Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18561 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18561 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 3158/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 430/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 11/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23.04.2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
RAGIONE_SOCIALE, agente senza rappresentanza di RAGIONE_SOCIALE, i cui compensi venivano liquidati dalla mandante dopo l’approvazione del contratto d’acquisto promosso dall’agente, poiché non erano state saldate talune fatture per le commissioni maturate, ottenne ingiunzione monitoria nei confronti della mandante per l’ammontare di € 6.023,28.
NOME, oltre ad opporre il decreto, propose autonoma azione al fine di ottenere condanna per concorrenza sleale, restituzione delle provvigioni percepite in eccedenza, nonché al risarcimento del danno da omesso aggiornamento periodico riguardante l’andamento degli affari.
Riunite le cause, l’adito Tribunale rigettò tutte le domande di NOME, revocò il decreto ingiuntivo e condannò la preponente al pagamento in favore dell’agente della somma di € 4.826,30.
La Corte d’appello di Perugia rigettò l’impugnazione di RAGIONE_SOCIALE.
Quanto alla cd. ‘circolare sconti’, della quale le parti hanno discorso (trattavasi della previsione di un modulo, afferente a particolari agevolazioni su ordinativi importanti, che avrebbe dovuto essere compilata e rimesso alla mandante in occasione di ogni applicazione), precisa la decisione, costituire clausola mai perfezionata, perché non accettata per iscritto e della quale non vi era neppure la prova di approvazione per ‘facta concludentia’.
RAGIONE_SOCIALE ricorre sulla base di sette motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 1742 cod. civ.
Questo l’assunto impugnatorio.
La sentenza impugnata aveva erroneamente affermato che la ‘circolare sconti’ non era stata provata per iscritto, prova che invece vi era, in quanto <>; circostanza comprovata dal fatto che la RAGIONE_SOCIALE aveva fatto applicazione della predetta ‘circolare’, <>.
4.1. Il motivo non supera il vaglio d’ammissibilità.
In primo, e, peraltro, decisivo luogo, occorre osservare che il motivo non attinge la ‘ratio decidendi’, con la quale la Corte di merito ha evidenziato la non opponibilità alla RAGIONE_SOCIALE della firma apposta, solo per ricevuta, da un dipendente, privo del potere di rappresentare la società.
Nel resto la doglianza indugia su asserti asseritamente ricollegati alla vicenda fattuale, in questa sede, ovviamente, non verificabili.
Né, a tutto concedere, si addebita alla sentenza la specifica violazione di norma regolante l’ermeneutica negoziale.
Infine, è appena il caso di soggiungere, è impropria la denuncia di violazione o falsa applicazione dell’art. 1742 cod. civ. È del tutto palese che attraverso la denunzia di violazione di legge la ricorrente sollecita – non determinando essa, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente – un improprio riesame di merito (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459). La violazione dell’art. 115 non sussiste per le note ragioni.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2722 e 2724 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ.
La ricorrente assume che la prova per testi concernente il patto aggiunto avrebbe dovuto essere ammessa essendovi in atti principio di prova per iscritto. Inoltre era <> e i testi NOME COGNOME e NOME COGNOME, avevano <>. Quest’ultimo, a sua volta, aveva dichiarato di avere <>.
Inoltre, tre testi avevano confermato l’applicazione della ‘circolare sconti’.
5.1. Il motivo è destituito di giuridico fondamento.
Non sussistevano le condizioni per ammettere la prova scritta prevedute dall’art. 2724 c.c., stante che lo scritto proviene unilateralmente dalla stessa parte che ne invoca la forza modificativa del contratto d’agenzia.
In disparte, è appena il caso di soggiungere, difettano, anche in astratto, le condizioni necessarie prevedute ai nn. 2) e 3) della disposizione invocata.
Quanto al significato assegnato dalla ricorrente alla firma rilasciata a ricevuta del documento, la doglianza, che riprende il primo motivo, insiste nell’impropria richiesta di una revisione degli apprezzamenti di merito in questa sede non censurabili, senza, peraltro, è bene ribadire, avvedersi della non controvertibile evidenza che il rappresentante legale non ebbe ad approvare la modifica contrattuale.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 232 cod. proc. civ.
Secondo la prospettazione impugnatoria, al contrario di quanto affermato in sentenza, era stata raggiunta la prova dell’approvazione della modifica contrattuale per ‘facta concludentia’. Se la Corte d’appello avesse ammesso la chiesta prova per testi sarebbe stato provato che la ‘circolare’ aveva trovato applicazione fra le parti.
Non si era dato il giusto rilievo all’omessa sottoposizione all’interrogatorio formale del rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE.
6.1. Il motivo è inammissibile.
A giustificare l’anticipato epilogo è bastevole rilevare che la ricorrente non si perita di allegare i capitoli sui quali sarebbe stato richiesto l’interrogatorio formale, senza contare che, in ogni caso, l’apprezzamento del significato della non sottoposizione allo strumento non è vincolante ed è lasciato all’apprezzamento del giudice del merito.
In ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il ricorrente che denunci il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere il giudice di merito omesso di esaminare la mancata comparizione della controparte a rispondere all’interrogatorio formale, deve trascriverne il contenuto integrale, o indicare le circostanze di fatto che ne formano oggetto (Sez. 3, n. 5043, 03/03/2009, Rv. 607648 – 01).
Principio, questo, conforme al granitico orientamento secondo il quale il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od
erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la RAGIONE_SOCIALE. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Sez. 6, n. 17915, 30/07/2010, Rv. 614538 -01; ma già, ex multis, Cass. nn. 2977/2006, 5479/2006, 13556/2006, 14973/2006, 23673/2006, 6440/2007, 11460/2007, 13085/2007, 5043/2009, 6023/2009, 4201/2010; successivamente, conforme Cass. n. 19985/2017).
Inoltre, deve osservarsi che, in ogni caso, il patto non sarebbe stato opponibile, poiché non redatto per iscritto, in violazione della forma imposta dalla legge, sia pure ‘ad probationem’, per il contratto d’agenzia.
Questa Corte, di recente, ha giudicato manifestamente infondata l’eccezione d’incostituzionalità dell’art. 1742 cod. civ., nella parte in cui impone la forma scritta per la prova, tuttavia affermando che la prova dell’accordo negoziale sia suscettibile d’essere fornita anche a mezzo di documenti diversi dalla scrittura contrattuale, purché essi abbiano ad oggetto direttamente le intese contrattuali ed il loro contenuto, non essendo sufficiente investano semplicemente circostanze fattuali dalle quali possa, se del caso, risalirsi, per via di inferenza logica, alla stipulazione del contratto (Sez. 1, n. 29422, 24/10/2023, Rv. 669357).
Qui, si è già detto, che il documento sul quale la ricorrente fonda la sua prospettazione è privo di capacità evocativa d’intese contrattuali, provenendo dalla medesima parte che ne invoca la valenza. Nel resto, ma si è detto anche questo, trattasi di
circostanze fattuali attraverso le quali la ricorrente pretende d’inferire la stipulazione del patto modificativo del contratto.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ.
Si afferma che non poteva condividersi la sentenza d’appello laddove aveva negato che l’esponente avesse fornito la prova dell’indebito arricchimento della controparte a riguardo delle commissioni pretese in relazione alle commesse ordinate da clienti non visitate dall’agente (art. 7 del contratto).
Emergeva, prosegue la ricorrente, dall’allegata documentazione che RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE <>. Ove correttamente apprezzata, la deposizione di NOME COGNOME (responsabile dell’ufficio vendite di RAGIONE_SOCIALE) avrebbe dovuto confermare quanto sopra.
Inoltre, ove fosse stata ammessa la prova orale richiesta dall’esponente in primo grado, e immotivatamente disattesa, si sarebbe ben potuto dimostrare l’assunto.
7.1. Il motivo è inammissibile.
Per un verso, con la doglianza in esame la RAGIONE_SOCIALE censura inammissibilmente l’apprezzamento della prova testimoniale effettuata in primo grado dal Tribunale.
Per altro verso si duole della mancata ammissione di prova per testi, ancora una volta senza indicare i capitoli che sarebbero stati esposti.
Debbono richiamarsi i consolidati principi a riguardo dei limiti alla denuncia di violazione degli artt. 115 e 116.
Sul punto è bastevole riprendere quanto affermato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 20867 del 30/09/2020.
In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037 -02).
In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. n. 659037 -01).
Quanto alla denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. va osservato che l’evocazione della regola sull’onere probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo
scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito manifesti la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio, di talché, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile. La critica, in sostanza, presuppone che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito sia tale da integrare il rivendicato inquadramento normativo, e che, quindi, ancora una volta, l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, risulti tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (cfr., da ultimo, Cass. nn. 11775/019, 6806/019).
Infine, evocando tutta la documentazione depositata sul punto davanti al Tribunale, la ricorrente, nella sostanza richiede un improprio complessivo nuovo vaglio di merito.
Va, quindi, ribadita l’inammissibilità del motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (Sez. 2, n. 10927, 23/04/2024, Rv. 670888 -01).
Con il quinto motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ.
Si deduce l’ingiustizia della sentenza per avere negato la violazione da parte dell’agente del patto di non concorrenza.
L’art. 2 del contratto vietava all’agente di promuovere per conto di altri soggetti la vendita di prodotti appartenenti al medesimo settore merceologico e l’art. 4 faceva responsabile l’agente per le condotte dei suoi collaboratori nei confronti della mandante.
Perciò non poteva condividersi la decisione che aveva negato una tale illecita attività da parte di NOME COGNOME, della cui condotta, in ogni caso, avrebbe dovuto rispondere la RAGIONE_SOCIALE.
8.1. Il motivo è inammissibile.
In via assorbente delle considerazioni prima spese in relazione al denunciato vizio di violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., deve osservarsi che il motivo non aggredisce con la dovuta specificità la ‘ratio decidendi’, avendo la Corte d’appello motivato nei termini di appresso: <>.
La precisazione secondo la quale, in ogni caso, ad ammettere un’attività di NOME COGNOME, solo costui avrebbe potuto essere chiamato a rispondere della violazione del patto, non costituisce ‘ratio decidendi’, ma una ulteriore e non necessaria aggiunta.
Peraltro, anche in questo caso, e decisivamente, non vengono specificati i capitolati di prova non ammessi.
Infine, l’argomento secondo il quale dell’eventuale condotta personale dell’COGNOME avrebbe dovuto rispondere la società agente risulta nuova.
Con il sesto motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ.
La ricorrente addebita alla sentenza di non avere riscontrato la violazione dell’art. 5 dell’accordo, per non avere l’agente reso il previsto rendiconto trimestrale (circostanza che si assume non contestata); dal che era derivata una perdita di ‘chance’ della esponente.
9.1. Il motivo è inammissibile.
La sentenza sul punto ha così motivato: <>.
È evidente che non vien colta la ‘ratio decidendi’, la quale, per un verso afferma, interpretando la funzione della clausola (interpretazione qui non contestata), che lo scopo era stato raggiunto e, per altro, e collegato verso, che non era stato allegato danno di sorta.
Tutto ciò, ovviamente, in disparte a quanto sopra chiarito a riguardo della denuncia di violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ.
Con il settimo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione del d.m. n. 55/2014, asserendosi che lo scaglione di riferimento era quello fino a 26.000,00 euro.
10.1. A volere reputare scrutinabile il motivo, anche in difetto di specificazione in ordine al superamento in concreto del massimo di tabella, esso è, tuttavia, ugualmente inammissibile, tenuto conto del valore della causa dipendente dal ‘disputatum’, siccome specificato in sentenza, qui non contestato.
Invero, ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia va fissato – in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata, quale desumibile dall’interpretazione sistematica delle disposizioni in tema di tariffe per prestazioni giudiziali – sulla base del criterio del “disputatum” (ossia di quanto richiesto nell’atto introduttivo del giudizio ovvero nell’atto di impugnazione parziale della sentenza); peraltro, ove il giudizio di secondo grado abbia per oggetto esclusivo la valutazione della correttezza della decisione di condanna di una parte alle spese del giudizio di primo grado, il valore della controversia, ai predetti fini, è dato dall’importo delle spese liquidate dal primo giudice, costituendo tale somma il “disputatum” posto all’esame del giudice di appello (Sez. 3, n. 27871, 23/11/2017, Rv. 615929; conf. Cass. n. 536/2011).
Nel complesso il ricorso merita rigetto.
le spese del giudizio di legittimità della controricorrente debbono essere poste a carico della ricorrente nella misura, stimata
congrua, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività svolte, di cui in dispositivo.
13. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese legali in favore della resistente, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 23 aprile 2024.
La Presidente NOME COGNOME