Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5660 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5660 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21225/2022 R.G. proposto da :
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo, in ROMA INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio della medesima in ROMA INDIRIZZO
-controricorrente-
nonché contro
NOME CONDOMINIO COGNOME INDIRIZZO COSENZA
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n. 320/2022 depositata il 24/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME COGNOME convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Cosenza, NOME COGNOME, NOME COGNOME e il Condominio INDIRIZZO di INDIRIZZO in Cosenza, per sentir dichiarare la risoluzione del contratto di locazione intercorso tra lui e NOME COGNOME avente ad oggetto una porzione immobiliare destinata a studio professionale sita nell’ambito del Condominio, per inadempimento del locatore e/o per impossibilità sopravvenuta, e condannare i convenuti in solido, ciascuno per la sua responsabilità, al risarcimento dei danni subìti per ridotto godimento dell’immobile, per i danni da disagio e per mancato utilizzo dell’ascensore.
Chiese altresì il pagamento dell’indennità di avviamento e la restituzione del deposito cauzionale oltre che la condanna dei convenuti a rifondere le spese legali di due procedure per ATP svolte.
Allegò, a sostegno delle domande, che, nell ‘appartamento locato , si erano verificate infiltrazioni d’acqua provenienti dal terrazzo soprastante, di proprietà di NOME COGNOME e che, nonostante le sue richieste di intervento, il locatore non aveva dato mai riscontro.
Si costituirono in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME contestando la fondatezza delle domande e allegarono che i danni da infiltrazione erano imputabili esclusivamente alla responsabilità del condominio, alla cui chiamata in giudizio chiesero di essere autorizzati. Il Mazza svolse domanda riconvenzionale volta ad ottenere la condanna del conduttore al risarcimento dei danni per anticipato rilascio dell’immobile , da commisurarsi all’importo dei canoni di locazione dovuti fino alla scadenza naturale del contratto del marzo 2013 ovvero pari a sei mensilità. Il Condominio restò contumace. Con la comparsa conclusionale l’attore specificò che ricorreva , nel caso in esame, un caso di concorso di responsabilità contrattuale e responsabilità aquiliana essendo il danno imputabile all’azione o omissione di più persone, quella del locatore determinata dagli artt. 1575 e 1576 c.c. e quella del proprietario del terrazzo soprastante e del condominio ai sensi dell’art. 2051 c.c.
Il Tribunale di Cosenza, con sentenza depositata in data 11/5/2017 n. 927, rigettò la domanda del conduttore ritenendo che, a seguito di disdetta del locatore, il COGNOME aveva continuato ad occupare l’immobile per oltre un anno dopo la cessazione formale del rapporto (dal 18 gennaio 2007 al 28 febbraio 2008), senza chiedere una riduzione del canone per minor godimento dell’immobile; e che il locatore si era attivato, sollecitando il condominio all’esecuzione dei lavori ed effettuando interventi ‘tampone’ p er venire incontro alle esigenze del conduttore; rigettò la domanda riconvenzionale del Mazza volta ad ottenere i canoni fino alla scadenza o per altri sei mesi dopo la risoluzione del contratto, non essendovi evidenza di un danno per il locatore; rigettò la domanda di risarcimento del danno del conduttore rilevando che, pur avendo l’istruttoria confermato le infiltrazioni nell’appartamento , non vi era prova di un danno subìto dal COGNOME e
rigettò infine la domanda volta ad ottenere l’indennità di avviamento commerciale.
Avverso la sentenza il COGNOME propose appello lamentando l’omessa pronuncia sul capo di domanda relativo alla restituzione del deposito cauzionale, in ragione della non contestazione da parte del locatore della circostanza che tale somma fosse stata versata; l’omessa ed erronea pronuncia in ordine alla domanda di risarcimento danni formulata nel giudizio di primo grado nei confronti della COGNOME e del Condominio ai sensi dell’art. 1585, comma 2 c.c. e l’errato rigetto della domanda di danni, liquidabili anche in via equitativa.
La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza n. 320 del 24/3/2022, ha rigettato la censura relativa all’omessa pronuncia sulla domanda di restituzione del deposito cauzionale per mancata osservanza da parte dell’attore, ai sensi dell’art. 2697 c.c., dell’onere di provare i fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, non essendo sufficiente la previsione dell’obbligo contrattuale di versare l’importo a tale titolo né contenendo il contratto menzione alcuna in ordine alla quietanza rilasciata dal locatore. Ha rigettato la domanda di danni, rilevando che, mentre nel primo grado del giudizio la pretesa risarcitoria attrice era stata azionata nei confronti di tutti convenuti indistintamente, con richiesta di condanna dei medesimi in solido al risarcimento dei danni, nei confronti del Mazza a titolo di responsabilità contrattuale per non ave r mantenuto la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto e del Condominio e della Miglietta a titolo extracontrattuale per omessa manutenzione degli immobili di loro pertinenza , con l’appel lo l’attore aveva basato, per la prima volta, la propria do manda ai sensi dell’art. 1585, comma 2 c.c., dettato in tema di legittimazione diretta del conduttore ad agire nei confronti dei terzi per tutelarsi dalle molestie di fatto subìte al godimento della cosa locata per fatto dei medesimi.
Ha altresì aggiunto che vi era stato un mutamento della domanda anche con riguardo all’eccedenza dell’importo dei canoni pagati. Conclusivamente la corte del merito ha ritenuto illegittimamente intervenuto il mutamento della domanda giudiziale con riferimento ad entrambi gli elementi costitutivi della causa petendi e del petitum. Ed ha valorizzato, per rigettare definitivamente l’appello, il fatto che il conduttore non avesse, per tutelarsi, esercitato il recesso previsto dal contratto.
Avverso la sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Resiste NOME COGNOME con controricorso.
Il ricorso è stato assegnato alla trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis. 1 c.p.c.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo -violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. – il ricorrente lamenta che la corte del gravame ha respinto la domanda di restituzione del deposito cauzionale affermando che l’attore non aveva provato di non averlo pagato sebbene avesse dimostrato l’intervenuto versamento producendo in atti la relativa ricevuta e nonostante il locatore non avesse mai contestato l’incasso del deposito cauzionale.
Il motivo è inammissibile.
La censura basata sulla pretesa produzione della ricevuta è inammissibile, in quanto l’assunto che fosse allegata al contratto locativo è meramente assertorio, nel senso che non si fornisce l’indicazione specifica del dove la pretesa allegazione emergesse e soprattutto del dove e come ciò che avrebbe rappresentato la pretesa produzione era stato oggetto di deduzione argomentativa, sì da
divenire possibile oggetto di contraddittorio fra le parti. Ne discende la palese violazione dell’onere di indicazione specifica di cui all’art., 366 n.6 c.p.c.
Parimenti inosservante dell’art. 366 n. 6 c.p.c. è poi l’assunto della mancata contestazione, dato che i riferimenti agli atti processuali a pag. 18 sono del tutto generici e si risolvono nella sostanza in una delega a questa Corte a ricercare ciò che potrebbe sorreggere l’assunto.
Con il secondo motivo -violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione agli artt. 2043 e ss. c.c. e in specie dell’art. 2055 nonché dell’art. 1585 c.c. e di ogni altra norma e principio in materia di risarcimento del danno (art. 360 nn.3 e 4 c.p.c.) omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5 c.p.c.)parte ricorrente impugna il capo di sentenza che ha ritenuto ‘nuova’ la domanda prospettata in appello rispetto a quella formulata in primo grado.
La Corte d’Appello con l’impugnata sentenza ha ritenuto che , a fronte di una voce di danno addotta nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado individuata dal COGNOME per aver versato i canoni senza ottenere il pieno godimento del bene, la domanda è stata di fatto mutata in richiesta risarcitoria avverso un pregiudizio da molestia di fatto arrecata da terzi all’uso del bene locato; e che, pertanto, era da stigmatizzarsi negativamente il mutamento della domanda giudiziale nei suoi elementi costitutivi.
Il ricorrente lamenta che erroneamente la domanda sia stata ritenuta nuova, nulla vietando alla parte che si reputi danneggiata da comportamenti che integrano, da parte di alcuni, la violazione contrattuale e, da parte di altri, la violazione di doveri aquiliani di agire cumulativamente chiedendo la loro condanna in solido così come nulla
vieta allo stesso danneggiato di rinunciare alla domanda nei confronti di uno di detti autori. Essendo nel caso di specie il fatto generatore di danno unico, cioè le infiltrazioni di acqua provenienti dal terrazzo di copertura, correttamente il danneggiato aveva proposto la sua azione sia nei confronti del Mazza, in quanto obbligato contrattualmente ad assicurare la pienezza del godimento del bene sia nei confronti del Condominio e della proprietaria del terrazzo di copertura con uso esclusivo, chiamati al risarcimento per responsabilità extracontrattuale.
Il motivo è fondato e va accolto, limitatamente alla statuizione di ‘novità’ della domanda mentre l’ulteriore motivazione della impugnata sentenza che contiene considerazioni sulla fondatezza della domanda, non è censurabile perché il giudice, con la valutazione sulla novità, ebbe ad esaurire la sua potestas iudicandi. Occorre dare continuità al consolidato principio di diritto secondo cui ‘ Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ” ad abundantiam ” nella sentenza gravata ‘ (Cass., S.U., n. 3840 del 20/2/2007).
A fronte di una domanda, formulata in primo grado, nei confronti di tutti i convenuti in solido o ciascuno per il proprio titolo di responsabilità, nulla ostava a che, in appello, lo stesso danneggiato rinunciasse alla domanda nei confronti di uno dei presunti responsabili
concentrandosi solo sugli altri. Peraltro, secondo il ricorrente, la responsabilità ex art. 1585 co. 2 c.c. è un’azione che trova il suo fondamento nell’art. 2043 c.c. , sicché l’attore si sarebbe mantenuto nel solco della responsabilità extracontrattuale già prospettata in primo grado, con la conseguente erroneità della ritenuta novità della domanda per diversità di petitum e causa petendi.
La giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso di escludere la novità della domanda quando i fatti costitutivi restino immutati ed anche la causa petendi lo sia. Nel caso in esame il petitum e la causa petendi non sono mutati in quanto , fin dall’introduzione del giudizio di primo grado, l’attore aveva chiesto la condanna di tutti i convenuti, ciascuno per il proprio titolo di responsabilità, specificando nel corso del giudizio che il locatore era tenuto a titolo di responsabilità contrattuale per violazione dell’art. 1575 c.c. e la proprietaria del lastrico solare ed il Condominio a titolo di responsabilità extracontrattuale. Non vale osservare, come fa la sentenza, che il richiamo all’art. 1585, secondo comma c.c. sia stato introdotto solo nell’atto di appello perché, trattandosi di una mera specificazione di domande già introdotte in primo grado, non era violato il contraddittorio -costituente la ratio dell’art. 345 c.p.c.
La sentenza non ha osservato i principi sanciti da questa Corte in materia di mutamento della domanda secondo cui (Cass., 3, n. 10049 del 29/3/2022), ‘ In tema di azione per il risarcimento dei danni, nel suo nucleo immodificabile la domanda non va identificata in relazione al diritto sostanziale eventualmente indicato dalla parte e considerato alla stregua dei fatti costitutivi della fattispecie normativa (che costituisce oggetto della qualificazione del giudice), bensì esclusivamente in base al bene della vita e ai fatti storici-materiali che delineano la fattispecie concreta; ne consegue che, se i fatti materiali
ritualmente allegati rimangono immutati, è compito del giudice individuare quali tra essi assumano rilevanza giuridica, in relazione alla individuazione della fattispecie normativa astratta in cui tali fatti debbono essere sussunti ed indipendentemente dal tipo di diritto indicato dalla parte ‘; Cass., 3, n. 6387 del 3/3/2023 :’ A fronte di una domanda di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., non integra ” mutatio libelli” la successiva mera specificazione del fatto dannoso. (Principio affermato dalla RAGIONE_SOCIALE in una fattispecie in cui l’attrice, dopo avere dedotto, nell’atto di citazione, la responsabilità dei convenuti per l’abbandono dei rifiuti e il conseguente inquinamento di un terreno, nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., aveva puntualizzato la suddetta condotta illecita in relazione alla violazione dell’obbligo di custodia gravante sugli stessi). Cass., 2, n. 13920 del 22/5/2023 ‘ L’interpretazione e la qualificazione giuridica della domanda spetta al giudice di merito, sulla base dei fatti dedotti dall’attore, con la conseguenza che non incorre nel divieto di “nova” in appello la parte che, rimasta soccombente in primo grado con riferimento ad una domanda risarcitoria per illecito extracontrattuale fondata sull’art. 2043 c.c., ripropone in appello la stessa domanda risarcitoria, sulla base dei medesimi fatti costitutivi, pur fondandola sull’art. 2050 c.c. ‘; si veda ancora Cass., 3 n. 3920 del 13/2/2024, secondo cui ‘ La modificazione della domanda, operata dalla parte nel rispetto delle cc.dd. preclusioni assertive, è ammissibile ove la stessa, una volta modificata, risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, mentre non può essere effettuata dal giudice in sede di decisione, incorrendosi altrimenti nella violazione delle garanzie difensive delle parti; Cass., 3 n. 10402 del 17/4/2024 ‘ Il giudice ha il potere di qualificare la domanda in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti a condizione che la “causa petendi” rimanga
identica, il che deve escludersi quando i fatti costitutivi del diritto azionato, intesi quale fondamento della pretesa creditoria e non quali fatti storici, mutano o, se già esposti nell’atto introduttivo del giudizio in funzione descrittiva, vengono dedotti con una differente portata. ‘.
Con il terzo motivo di ricorso -violazione e falsa applicazione dell’art. 97 c.p.c. in relazione all’art. 91 c.p.c. e di ogni altra norma e principio in materia di regolamentazione delle spese secondo i principi della soccombenza e della causalità -censura la sentenza per non avere adeguatamente commisurato la condanna alle spese a favore del locatore all’effettivo interesse fatto valere nei suoi confronti dal conduttore.
Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del secondo.
Conclusivamente il ricorso va accolto quanto al secondo motivo, mentre va dichiarato inammissibile il primo ed assorbito il terzo.
La sentenza impugnata va cassata in relazione con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro, comunque in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il primo ed assorbito il terzo, cassa e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro, comunque in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile