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Modificazione della domanda: quando è lecita in appello

Un conduttore cita in giudizio il locatore e terzi per danni da infiltrazioni. La Corte d’Appello rigetta la richiesta, qualificandola come ‘domanda nuova’ rispetto al primo grado. La Cassazione interviene, chiarendo che non si ha una modificazione della domanda inammissibile se i fatti storici e il bene richiesto restano invariati, anche se si specifica una diversa qualificazione giuridica. La sentenza di secondo grado viene quindi cassata con rinvio.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Modificazione della Domanda: La Cassazione chiarisce i Limiti in Appello

La corretta impostazione di una causa è fondamentale, ma cosa succede se nel corso del giudizio, in particolare in appello, si sente la necessità di precisare o qualificare diversamente la propria richiesta? Il rischio è vedersi dichiarare inammissibile la domanda per ‘mutatio libelli’. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui confini tra una lecita precisazione e una inammissibile modificazione della domanda, stabilendo un principio chiaro: finché i fatti storici alla base della pretesa e il bene della vita richiesto non cambiano, la domanda non può considerarsi ‘nuova’.

I Fatti del Caso: Infiltrazioni e Richiesta di Risarcimento

La vicenda trae origine da un contratto di locazione per un immobile ad uso professionale. Il conduttore, a causa di persistenti infiltrazioni d’acqua provenienti dal terrazzo soprastante, decideva di agire in giudizio. Conveniva non solo il suo locatore, per inadempimento contrattuale, ma anche la proprietaria del terrazzo e il condominio, ritenuti responsabili in solido per i danni subiti. La sua richiesta era ampia: risoluzione del contratto, risarcimento per il ridotto godimento dell’immobile, restituzione del deposito cauzionale e altro ancora.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello in secondo grado rigettavano le sue richieste. In particolare, i giudici d’appello ritenevano che la domanda di risarcimento, come formulata nel secondo grado di giudizio, fosse in realtà una ‘domanda nuova’ e, pertanto, inammissibile.

Il Giudizio di Appello e la contestata Modificazione della Domanda

Secondo la Corte d’Appello, il conduttore aveva cambiato la natura della sua richiesta. Se in primo grado aveva agito contro tutti i convenuti per la loro rispettiva responsabilità (contrattuale per il locatore, extracontrattuale per gli altri), in appello aveva basato la sua pretesa sull’art. 1585 c.c., che consente al conduttore di agire direttamente contro i terzi autori di molestie di fatto. Per la corte territoriale, questo rappresentava una modificazione della domanda sia nella causa petendi (i fondamenti giuridici) sia nel petitum (l’oggetto della richiesta), rendendola inammissibile.

La Decisione della Cassazione: Nessuna ‘Domanda Nuova’

La Corte di Cassazione ha ribaltato questa conclusione, accogliendo il motivo di ricorso del conduttore. Gli Ermellini hanno stabilito che la Corte d’Appello ha errato nel qualificare la domanda come nuova. Il principio fondamentale, ribadito dalla giurisprudenza costante, è che non si ha una modificazione della domanda vietata quando i fatti costitutivi della pretesa rimangono immutati.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha spiegato che il nucleo di una domanda di risarcimento non va identificato nella norma di legge invocata, bensì nei fatti storici-materiali che hanno causato il danno e nel ‘bene della vita’ che si intende ottenere (in questo caso, il ristoro economico per il danno subito). Nel caso specifico, i fatti erano sempre gli stessi: le infiltrazioni d’acqua provenienti dal terrazzo. L’attore, fin dall’inizio, aveva chiesto la condanna di tutti i soggetti che riteneva responsabili, ciascuno per il proprio titolo di responsabilità.

Il fatto che in appello abbia richiamato specificamente l’art. 1585 c.c. non costituisce un mutamento, ma una mera specificazione giuridica della pretesa già avanzata. Il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente la domanda sulla base dei fatti allegati, senza essere vincolato dall’indicazione normativa fornita dalla parte. Poiché la vicenda sostanziale dedotta in giudizio era rimasta identica, non vi era alcuna violazione del contraddittorio né una domanda inammissibile. La Corte d’Appello avrebbe dovuto esaminare il merito della questione, invece di fermarsi a una declaratoria di inammissibilità.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza è di grande importanza pratica. Conferma che una parte può, nel corso del giudizio, precisare e qualificare giuridicamente la propria domanda senza che ciò integri una ‘mutatio libelli’ inammissibile, a condizione che non introduca nuovi temi di indagine e di decisione che alterino l’oggetto sostanziale dell’azione. Il focus resta sui fatti storici e sul risultato pratico perseguito. La decisione rafforza il principio di economia processuale e il diritto della parte a ottenere una pronuncia sul merito, evitando che questioni meramente formali o di qualificazione giuridica possano precludere l’esame della fondatezza della pretesa.

Una domanda può essere modificata in appello?
No, una domanda non può essere sostanzialmente modificata in appello introducendo nuovi fatti o una richiesta completamente diversa (mutatio libelli). Tuttavia, è possibile specificare o qualificare giuridicamente in modo diverso la domanda originaria, a condizione che i fatti storici e il bene richiesto rimangano gli stessi.

Cosa distingue una modifica ammissibile da una ‘domanda nuova’ inammissibile?
La distinzione si basa sulla stabilità dei fatti storici-materiali e del ‘bene della vita’ richiesto. Se questi elementi rimangono invariati, una diversa qualificazione giuridica (ad esempio, invocare una norma di legge diversa basata sugli stessi fatti) è considerata una precisazione ammissibile. Si ha una ‘domanda nuova’ inammissibile solo quando si alterano i fatti costitutivi della pretesa o si chiede un bene completamente diverso da quello originario.

Chi deve provare il pagamento del deposito cauzionale in un contratto di locazione?
In base al principio dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), spetta al conduttore, che chiede la restituzione del deposito cauzionale, dimostrare di aver effettivamente versato tale somma. La sola previsione contrattuale dell’obbligo di versamento non è sufficiente a provare l’avvenuto pagamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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