Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24019 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24019 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10558-2024 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE SEGUROS REASEGUROS RAPPRESENTANZA GENERALE PER RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 160/2020 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 07/08/2020 R.G.N. 528/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Firenze, confermando la pronuncia del giudice di prime cure,
R.G.N.
10558/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 03/07/2025
cc
ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE per ottenere il risarcimento del danno subito per la violazione del diritto di esclusiva, in qualità di agente (dal 1999 al 2009), nella zona assegnata di Pistoia (zona a lui riservata, con conseguente divieto, della società o di altri agenti, di stipulare polizze).
2. La Corte territoriale ha premesso che il ricorrente, alla prima udienza, aveva modificato le allegazioni in fatto illustrate nel ricorso introduttivo del giudizio, ponendo -quale fatto costitutivo del proprio diritto risarcitorio -la diversa circostanza del riconoscimento (da parte della società) del diritto di esclusiva solamente con riguardo al ‘marchio’ (e non al ‘territorio’), con possibilità della società di concludere contratti direttamente, fermo, peraltro, il divieto di conclusione di polizze da parte di altri agenti (c.d. regime ANA 3); ha rilevato che tale modifica -alla luce dell’art. 420, primo comma, c.p.c. – non era stata autorizzata dal giudice né sussistevano gravi motivi per modificare la domanda (‘considerato che il ricorrente era per fettamente a conoscenza del fatto che il rapporto di agenzia con la RAGIONE_SOCIALE era regolato dal regime ANA 3′), con conseguente inammissibilità delle nuove allegazioni nonché dei nuovi mezzi di prova articolati alla stessa udienza; preso atto della pacifica vigenza, tra le parti, del regime ANA 3 per il periodo 2001-2009 (altresì dimostrato con l’appendice n. 17 del 10.12.2001, che aveva modificato l’originario rapporto di agenzia), i giudici di merito hanno accertato che, per il periodo precedente, non era stata fornita prova posto che i capitoli di prova articolati nel ricorso introduttivo del giudizio erano generici (non precisando se l’attività di intermediazione fosse stata svolta direttamente dalla società o da altri agenti nonchè attenendo a circostanza, l’entità media pagata ogni anno all’assicurazione, da
dimostrare tramite documenti) e la richiesta di esibizione delle fatture esplorativa e, del pari, generica; infine, la Corte territoriale ha aggiunto che, conseguentemente, era irrilevante esaminare l’eccezione di prescrizione, eccezione che, peraltro, il Tribunale aveva correttamente ritenuto fondata, tanto più considerato che i crediti vantati riguardavano gli anni risalenti 1999-2001.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’agente con sedici motivi; la società ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 183 co. 5 c.p.c. e dell’art. 420 c.p.c., nonché degli artt. 414 e 416 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.: erroneo accertamento della preclusione dell’eccezione e delle prove allegate dall’attore alla prima udienza in replica all’eccezione proposta dalla convenuta riguardante il preteso patto di deroga al diritto di esclusiva introdotto dal ‘regime 3 ANA’. Il ricorrente, a seguito dell’esposizione dei fatti contenuta nella memoria di costituzione della società, ha ‘semplicemente allegato un fatto o eccezione in replica all’eccezione della convenuta’ e, in forza dell’art. 183, quinto comma, c.p.c. (norma applicabile anche al rito del lavoro) la parte attrice ha senz’altro il potere di replicare all’eccezione sollevata dalla convenuta; il giudice del lavoro doveva, quindi, ammettere le nuove deduzioni e le prove testimoniali articolate alla prima udienza dal ricorrente e riproposte con l’atto di appello.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 244 c.p.c. e dell’art. 2726 c.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.: erronea dichiarazione dell’inammissibilità delle prove richieste dall’attore nel ricorso a dimostrazione della
circostanza ‘scoperta’ relativa alla conclusione di polizze da parte della convenuta in violazione del diritto di esclusiva. Le prove testimoniali dedotte nel ricorso introduttivo del giudizio avevano ad oggetti fatti specifici, salvo -in sede di audizione del singolo testimone -chiarire l’esatto momento della conclusione di ogni polizza nonché l’identità dell’agente che l’aveva stipulata; inoltre, essendo, il COGNOME terzo rispetto alle polizze sottoscritte da altri agenti, i relativi documenti erano impossibili da produrre e le circostanze potevano essere, pertanto, dimostrate tramite prova testimoniale.
I motivi non sono fondati.
3.1. La domanda relativa ad una controversia di lavoro si propone con ricorso, ai sensi dell’art. 414 c.p.c.: la disposizione elenca un insieme di elementi che il ricorso deve contenere, nella specie ‘l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni nonché l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi’. Il rispetto di tali elementi risponde alla duplice esigenza di salvaguardare i diritti di difesa del convenuto e di garantire al giudice un esercizio consapevole di tentare la conciliazione della causa. Secondo le norme dettate per il rito del lavoro (art. 420, primo comma, ultima parte) le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice.
3.2. Le preclusioni in ordine alle allegazioni maturano, dunque, con il primo atto difensivo di ciascuna parte salvo gravi motivi e previa autorizzazione del giudice; si tratta di peculiarità del processo del lavoro, rispetto al processo ordinario, che appare funzionale ad un processo ispirato ai principi di oralità, concentrazione ed immediatezza (sul sistema di preclusioni e decadenze, e sui suoi temperamenti, cfr.Cass. S.U. n. 8202/2005).
3.3. Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, si ha ” mutatio libelli ” (inammissibile) quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un ” petitum ” diverso e più ampio oppure una ” causa petendi ” fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo; si ha, invece, semplice ” emendatio ” (ammessa alle condizioni dettate dall’art. 420, primo comma, ultimo periodo, c.p.c.) quando si incida sulla ” causa petendi “, in modo che risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul ” petitum “, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere (v. Cass. n. 17457/2009; Cass. n. 1585/2015).
3.4. Ebbene, in disparte i pur decisivi profili di difetto di specificità, mancando del tutto la trascrizione anche delle parti rilevanti degli atti introduttivi di entrambe le parti, la domanda -avanzata alla prima udienza di comparizione – di introdurre nuove allegazioni e di articolare nuove prove alterava uno dei presupposti della domanda iniziale in quanto introduceva una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate nel ricorso introduttivo del giudizio; in ogni caso, anche dovendo ritenere la nuova prospettazione quale mera emendatio libelli ( qualificazione peraltro impedita dalla impossibilità di comparazione tra ricorso introduttivo del giudizio, memoria di costituzione della controparte e verbale di udienza, non essendo stati trascritti in ricorso i primi due atti), la modifica è permessa solo previa autorizzazione del giudice e in presenza della ricorrenza di gravi motivi (sul
punto, v. Cass. n. 17176 del 29/07/2014): nel caso di specie, non risulta che il ricorrente abbia chiesto alcuna autorizzazione al giudice di primo grado né è stata adeguatamente censurata la motivazione posta a base dalla Corte territoriale circa l’insuss istenza di gravi motivi (pag. 5 della sentenza impugnata).
Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 132 co. 1 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.: motivazione apparente in ordine al rigetto del terzo motivo di gravame relativo alla questione della prescrizione. In ordine alla eccezione di prescrizione la sentenza impugnata è motivata per relationem senza alcuna valutazione critica ed esposizione delle ragioni della fondatezza della eccezione.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 2935 c.c. e dell’art. 2943 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: erroneo accoglimento dell’eccezione di prescrizione del diritto di credito dell’attore. Invero, il termine di decorrenz a della prescrizione decorreva dalla conoscenza dell’illecito contrattuale ovvero dalla conoscenza o conoscibilità della lesione del diritto da parte del danneggiato, e il COGNOME aveva appreso la violazione del diritto di esclusiva da parte della società solamente negli anni 2013-2014; inoltre, i giudici di merito hanno errato nell’escludere effetto interruttivo alla lettera del 16.4.2014 che manifestava chiaramente la volontà di ottenere il pagamento di provvigioni ulteriori o il risarcimento del danno per violazione del diritto di esclusiva. 6. I motivi sono inammissibili.
6.1. Nel caso di specie il ricorrente ha a lungo argomentato sulla erroneità del capo di sentenza dedicato alla valutazione della eccezione di prescrizione ma nulla hanno dedotto sull’altra ragione del rigetto, definita dalla Corte territoriale ‘decisiva’, ossia sulla carenza di prova in ordine a condotte di violazione dell’esclusiva da parte della società proponente, che
-come espressamente rilevato dai giudici di merito -ha reso ultronea la disamina di detta eccezione.
6.2. Trova quindi applicazione nella fattispecie il principio secondo cui, qualora la pronuncia impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto delle doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, l’esame relativo alle altre, pure se tutte tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha più ragione di avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi , giacchè, ancorchè esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della decisione anzidetta (cfr, ex plurimis, Cass. n. 13956 del 2005; Cass. n. 12355 del 2010; Cass. n. 9752 del 2017; da ultimo Cass. n.27094 del 2021).
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.;
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della
legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’udienza del 3 luglio 2025