Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7846 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7846 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/03/2024
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 3359 -2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, giusta procura allegata al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Catanzaro, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale è rappresentata e difesa, giusta procura allegata al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 903/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, pubblicata il 10/5/2018, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/10/2023 dal consigliere NOME COGNOME; sentito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
letta la memoria di NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con atto di citazione notificato in data 5/12/2006, NOME COGNOME, qualificandosi proprietaria di un terreno in vena di Maida per successione di sua nonna, convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme, NOME COGNOME, proprietario di un fondo limitrofo, lamentando che egli, effettuando lavori di sbancamento e livellamento sul suo fondo, avesse divelto i paletti di confine e modificato il deflusso naturale delle acque piovane, causando allagamenti e frane nel fondo di sua proprietà e non avesse, quindi, mantenuto l’impegno a realizzare un muro di contenimento per evitare ulteriori danni; chiese, pertanto, di accertare l’illegittimità di quei lavori di sbancamento e livellamento e dello sradicamento dei paletti di confine, con conseguente condanna di COGNOME alla realizzazione del muro di sostegno e al risarcimento dei danni provocati da lui direttamente e dagli allagamenti pluviali conseguenti alla mancata realizzazione dell’opera di contenimento.
1.1. Costituendosi, NOME COGNOME contestò che NOME COGNOME fosse proprietaria della porzione di terreno oggetto dello sbancamento perché egli stesso ne era proprietario e lo aveva da sempre posseduto; negò comunque che si fossero verificati smottamenti.
1.2. Di seguito alla prima udienza di trattazione del 5/5/2008, furono concessi i termini ex VI comma dell’art. 183 cod. proc. civ.; questa udienza del 5/5/2008 era stata fissata, in sola presenza di parte attrice, in prosieguo dell’udienza del 4/12/2007, a cui la causa era stata
invece rinviata di ufficio e in cui era stata riscontrata la mancata comunicazione al convenuto COGNOME.
Con le memorie ex art. 183 VI comma cod. proc. civ. n. 1) (secondo la formulazione introdotta dall’art. 23 lett. c-ter del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, come modificato dall’art. 11 lett. a della l. 28 dicembre 2005, n. 263, in vigore dal 1° marzo 2006, applicabile ratione temporis ), depositate in data 30 maggio 2008, NOME COGNOME, allegando di aver sempre posseduto il terreno per cui era giudizio, così come sua nonna prima di lei, chiese ne fosse accertata l’i ntervenuta usucapione in suo favore, anche in via di eccezione.
Istruita la causa con testi e c.t.u., con sentenza n. 1341/2011, il Tribunale dichiarò NOME COGNOME proprietaria della porzione di terreno per averlo acquistato a titolo originario per usucapione e rigettò le altre domande.
COGNOME propose appello, chiedendo, per quel che qui ancora rileva, la riforma della sentenza per aver accolto la domanda di usucapione, a suo dire, invece, inammissibile perché proposta per la prima volta con la memoria ex 183 VI comma cod. proc. civ. e non a verbale della prima udienza.
COGNOME propose appello incidentale avverso il rigetto della domanda risarcitoria.
3.1. Con sentenza 903/2018, la Corte d’appello di Catanzaro rigettò l’appello principale, confermando l’ammissibilità della domanda perché formulata in reconventio reconventionis , in conseguenza della difesa articolata da COGNOME in comparsa di risposta. In parziale accoglimento dell’appello incidentale di NOME COGNOME, condannò NOME COGNOME a pagare in favore di quest’ultima la somma di Euro
1.000,00 a titolo di risarcimento dei danni per lo sradicamento dei paletti.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo articolato in due profili; NOME COGNOME ha resistito con controricorso, depositando successiva memoria.
Esclusa l’evidenza decisoria dalla Sesta sezione, la causa è stata rimessa alla trattazione in pubblica udienza.
Il PG ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo profilo dell’unico motivo, articolato in riferimento a i n. 3 e 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 183 cod. proc. civ. (secondo la formulazione introdotta dall’art. 23 lett. c-ter del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, come modificato dall’art. 11 lett. a della l. 28 dicembre 2005, n. 263, in vigore dal 1° marzo 2006, applicabile ratione temporis ), per avere la Corte d’appello ritenuta ammissibile e tempestiva la domanda di usucapione di NOME COGNOME, seppure da lei proposta soltanto con le memorie ex art. 183 VI comma cod. proc. civ. e non sin dalla prima udienza di trattazione, secondo il V comma dello stesso art. 183.
Con un secondo profilo, il ricorrente ha rappresentato quindi che la Corte territoriale non avrebbe considerato che NOME COGNOME non aveva proposto alcuna domanda di rivendica della proprietà, sicché la domanda di usucapione risultava diversa per petitum e causa petendi e costituiva perciò una vera e propria mutatio libelli .
1.1. Ritiene il Collegio che questo motivo di ricorso sollevi una questione che rende opportuno un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, perché l’interpretazione dell’art. 183 cod. proc. civ.
involge uno dei valori di funzionalità del processo, atteso che «sulla irragionevole durata di un processo non incide (sol)tanto ciò che rileva all’interno di quel processo quanto il numero complessivo dei processi contemporaneamente pendenti che ne condiziona la gestione» (Sez. U, n. 12310 del 15/06/2015): sebbene, infatti, l’art. 3 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, al comma 12, lett. i e al comma 13 lett. b abbia innovato la fase introduttiva del giudizio e la struttura e la funzione dell’udienza ex art. 183 cod. proc. civ., rimodulando la formazione del thema decidendum e del thema probandum , la questione potrebbe conservare l’attualità della sua utilità pratica , perché sia l’art. 171 ter cod. proc. civ. che l’art. 183 nella sua nuova formulazione , ex art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall’art. 1, comma 380, lettera a, l. 29 dicembre 2022, n. 197, si applicano ai procedimenti instaurati soltanto successivamente alla data del 28 febbraio 2023.
1.1. La Corte d’appello, sul motivo di impugnazione della sentenza di primo grado articolato nei due stessi profili qui riportati, ha ritenuto ammissibile la domanda di COGNOME in quanto formulata «in conseguenza» (così in sentenza) della contestazione della proprietà del terreno interessata dallo sbancamento, come sollevata dal convenuto COGNOME nella sua comparsa di costituzione, senza considerare -e valutare che la sua proposizione era avvenuta soltanto nella prima memoria e non nella prima udienza di trattazione.
COGNOME aveva proposto una domanda ex art. 913 cod. civ. che, in quanto avanzata per l’osservanza, da parte del proprietario del fondo superiore, della limitazione legale della proprietà prevista per lo scolo delle acque e diretta ad ottenere, oltre all’accertamento dell’aggravamento della condizione del fondo inferiore in conseguenza di opere abusivamente costruite nel fondo superiore, anche il ripristino dello stato dei luoghi o un indennizzo, si sostanziava in un’ actio
negatoria di aggravamento della servitù di scolo (sulla natura dell’azione ex 913 cod. civ. , cfr. Cass. Sez. 2, n. 959 del 17/02/1981; Sez. 2, n. 17664 del 05/07/2018).
Costituendosi, COGNOME aveva contestato che l’attrice fosse proprietaria della porzione di fondo servente interessata dallo sbancamento e dall’invasione delle acque, per esserne egli stesso proprietario.
COGNOME aveva allora eccepito l’intervenuta usucapione di quella porzione e ne aveva chiesto l’accertamento con efficacia di giudicato, formulando, però, la sua domanda soltanto nelle memorie ex n. 1 del VI comma dell’art. 183 cod. proc. civ., depositate il 30 maggio 2008, nel termine di trenta giorni concesso alla prima udienza di trattazione del 5/5/2008; prima di questa udienza, vi erano stati soltanto due rinvii d’ufficio (ciò a puntualizzazione in fatto di quanto riportato in ricorso e nella memoria conclusiva del P.G.).
Ciò precisato, deve allora considerarsi che, per giurisprudenza consolidata, poiché il diritto di proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei diritti autodeterminati, perché individuabili in base alla sola indicazione del loro contenuto (cioè, il bene che ne costituisce l’oggetto), la causa petendi delle azioni a loro difesa si identifica con il diritto stesso e non con il titolo che ne costituisce la fonte (contratto, successione, usucapione etc.), la cui deduzione è necessaria, quindi, soltanto ai fini della prova del diritto e non della sua individuazione (Sez. 2, n. 7033 del 21/06/1995); causa petendi dell’ actio negatoria servitutis è, in uno alla violazione lamentata, la proprietà dell ‘ immobile, indipendentemente dal modo di acquisto, sicché la specificazione, a fondamento di tale domanda, del titolo d’acquisto, ovvero, nella specie, la maturata usucapione, non è
stata ritenuta come modifica del thema decidendum ( ex plurimis , Sez. 2, n. 4606 del 02/08/1984; Sez. 2, n. 21641 del 23/08/2019).
Nella fattispecie, dunque, sarebbe stato sufficiente, da parte dell’attore , in conseguenza della contestazione del convenuto, la dimostrazione, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido perché l’azione non era intrinsecamente diretta all’accertamento della titolarità della propriet à̀ , ma era finalizzata soltanto al riconoscimento del diritto alla cessazione dell’ attivit à̀ asseritamente pregiudizievole.
L ‘attrice , tuttavia, ha chiesto che il necessario accertamento in via incidentale del suo diritto di proprietà per maturata usucapione, conseguente alla difesa del convenuto, fosse effettuato con efficacia di cosa giudicata; dalla «questione pregiudiziale» è così scaturita una «causa pregiudiziale».
Questa domanda pregiudiziale è stata tuttavia tardivamente introdotta, come detto, soltanto con la prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ. e non alla prima udienza di trattazione.
1.3. Con la sentenza n. 3567 del 2011, le Sezioni Unite di questa Corte avevano affermato che le memorie da depositare nei termini fissati all’art. 183, quinto comma, cod. proc. civ., nel testo di cui alla legge 26 novembre 1990, n. 353, vigente fino al 1° marzo 2006 (non applicabile alla fattispecie), fossero finalizzate esclusivamente a consentire alle parti di precisare e modificare le domande e le eccezioni già proposte e di replicare alle domande ed eccezioni formulate tempestivamente, ma non a proporne di ulteriori, non essendo ammissibile estendere il thema decidendum .
Con la sentenza n. 12310 del 2015, invocata dalla controricorrente, le Sezioni Unite hanno chiarito che la «modificazione» della originaria domanda ammessa nella prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ.,
oltre l’udienza di trattazione, può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa ( petitum e causa petendi ), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali; hanno precisato, tuttavia, che il mutamento del fatto costitutivo del diritto dedotto in giudizio intanto costituisce una modifica ammessa in quanto la nuova domanda non si aggiunga a quella iniziale, ma la sostituisca e si ponga in rapporto di alternatività rispetto ad essa perché comunque tendente a realizzare la medesima vicenda sostanziale.
In particolare, per formulare questo principio di diritto, le S.U., nel 2015, hanno osservato innanzitutto che, in rapporto alla domanda originaria, nell’economia dell’art.183 -nella formulazione sia precedente che successiva alla modifica del 2005 – risultano previsti tre tipi di domande: le domande «nuove», «precisate» e «modificate».
Con riguardo alle domande «nuove», hanno rimarcato che «risultano specificamente ammesse per l’attore le domande e le eccezioni ‘che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto’, ben potendo l’affermazione suddetta leggersi nel senso che sono (implicitamente) vietate tutte le domande nuove ad eccezione di quelle che per l’attore rappresentano una reazione alle opzioni difensive del convenuto ».
Quindi, hanno ulteriormente considerato che, se le domande «precisate» sono, invece, «le stesse domande introduttive che non hanno subito modificazioni nei loro elementi identificativi, ma semplici precisazioni, per tali intendendosi tutti quegli interventi che non incidono sulla sostanza della domanda iniziale ma servono a meglio definirla, puntualizzarla, circostanziarla, chiarirla», le domande
«modificate» « non possono non essere » quelle in cui una incisione sugli elementi identificativi ci sia stata.
In conseguenza, hanno dovuto chiarire che le domande modificate non possono comunque coincidere con le «nuove», attesa la diversità di disciplina loro riservata quanto alla preclusione temporale: le domande modificate non possono, cioè, consistere in domande «ulteriori» o «aggiuntive» ma devono essere pur sempre le stesse domande iniziali, seppure modificate eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali o, addirittura, diverse da quelle iniziali, purché proposte non in aggiunta, ma in un rapporto di «alternatività» (nella specie esaminata, per «incompatibilità»).
Sul nesso di connessione per alternatività alla domanda originariamente proposta, con la successiva sentenza n. 22404 del 13/09/2018, le Sezioni unite hanno ritenuto ammissibile, nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale, la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria, se riferita alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio.
Il nesso di alternatività è divenuto poi presupposto costante nella giurisprudenza delle Sezioni semplici sull’applicazione delle preclusioni ex art. 183; è stato sempre sottolineato, infatti, che il diverso diritto può essere fatto valere oltre la barriera preclusiva della prima udienza, nelle prime memorie, purché sia in rapporto di «logica complanarità» con il diritto fatto valere inizialmente, perché corre tra le stesse parti, tende alla realizzazione (almeno in parte) dell’utilità finale già avuta di mira con l’originaria domanda (salva la differenza tecnica di petitum mediato) e si rivela di conseguenza incompatibile con il diritto per primo azionato: oltre la prima udienza di trattazione, in altri termini, «la domanda può essere anche modificata, ma non può essere
affiancata» (Sez. 3, n. 2064 del 2023; Sez. 2, n. 25900 del 2022; Sez. 6 – 1, n. 18546 del 2020; Sez. 3, n. 16807 del 2018; Sez. 3, n. 18956 del 2017).
1.4. Nella fattispecie, in esame, invece, la nuova domanda di usucapione è stata proprio «affiancata» all’originaria domanda di negatoria , senza che ricorra né un rapporto di alternatività né un rapporto di subordinazione.
Ciononostante, la risoluzione del caso merita, secondo il Collegio, un approfondimento, perché, come detto, involge il rapporto tra questione e causa pregiudiziale.
Ciò che costituisce oggetto di questione pregiudiziale è anche un elemento della fattispecie del rapporto giuridico oggetto della domanda in quanto integra o un fatto costitutivo oppure un fatto impeditivo, modificativo ed estintivo del diritto soggettivo controverso: nella prima ipotesi, tra le due situazioni sostanziali, ricorre una connessione di pregiudizialità-dipendenza (nella specie, la decisione non avrebbe potuto essere favorevole all’istante, se l’esito dell’accertamento incidentale del diritto di proprietà fosse stato negativo); nella seconda ipotesi, ricorre invece, e p er l’appunto, una connessione di incompatibilità giuridica (Cass., SU n. 21763 del 29/07/2021).
Già nella motivazione della sentenza n. 17708 del 2013, ripresa da Sez.1, n.29574 del 24.12.2020 e, poi, da Sez. 1, sentenza n. 9633 del 2022, la Terza sezione di questa Corte, approfondendo la nozione di «domanda conseguenziale» ad un atteggiamento di mera difesa del convenuto, ha proprio ritenuto ammissibile, seppure «nuova», la domanda di accertamento con efficacia di giudicato, secondo la previsione dell’art. 34 cod. proc. civ., ma ne ha ribadito la proponibilità soltanto nel limite temporale dell’ udienza di trattazione.
In particolare, la Terza sezione ha considerato l’art. 34 cod. proc. civ. quale «sintomo che un’attività dell’attore in replica ad una mera difesa con un’eccezione o con una domanda consequenziali era pienamente legittima e supposta dal quarto comma, come ora dal quinto comma, dell’art. 183 cod. proc. civ.»: ha proprio rimarcato, in tal senso, la rilevanza del la previsione, nell’art. 34, della possibilità, per l’attore, «invece che lasciare che la questione rimanga da accertarsi solo in funzione della decisione con efficacia di giudicato sulla domanda originaria, chiedere che essa venga fatta oggetto di decisione con efficacia di cosa giudicata e quindi, domandarne l’accertamento in tal guisa, innestandosi su una mera difesa del convenuto».
1.5. Nella citata sentenza 12310/2015, poi, le S.U. hanno sottolineato che «la previsione costituzionale di un processo “giusto” impone al giudice di non limitarsi alla meccanica e formalistica applicazione di regole processuali astratte, ma di verificare sempre (e quindi ogni volta) se l’interpretazione adottata sia necessaria ad assicurare nel caso concreto le garanzie fondamentali in funzione delle quali le norme oggetto di interpretazione sono state poste, evitando che, in mancanza di tale necessità, il rispetto di una ermeneutica tralatizia, sottratta alla necessaria verifica in rapporto al caso concreto, si traduca in un inutile complessivo allungamento dei tempi di giustizia ed in uno spreco di risorse, con correlativa riduzione di effettività della tutela giurisdizionale».
Hanno perciò affermato, in funzione teleologica, che l’interpretazione della modificazione consentita nelle prime memorie non può confliggere -dovendo invece esserne «in completa consonanza» -, «sia con l’esigenza -ripetutamente perseguita nel codice di rito talora anche attraverso modifiche della disciplina sulla
competenzadi realizzare, al fine di una maggiore economia processuale ed una migliore giustizia sostanziale, la concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale» «sia, più in generale, con i valori funzionali del processo come via via enucleati nel corso degli ultimi anni dalla dottrina a dalla giurisprudenza -soprattutto a sezioni unite- di questo giudice di legittimità».
Quanto ai valori di funzionalità del processo, è stata espressa, come qui già detto, la considerazione dell’indubbia «incidenza positiva più in generale sui tempi della giustizia» di «una soluzione della complessiva vicenda sostanziale ed esistenziale portata dinanzi al giudice in un unico contesto» invece di una potenziale proliferazione dei processi; quanto alla prima esigenza di «concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale» il riferimento esplicito è stato proprio «alle disposizioni codicistiche in tema di connessione o di riunione di procedimenti» («basti pensare», così in sentenza).
1.6. Per queste considerazioni, il Collegio si è chiesto se la domanda di accertamento con efficacia di giudicato, proposta in conseguenza dell’eccezione di controparte implicante comunque un accertamento incidentale del medesimo fatto costitutivo, già ritenuta, nella giurisprudenza di questa Corte, ammissibile come «domanda nuova» ai sensi del V (ex IV) comma dell’art. 183, possa essere ricondotta anche all’ambito della «domanda modificata», proponibile nelle prime memorie; ciò per la particolare considerazione riservata dal legislatore alla connessione tra questione e domanda pregiudiziale – tanto da ritenerla rilevante per la modifica della competenza – e per il fatto che la proposizione di una domanda di accertamento con efficacia di giudicato, invece che meramente incidentale, non «sorprende» il
convenuto, né comporta tempi superiori a quelli già preventivati dal medesimo art. 183 nella previsione dei termini delle memorie, anzi scongiura la possibilità che, in relazione ad una determinata vicenda sostanziale, l’attore sia costretto ad instaurare un nuovo giudizio dinnanzi ad un altro giudice che pure dovrà conoscere del medesimo diritto, verosimilmente sugli stessi elementi di fatto, con un innegabile dispendio di risorse conseguente alla proliferazione di giudizi.
Pertanto, questo Collegio ritiene opportuna la rimessione degli atti alla Prima Presidente, ai sensi dell’art. 374 cod. proc. civ., affinché valuti la sussistenza dei presupposti per l’assegnazione della causa alle Sezioni Unite allo scopo di stabilire se, proposta una domanda di negatoria servitutis , possa essere altresì proponibile, in conseguenza delle difese del convenuto, nelle prime memorie e dopo la prima udienza ex art. 183 cod. proc. civ. (nella formulazione precedente l’art. 3 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, al comma 12, lett. i e al comma 13 lett. b), una domanda di accertamento, con efficacia di giudicato, della titolarità del diritto di proprietà per maturata usucapione.
P.Q.M.
dispone la trasmissione degli atti alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite sulla questione esposta in motivazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda