Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22203 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22203 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13994/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec del difensore;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME, COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME, COGNOME NOME, COGNOME EMILIO, COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME in qualità di amministratore di sostegno e legale rappresentante di COGNOME, COGNOME;
-intimati – avverso la sentenza n. 466/2018 del TRIBUNALE DI CUNEO, depositata il 05/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
Con ordinanza emessa ai sensi del combinato disposto degli artt. 348 bis e 348 ter cod. proc. civ., nel testo al tempo vigente, la Corte d’appello di Torino dichiarò inammissibile l’impugnazione avanzata da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Cuneo pubblicata il 5/6/2018, che aveva definito il processo nel quale NOME COGNOME e altre avevano rivestito il ruolo di convenute.
Quest’ultima ricorre avverso la sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 348 ter, co. 3, cod. proc. civ., sulla base d’unitaria censura, ulteriormente illustrata da memoria. NOME COGNOME e gli altri dodici evocati nel presente giudizio sono rimasti intimati.
La ricorrente dichiara a pag. 3 del ricorso che l’ordinanza della Corte di Torino era stata emessa il 6/2/2019 e alla medesima comunicata il 19/2/2019, mentre a pag. 25 del medesimo atto afferma che la comunicazione era avvenuta il 20/2/2018. Non allega essere stata effettuata notifica a cura di una delle parti.
A sèguito dell’ordinanza interlocutoria n. 21943/2024 è stata acquisita attestazione telematica dalla Corte d’appello di Torino, dalla quale si trae che la comunicazione dell’ordinanza d’inammissibilità risulta essere stata notificata al difensore dell’odierna ricorrente il 19/2/2019.
La notifica del presente ricorso è stata effettuata in via telematica il 18/4/2019 e, per gli appellati non costituiti, è stato dato avvio alla notifica cartacea in pari data, siccome consta dagli atti.
Il ricorso è, quindi, tempestivo.
NOME COGNOME e altri convennero in giudizio NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME esponendo che, contestata l’autenticità del testamento olografo di NOME COGNOME avevano ottenuto il sequestro giudiziario dei beni
relitti, chiesero disconoscersi l’autenticità della scheda testamentaria, dichiararsi aperta la successione legittima e assegnarsi a ciascuno degli attori la propria quota ex lege.
NOME COGNOME e NOME COGNOME, nipoti della ‘de cuius’, costituitisi in giudizio, chiesero affermarsi l’autenticità del testamento e la loro qualità di legatarie (anche della prima, che era stata indicata dalla controparte come erede, poiché il testamento aveva previsto solo legati) e doversi procedere secondo legge per i beni non contemplati dalla testatrice.
5.1. Tralasciando ogni altra questione, che in questa sede non viene in rilievo, della decisione del Tribunale va ricordato che, accertata l’autenticità del testamento, avuto riguardo alle domande delle convenute, che costituendosi in giudizio avevano affermato di essere legatarie (anzi, espressamente contestando la qualità di erede attribuita alla COGNOME), il Giudice ritenne inammissibile, in quanto nuova, la domanda svolta solo in sede di precisazione delle conclusioni, con la quale le attrici in riconvenzionale avevano chiesto <>.
NOME COGNOME ricorre contro la sentenza di primo grado sulla base d’unitaria censura, ulteriormente illustrata da memoria.
Gli intimati non hanno svolto difese.
Viene denunciata violazione o falsa applicazione degli artt. 183, 189 e 190 cod. proc. civ. e 588 cod. civ.
La ricorrente assume che la pronuncia, corretta quanto alla dichiarazione d’inammissibilità della domanda di petizione ereditaria di beni ulteriori rispetto a quelli rivendicati, era erronea quanto alla richiesta d’essere considerata erede ‘ex re certa’, ai
sensi dell’art. 588, co. 2, cod. civ., per i beni rivendicati sin dall’inizio.
Non potevasi riscontrare alcuna novità per l’anzidetta precisazione di domanda, anche tenuto conto del fatto che gli stessi attori avevano qualificato erede l’esponente e a tale qualificazione essa era giunta all’esito dell’istruttoria, senza che fossero stati modificati il ‘petitum’ e la ‘causa petendi’.
Una tale conclusione, per la ricorrente, si pone in sintonia con le pronunce delle Sezioni unite n. 12310/2015 e n. 22404/2018, frutto di una ‘riqualificazione del fatto’, che proprio perché costituisce potere officioso del giudice, non potrebbe essere negato alla parte.
Infine, nessun mutamento dei fatti, si assume, si era avuto e nessun pregiudizio era stato arrecato agli attori, i quali, accertata l’autenticità della scheda, rivestivano la qualità di eredi pro quota e ‘de residuo’.
La prospettazione impugnatoria è priva di fondamento.
È utile partire dagli arresti nomofilattici evocati dalla stessa ricorrente.
Il principio di diritto tratto dalla prima decisione precisa che la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali. Ne consegue l’ammissibilità della modifica, nella memoria ex art. 183 cod. proc. civ., dell’originaria domanda formulata ex art. 2932 cod. civ. con
quella di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo (Rv. 635536).
Numerose pronunce conformi sono seguite all’anzidetta statuizione (fra le tante, Cass. nn. 1309172018, 22404/2018, 4322/2019, 31078/2019, 20898/2020, 27620/2020, 3127/2021, 4031/2021, 30455/2023, 23975/2024).
Con la seconda sentenza richiamata dalla ricorrente si chiarì che nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c., qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta (Rv. 650451). Anche questa pronuncia è stata seguita da plurime decisioni conformi (fra le tante, le già citate Cass. nn. 27620/2020 e 3127/2021).
Quello che la ricorrente chiama <>, in realtà, specie ove si abbia cura di andare a scrutinare la vicenda concreta che ha dato luogo ai pronunciamenti richiamati, in realtà, lungi dal disarticolare il baluardo processuale costituito dagli artt. 183 e 189 cod. proc. civ., nel testo al tempo vigente – avuto riguardo alla vicenda in esame -, ha eliso inutili margini di rigidità al divieto di mutamento della domanda, ovviamente nella sola sede consentita delle memorie ex art. 183 cod. proc. civ. e non già in sede di precisazione finale delle conclusioni (utile solo allo scopo di poter rinunciare a parti della domanda), al concorrere di talune stringenti circostanze: (1) la domanda così come modificata deve risultare connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio; (2) non deve compromettere il diritto di difesa della controparte, da intendersi nella sua
potenzialità; (3) non deve avere conseguenze sulla ragionevole durata del processo.
La sentenza del 2018, prese le mosse da quella del 2015, ha conformato il principio all’ipotesi specifica ivi contemplata.
Il sistema, senza che gli arresti nomofilattici abbiano in apprezzabile misura introdotto una nuova e alternativa prospettiva, è improntato allo scopo di stimolare il principio di autoresponsabilità delle parti, chiamate a individuare tempestivamente la domanda di giustizia (principio questo che via via è andato sempre più rinforzandosi, così da imporre sin da subito ‘gioco processuale’ a carte scoperte), garantire l’integrità del diritto di difesa della controparte e giungere in un tempo ragionevole alla decisione.
Come si è anticipato, le ipotesi concrete nelle quali si è riconosciuta una maggiore ampiezza di modifica della domanda danno ragione dell’assenza di stravolgimento della vicenda fattuale, di menomazioni difensive per la controparte e di nocumento per la speditezza del processo. O, perlomeno di alcuni di tali presupposti.
Nel caso in esame, la ricorrente pretende, frontalmente ‘contra legem’, di introdurre una domanda totalmente nuova ben tardivamente, in sede di precisazione delle conclusioni; domanda che proponeva una ricostruzione fattuale alternativa, che la stessa aveva formalmente escluso sin dal primo atto (come si è detto, con l’atto costitutivo la Fiorente negò espressamente di volere agire rivendicando la qualità di erede, ma solo quella di legataria). Domanda, il cui vaglio, avrebbe richiesto nuova istruttoria, totalmente spiazzato la difesa della controparte (vero è che sul punto la COGNOME afferma che gli attori non avrebbero avuto interesse a resistere a una tal domanda, ma ciò costituisce un mero
insondabile asserto) e procurato l’ovvio allungamento dei tempi del processo.
Tutto ciò in evidente violazione dei principi di autoresponsabilità e lealtà ai quali si devono conformare le parti in causa.
Al rigetto del ricorso non consegue condanna alle spese essendo le controparti rimaste intimate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 giugno