Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23975 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23975 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/09/2024
Oggetto: Prescrizione compenso avvocato Decorrenza – Rinuncia al mandato – Deduzioni sul punto con memoria ex art. 183 c.p.c. Ammissibilità.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11429/2019 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO ;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, il quale sta in giudizio personalmente ai sensi dell’art. 86 cod. proc. civ., con domicilio presso il proprio indirizzo PEC iscritto nel REGINDE;
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 83/2019 della Corte d’Appello di Catania, pubblicata il 16/1/2019 e notificata il 15/2/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 giugno 2024 dalla AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
Con sentenza n. 3549 del 12 novembre 2012, il Tribunale di Catania, in accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo
proposta da COGNOME NOME, dichiarò prescritto il credito vantato da COGNOME NOME nei confronti dello stesso e compensò integralmente le spese del giudizio.
Il giudizio di gravame, incardinato, con citazione notificata il 22 aprile 2013, da COGNOME NOME, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME, con la sentenza n. 83/2019, pubblicata il 16 gennaio 2019, con la quale la Corte d’Appello di Catania, in riforma dell’impugnata sentenza, condannò l’appellato al pagamento, in favore dell’appellante, della somma di € 2.999,33, oltre alle spese del doppio grado del giudizio.
Per quanto qui rileva, i giudici di secondo grado ritennero che il giudice di prima istanza non potesse accertare, come aveva fatto, l’intervenuta revoca del mandato professionale al difensore conferito nel 1998, in quanto il cliente non ne aveva fatto menzione in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, ma soltanto nella memoria ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., essendosi limitato a contestare l’inadempimento e ad eccepire l’intervenuta prescrizione del credito e avendo dunque tardivamente esteso il thema decidendum , che, dunque, andasse rivalutata l’eccezione di prescrizione del diritto al compenso, decorrendo la stessa ex art. 2957 cod. civ. dalla decisione della lite o dalla conciliazione o dalla revoca del mandato ed essendo la revoca intervenuta non già con il deposito del provvedimento di rigetto del ricorso d’urgenza innanzi al T.A.R. del 27/3/1998, ma soltanto con la lettera raccomandata del 24/11/2008, con la quale l’opponente, in seguito alla comunicazione dell’avvenuta notifica dell’avviso di perenzione ultraquinquennale nel 2008, aveva comunicato al difensore l’intenzione di abbandonare il procedimento davanti al T.A.R., e che, infine, la prova orale in ordine all’intervenuto pagamento parziale del compenso andasse
ammessa, con conseguente dimostrazione del pagamento in contanti della somma di € 516,46 a titolo di acconto.
Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati anche con memoria. NOME COGNOME resiste con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale sulla base di due motivi.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso principale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 183, sesto comma, n. 1, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito qualificato come ‘domanda nuova’, siccome fondante una nuova pretesa, diversa da quella originaria, perché basata su presupposti diversi, l’eccezione formulata con la prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ., con cui era stata rilevata l’intervenuta revoca verbale del mandato difensivo risalente al mese di marzo 1998. Ad avviso del ricorrente, invece, la modificazione della domanda può riguardare, alla stregua dei principi espressi da questa Corte nel 2005, 2017, 2018 e 2019, uno o entrambi gli elementi identificativi, purché la domanda modificata sia connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, restando invece inammissibile la domanda che si aggiunga a quella proposta con l’atto introduttivo, ma non anche quella che si sostituisca ad essa. Nella specie, ha proseguito il ricorrente, l’eccezione di prescrizione era stata sollevata già con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, mentre con la prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ., in risposta alle difese del legale che negava fosse mai intervenuta la revoca della procura e che asseriva di avere predisposto l’istanza di prelievo al T.A.R. dieci anni dopo, era
stata precisata la data di decorrenza del termine, fatta coincidere con la revoca verbale dell’incarico professionale effettuata all’esito del giudizio cautelare, sicché tali deduzioni costituivano mere integrazioni della domanda originaria di accertamento dell’avvenuta estinzione per prescrizione del credito ingiunto e attenevano, dunque, alla medesima vicenda dedotta in giudizio. Pertanto, il credito azionato era prescritto, essendo decorso un decennio tra la revoca del mandato e la richiesta di pagamento intervenuta il 17/11/2008.
2. Con il secondo motivo di ricorso principale, subordinato al primo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2957 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, considerando che il termine di prescrizione prendesse avvio dall’ultimo atto compiuto dal difensore, avevano ritenuto che questo decorresse, nella specie, dal deposito dell’istanza di prelievo del 2008, data in cui era stata formalizzata la revoca del mandato, articolandosi il giudizio davanti al T.A.R. in una fase cautelare e in una di merito. Ad avviso del ricorrente, la Corte di merito non aveva considerato l’ultima parte dell’art. 2957 cod. civ., secondo cui il termine decorre, per gli affari non terminati, dall’ultima prestazione, in relazione alla quale l’opposto aveva obiettato di avere depositato davanti al T.A.R. due istanze di prelievo, una del 19/11/2004, che però non risultava dal protocollo del giudice amministrativo, come rimasto confermato con la sentenza, e una del 20/11/2008, che risultava invece depositata, mentre nell’atto di opposizione si era dedotto che l’ultima attività compiuta era stata quella del deposito del ricorso in materia elettorale davanti al T.A.R. e del deposito della relativa ordinanza cautelare di rigetto del 27/3/1998, senza che nei dieci anni successivi fosse stata compiuta più alcuna attività, né richiesto alcun pagamento,
sicché non poteva giustificarsi il principio di ultrattività del mandato contenuto nell’art. 85 cod. proc. civ., siccome avente valenza endoprocessuale non operante nei confronti della parte assistita, né del resto permaneva l’interesse ad una decisione nel merito dopo dieci anni, avendo avuto la causa ad oggetto la proclamazione degli eletti in occasione delle consultazioni elettorali del 30/11/1997.
3. Con il primo motivo di ricorso incidentale, proposto condizionatamente all’accoglimento del ricorso principale, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2721, secondo comma, cod. civ., in coordinazione con l’art. 2726 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice d’appello confermato l’ammissibilità della prova testimoniale resa dal teste NOME COGNOME all’udienza del 21/3/2011 in relazione alla circostanza dell’intervenuto pagamento parziale del compenso, che era stata ammessa dal giudice di primo grado anche con riguardo all’avvenuto pagamento di ulteriore somma di lire un milione e all’intervenuta revoca del mandato, sull’assunto, rimasto indimostrato, che la banca avesse mandato al macero i documenti risalenti a oltre dieci anni, benché non vi fossero i presupposti per la sua ammissione ai sensi dell’art. 2724 cod. civ. (principio di prova scritta e impossibilità morale o materiale di procurarsela), stanti le qualità culturali del debitore, e per avere altresì confermato il giudizio di attendibilità del predetto teste, formulato dai giudici di primo grado, con un ragionamento sostanzialmente tautologico e autoreferenziale, perché fondato sulle stesse affermazioni del predetto, nonostante le contestazioni proposte sul punto e rimaste inascoltate e insindacate in assenza di motivazione sul punto, oltreché basato su circostanze non riconducibili a responsabilità del difensore, tali essendo il mancato avvio, da parte del T.A.R., della fase di
merito del giudizio e l’assenza di attività medio tempore da parte sua.
4. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, subordinato al rigetto del precedente, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di secondo grado confermato l’attendibilità del teste, omettendo di esercitare il proprio prudente accertamento sul procedimento di valutazione delle prove, atteso che la sua inattendibilità era, invece, dimostrata dalla genericità della deposizione, quanto a circostanze di luogo e di tempo del pagamento, oltretutto riconducibili a oltre 13 anni prima, e dalla sua appartenenza allo stesso schieramento politico, posto che, contrariamente a quanto da lui dichiarato, era emersa la sua partecipazione alla squadra di governo indicata dal ricorrente, quale assessore, in occasione delle amministrative del maggio 2005.
Il primo motivo di ricorso principale è fondato.
Questa Corte ha anche di recente affermato che – sulla scorta della decisione delle Sezioni Unite che, con la sentenza del 15/6/2015, n. 12310, hanno espresso il principio secondo cui la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa ( petitum e causa petendi ), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali – si è avuto il superamento della “coppia retorica emendatio/mutatio libelli e della connessa convinzione di ammissibilità della prima e di inammissibilità della seconda”, ossia di quella modificazione della domanda che dia luogo ad una pretesa obiettivamente
diversa da quella originaria, per diversità e/o ampiezza del petitum o della causa petendi , dovendo ritenersi oggi non ammesse le sole domande che si aggiungono alla domanda proposta nell’atto introduttivo, cioè quelle che sono “altro” da quella domanda, e, per contro, ammesse le domande “modificate” non perché non possono incidere sul petitum e sulla causa petendi , ma perché non possono essere considerate “nuove” nel senso di “ulteriori” o “aggiuntive”, stante la possibilità offerta dal legislatore di compiere, prima dell’inizio della trattazione della causa, “correzioni di tiro” e cambiamenti anche rilevanti per non frustrare la funzionalità del processo e dei suoi valori fondanti (su questo punto anche Cass., Sez. 3, 14/2/2019, n. 4322).
Diversa dalla domanda è la mera difesa, la quale è volta a contrastare genericamente le avverse pretese senza tradursi nell’allegazione di un fatto impeditivo, modificativo o estintivo rispetto alle stesse e si sostanzia, dunque, nella contestazione di tutti o di alcuni degli elementi della fattispecie costitutiva del diritto azionato e, dunque, dei fatti posti dall’altra parte a fondamento del suo diritto (Cass., Sez. 2, 28/5/2019, n. 14515; Cass., Sez. 1, 6/1/2018, n. 23796; Cass. n. 816 del 2009; Cass., Sez. 3, 19/7/2005, n. 15211; Cass., Sez. U, 8/1/1997, n. 89).
Orbene, chiarito il quadro dei principi applicabili in materia, appare evidente l’erroneità delle argomentazioni proposte dai giudici di merito, allorché hanno ritenuto inammissibile, perché costituente mutatio libelli , la questione in fatto prospettata nella prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ. e afferente all’intervenuta rinuncia, da parte del cliente, fin dal 1998 all’incarico di patrocinio e alla conseguente decorrenza da essa del termine di prescrizione, tempestivamente sollevata con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, giacché essa, lungi
dall’estendere il thema decidendum e dall’introdurre un fatto impeditivo, modificativo o estintivo della pretesa dell’opposto, si sostanzia nella mera contestazione della fattispecie costitutiva posta da quest’ultimo a fondamento della propria pretesa, risolvendosi, così, in una mera difesa conseguente alle deduzioni del predetto.
Ne consegue la fondatezza della censura.
Dalla fondatezza del primo motivo, deriva l’assorbimento del secondo del ricorso principale, siccome subordinato al primo, e del ricorso incidentale, vertendo tutti sulla questione, susseguente all’ammissibilità della difesa svolta con la prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ., della ammissibilità della prova testimoniale e sull’attendibilità del testimone sentito in merito all’intervenuto pagamento dell’acconto e alla revoca del mandato.
In conclusione, dichiarata la fondatezza del primo motivo di ricorso principale, l’assorbimento del secondo e del ricorso incidentale, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Catania che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso principale, dichiara assorbito il secondo ed il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile in data 12/6/2024.
Il Presidente NOME COGNOME