entità materiale e tecnica, dei lavori di modifica o della relativa consistenza economica. Spetta al giudice di merito compiere l’accertamento di tali profili, profili che la Corte d’appello, nel caso in esame, ha ritenuto verificati sulla base della consulenza tecnica d’ufficio svolta in appello, con valutazione non sindacabile da parte di questa Corte di legittimità.
2. Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 1375 c.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto la Corte d’appello non ha considerato che, per tutto il tempo durante il quale ha tenuto aperto il cantiere, COGNOME non ha mai richiesto maggiori pagamenti in relazione alle opere che stava eseguendo e, solo dopo l’abbandono dei lavori e l’introduzione del presente processo, ha reclamato ‘con finalità evidentemente ritorsive se non estorsive maggiori pagamenti’.
Il motivo è inammissibile in quanto formula considerazioni generiche, prive di rilevanza giuridica rispetto al presente processo. 3. Il quinto motivo contesta parziale applicazione dell’art. 1243 c.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio: la Corte d’appello non ha considerato che la ricorrente ha dovuto affrontare, in conseguenza degli inadempimenti contrattuali di Cecere, che non ha realizzato tutte le opere oggetto dell’appalto, maggiori esborsi
dei quali non può non essere chiamato a rispondere COGNOME in applicazione dell’art. 6 del contratto di appalto, esborsi riconosciuti dal primo giudice e da lui liquidati con valutazione equitativa in euro 25.000.
Il motivo non può essere accolto. Ad avviso della ricorrente la Corte d’appello non avrebbe motivato il mancato riconoscimento del rimborso degli esborsi da lei sostenuti per il completamento dei lavori previsti dall’originario contratto d’appalto. Come si è visto supra , ad avviso della Corte d’appello l’originario contratto d’appalto è stato sostituito da una nuova regolamentazione del rapporto e, rispetto a tale nuova regolamentazione, la medesima Corte ha escluso il risarcimento del danno in quanto se da un lato l’appaltatore ha eseguito con notevole ritardo le opere, dall’altro lato la committente non ha pagato le ulteriori opere ‘di gran lunga maggiori rispetto a quelle inizialmente appaltate’, così escludendo ogni ‘pronuncia sotto il profilo della colpa e dei suoi effetti nelle obbligazioni risarcitorie’.
Il ricorso principale va pertanto rigettato.
II. Il ricorso incidentale lamenta omessa valutazione adeguata da parte della Corte d’appello di tutti gli elementi processuali emersi, in particolare della documentazione depositata, ivi compresa la relazione dell’ing. COGNOME e le osservazioni avanzate dal consulente tecnico di parte del ricorrente: la quantificazione dei lavori extra posta in essere dal consulente tecnico d’ufficio non può essere condivisa essendo la stessa assolutamente inferiore a quella effettiva, dato che i lavori commissionati da COGNOME erano di gran lunga maggiori e di natura anche differente rispetto a quelli indicati nel contratto d’appalto.
Il motivo non può essere accolto. A differenza di quanto sostiene il ricorrente, la Corte d’appello ha ritenuto che le opere poste in essere dal ricorrente fossero ‘di gran lunga maggiori rispetto a quelle inizialmente appaltate’. La censura è poi generica, in quanto
si limita a dedurre che il consulente tecnico di parte ha stimato l’importo in euro 478.577,87, senza specificare eventuali violazioni di legge nel calcolo invece adottato dalla Corte d’appello.
Il ricorso incidentale va pertanto rigettato.
III. A fronte della reciproca soccombenza, vanno compensate le spese tra le parti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e compensa le spese tra le parti.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione