Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9616 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9616 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 19810/2020 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso di lui in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
nonché
Presidenza del Consiglio dei Ministri;
-intimata-
nonché
Agenzia delle Entrate;
-resistente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Napoli n. 5497/2019 pubblicata il 5 novembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto appello contro la sentenza n. 11499/2014 del Tribunale di Napoli, con la quale era stata rigettata la loro domanda, volta a conseguire l’inquadramento nella qualifica superiore dell’area C, posizione economica C5 o, in subordine, C4 o C3 del CCNL di categoria, con condanna delle controparti a pagare le differenze retributive maturate e alla ricostruzione della posizione contributiva, oltre al risarcimento del danno patito per il demansionamento subito in seguito al passaggio alle dipendenze dell’I NAIL.
La Corte d’appello di Napoli, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 5497/2019, ha rigettato il gravame.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi e ha depositato memoria.
L’INAIL si è difeso con controricorso e ha depositato memoria.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha svolto difese.
In corso di causa, ha depositato ‘atto di costituzione’ l’Agenzia delle Entrate, che non risulta avesse partecipato ai precedenti gradi di giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare, occorre ricostruire la vicenda in esame.
La legge n. 58 del 1992 contiene disposizioni per la riforma del settore delle telecomunicazioni.
L’art. 1 ha stabilito che i servizi di telecomunicazione, prima gestiti dall’azienda di Stato per i servizi telefonici (RAGIONE_SOCIALE), fossero affidati a un’azienda costituita
dall’IRI che, per la durata di un anno, sarebbe stata concessionaria esclusiva. Tale azienda è stata l’RAGIONE_SOCIALE.p.A. per effetto del D.M. del 29 dicembre 1993 e dell’apposita convenzione stipulata dal Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni con l’RAGIONE_SOCIALE s.p.a., a decorrere dal 1° novembre 1993 è stata soppressa l’ASST (art. 1, comma 3).
Con riguardo al personale, l’art. 4 della medesima legge n. 58 del 1992 ha previsto l’opzione per la permanenza nel pubblico impiego e, in mancanza, il passaggio diretto alle dipendenze della concessionaria. In particolare, la suddetta norma ha così statuito: «1. Il personale dell’Azienda di Stato per i servizi telefonici, applicato alla data di entrata in vigore della presente legge presso l’Ispettorato generale delle telecomunicazioni, l’Istituto superiore delle poste e delle telecomunicazioni, le segreterie del consiglio di amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni e del consiglio superiore tecnico delle poste, delle telecomunicazioni e dell’automazione, nonché presso la direzione centrale per il controllo delle concessioni e le corrispondenti sezioni presso gli ispettorati di zona, è trasferito d’ufficio nelle corrispondenti qualifiche dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni con le modalità stabilite dal terzo comma dell’articolo 200 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3. Il decreto del Ministro delle poste e delle telecomunicazioni con il quale è disposto il trasferimento determina le conseguenti variazioni delle dotazioni organiche.
La Società, per la durata della concessione di cui al comma 1 dell’articolo 1, si avvale del personale dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni addetto alle attività concernenti i servizi trasferiti alla Società stessa, nonché del personale dipendente dell’Azienda di Stato per i servizi telefonici alla data di entrata in vigore della convenzione di cui al comma 2 dell’articolo 1, ad esclusione di quello di cui al comma 1 del presente articolo. Il personale predetto conserva il trattamento giuridico, economico e pensionistico proprio del rapporto di pubblico impiego. I relativi oneri sono rimborsati allo Stato dalla Società stessa.
Entro sei mesi dalla delibera del CIPE di cui al comma 6 dell’articolo 1 e comunque non oltre la data di scadenza della concessione di cui al comma 1 dello stesso articolo 1, il personale di cui al comma 2 del presente articolo, può optare per la permanenza nel pubblico impiego; ad esso si applicano le procedure per la mobilità di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 agosto 1988, n. 325, ed alla legge 29 dicembre 1988, n. 554. Il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, con proprio decreto da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative del personale interessato, determina, anche in deroga al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 agosto 1988, n. 325, e alla legge 29 dicembre 1988, n. 554, i criteri per l’assegnazione delle sedi prevedendo comunque la facoltà per il dipendente di essere destinato nel territorio provinciale nell’ambito del quale ha svolto il precedente servizio. Il Ministro per la funzione pubblica, con proprio decreto da emanarsi entro i successivi sessanta giorni, di concerto con il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, e da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale, individua i posti vacanti presso le pubbliche amministrazioni che potranno essere ricoperti dal personale di cui al comma 2 con il ricorso alla mobilità. Il personale che ha optato per la permanenza nel pubblico impiego non può svolgere attività presso la Società oltre la data di scadenza della concessione di cui al comma 1 dell’articolo 1.
Entro e non oltre la data di scadenza della concessione di cui al comma 1 dell’articolo 1 il personale che non ha optato nei termini per la permanenza nel pubblico impiego transita alle dipendenze delle concessionarie, ad eccezione di quello individuato dalla Società come necessario allo svolgimento delle attività che ad essa residuano, che transita alle dipendenze della Società stessa…».
La norma ha, dunque, previsto due diverse forme di mobilità a seconda degli uffici di provenienza:
il trasferimento d’ufficio nelle corrispondenti qualifiche dell’Amministrazioni delle poste e delle telecomunicazioni con le modalità di cui all’art. 200, comma 3, del d.P .R. n. 3 del 1957, relativamente al personale in servizio in alcune peculiari strutture;
l’opzione per la permanenza nel pubblico impiego per il restante personale.
In particolare, la seconda tipologia (che qui rileva) è, come osservato in giurisprudenza (Cass., Sez. L, n. 4536 del 20 febbraio 2024) riconducibile alla mobilità volontaria e non al passaggio di competenze ed alla stessa si applicano le procedure per la mobilità di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 325 del 1988 e alla legge n. 554 del 1988. La suddetta facoltà di opzione non risponde ad esigenza datoriale di perequazione del personale bensì a criteri di mera convenienza esclusiva per il lavoratore, il quale, nelle intenzioni del legislatore, è lasciato libero di mantenere uno status di pubblico dipendente, assistito, nella comune considerazione, da maggiori garanzie di stabilità, oppure di transitare alle dipendenze delle società concessionarie.
Il ricorrente aveva esercitato tempestivamente l’opzione, sopramenzionata, per permanere nel pubblico impiego.
Su detta richiesta non vi era stata, tuttavia, alcuna pronuncia da parte dell’Amministrazione, tanto che il dipendente, da un lato, aveva agito dinanzi al giudice amministrativo affinché fosse deliberato il passaggio di ruolo ad altre Pubbliche Amministrazioni in base all’art. 4 della legge n. 58 del 1992 e, dall’altro, era passato all’IRITEL da novembre 1993 per non restare senza lavoro.
Con sentenza n. 2301/2008 il Consiglio di Stato ha definitivamente affermato l’obbligo dell’Amministrazione di concludere il procedimento amministrativo relativo alla sua istanza di mobilità, non esaminata dalla P.A.
Pertanto, il ricorrente era passato a lavorare alle dipendenze dell’INAIL dal 15 luglio 2009, con inquadramento nella terza area, fascia retributiva C1, corrispondente, in base alle tabelle di equiparazione, alla categoria di inquadramento, la settima, rivestita presso ASST.
2) Venendo all’esame del ricorso, si osserva che, c on il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 30 ss. del d.lgs. n. 165 del 2001, 4 della legge n. 58 del 1992, del d.P.C.M. n. 35 del 1988, della legge n. 554 del 1988 in tema di mobilità, degli artt. 4 della legge n. 58 del 1992, 1230, 1406 e 2909 c.c. perché la corte territoriale avrebbe errato nel ricondurre la presente vicenda alla mobilità volontaria e non a quella d’ufficio che, in realtà, si era verificata, essendo seguita alla soppressione dell’ASST. In particolare, egli non avrebbe potuto permanere nel pubblico impiego in quanto la P.A. non avrebbe adempiuto al suo obbligo di espletamento integrale delle procedure di mobilità previste dal d.P.C.M. n. 35 del 1988 e dalla legge n. 554 del 1988, come richiamate dall’art. 4, comma 3, della legge n. 58 del 1992.
La Corte d’appello di Napoli avrebbe errato nel ritenere sussistere, nella specie, una novazione del contratto di lavoro, reputando estinto il precedente rapporto di lavoro, quando, invece, vi sarebbe stata una cessione del contratto. Da questa situazione sarebbe derivato il suo diritto a che il proprio rapporto di pubblico impiego fosse considerato decorrente, senza soluzione di continuità, dalla data di assunzione presso la ex ASST.
Con il secondo motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, in quanto l’INAIL lo avrebbe inquadrato in maniera deteriore rispetto al contenuto delle declaratorie, della legge n. 101 del 1979, della legge n. 797 del 1981, degli artt. 13 ss. del CCNL per il personale non dirigente del comparto Enti pubblici non economici 1998/2001, degli artt. 1362 ss. c.c., 112, 115 e 116 c.p.c., 4 della legge n. 58 del 1992 e 2103 c.c.
Egli afferma che la mancata verifica di una corrispondenza sostanziale tra la qualifica in precedenza da lui posseduta e quella attuale avrebbe violato l’art. 2103 c.c. e l’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 e che la Corte d’appello di Napoli avrebbe illegittimamente ritenuto precluso ogni accertamento sulla base del richiamato d.P.C.M.
Il ricorrente espone l’erroneità della comparazione tra il C1 CCNL enti pubblici non economici e il VII livello ASST, atteso che dalla semplice lettura delle declaratorie sarebbe stato possibile evincere l’errato inquadramento.
Il lavoratore evidenzia che, al momento della soppressione dell’ASST, sarebbe stato un Revisore tecnico coordinatore, corrispondente al VII livello, e che ingiustamente l’INAIL lo avrebbe inquadrato nel settore amministrativo, Area C, posizione economica C1, quale collaboratore di amministrazione, senza tenere conto delle risultanze istruttorie.
Le due censure possono essere trattate congiuntamente, stante la stretta connessione.
La prima doglianza è infondata, mentre la seconda è inammissibile.
Per quanto qui viene in rilievo, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il comportamento dell’Amministrazione che ometta di espletare la procedura sopra descritta vada qualificato come inadempimento di una obbligazione di mezzi, rispetto al quale va riconosciuto l’interesse del dipendente ad agire in giudizio per l’accertamento del diritto alla esatta applicazione della normativa che disciplina la mobilità fra le pubbliche amministrazioni.
La sentenza del Consiglio di Stato n. 2301/2008, per l’esattezza, ha riconosciuto un diritto perfetto del ricorrente non a permanere nel pubblico impiego, ma a vedere completata la procedura amministrativa avviata con la sua istanza di passaggio verso i ruoli della pubblica amministrazione.
A seguito di tale pronuncia il ricorrente, immesso nei ruoli dell’INAIL, ha agito deducendo che l’INAIL lo avrebbe erroneamente inquadrato nell’area C, posizione economica C1, piuttosto che in posizioni economiche superiori.
2.1) In ordine al primo motivo, si osserva che, in cause similari, in quanto aventi a oggetto proprio l’esercizio del diritto di opzione di dipendenti ex ASST, questa Sezione della Suprema Corte, con ordinanza n. 4536 del 20 febbraio 2024 (sopra citata) e con ordinanza n. 5086 del 26 febbraio 2024, ha affermato che la tipologia di trasferimento in esame è riconducibile alla mobilità volontaria e non al passaggio di competenze e che alla stessa si applicano le procedure per la mobilità di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 325 del 1988 e alla legge n. 554 del 1988 (analogamente, Cass., Sez. L, n. 6663 del 22 maggio 2000).
Ha precisato, sul punto, che la detta facoltà di opzione non risponde ad esigenza datoriale di perequazione del personale bensì a criteri di mera convenienza esclusiva per il lavoratore, il quale, nelle intenzioni del legislatore, è lasciato libero di mantenere uno status di pubblico dipendente, assistito, nella comune considerazione, da maggiori garanzie di stabilità o di transitare alle dipendenze delle società concessionarie.
Soprattutto, Cass., Sez. L, n. 5086 del 26 febbraio 2024 ha chiarito che la prima forma di mobilità prevista dalla norma summenzionata è equiparabile a quella disciplinata dall’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001, mentre la seconda (che qui interessa) è riconducibile alla mobilità volontaria, e non al passaggio di competenze. L’art. 4, comma 3, della legge n. 58 del 1992 costituisce, infatti, una disposizione speciale che attribuisce al dipendente il diritto al corretto espletamento della procedura e non a permanere incondizionatamente nell’amministrazione pubblica.
Tale ricostruzione è condivisa anche dalla sentenza n. 2319 del 2008 del Consiglio di Stato, secondo cui l’art. 4, comma 3, della legge n. 58 del 1992 ha previsto due distinte forme di mobilità, a seconda degli uffici di provenienza del personale ASST: il trasferimento d’ufficio nelle corrispondenti qualifiche dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni con le modalità di cui all’art. 200, comma 3, del DPR n. 3 del 1957 relativamente al personale in servizio presso le peculiari strutture indicate nel comma 1, e l’opzione per la permanenza nel pubblico impiego per il restante personale.
2.2) In ordine alla seconda contestazione, concernente l’inquadramento riconosciuto dall’INAIL al dipendente, si osserva che la corte territoriale ha ritenuto, alle pagine 7 e 8 della motivazione, inammissibile l’analoga doglianza sollevata in appello in quanto ‘nei ricorsi di primo grado, il raffronto era stato effettuato, del tutto erroneamente, tra la posizione rivestita presso la Telecom (lavoratore addetto ad attività specialistiche di tecniche numeriche di cui al sesto livello del CCNL RAGIONE_SOCIALE) e quella di destinazione presso RAGIONE_SOCIALE; per l’esattezza, ‘ci si doleva, in particolare, che non si era tenuto conto, dopo tanti anni di cessazione del rapporto con RAGIONE_SOCIALE, della professionalità acquisita presso
Telecom che si assumeva non corrispondente, dal punto di vista sostanziale, a quella rientrante nella declaratoria di inquadramento presso l’Inail’. Peraltro, il Tribunale di Napoli aveva rigettato la richiesta del ricorrente assumendo l’irrilevanza, nella specie, delle mansioni svolte presso Telecom prima del passaggio all’INAIL.
Questo capo della sentenza di appello non è stato, però, specificamente impugnato dal lavoratore.
Inoltre, sempre la Corte d’appello di Napoli ha fondato la sua decisione non tanto sulla vincolatività del d.P.C.M. al quale si riferisce il lavoratore nel suo ricorso (deve ritenersi il d.P.C.M. 7 novembre 2000), in realtà, concretamente, non applicato, ma sulla considerazione che il nuovo sistema di classificazione del personale del CCNL 2006-2009, enti pubblici economici, aveva inserito il livello VII nell’area C, posizione economica 1, e neppure questo aspetto è stato specificamente contestato.
D’altronde, la giurisprudenza è ormai consolidata nell’affermare che, in tema di pubblico impiego privatizzato, l’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale delle mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacare la natura equivalente della mansione, non potendosi avere riguardo alla norma generale di cui all’art. 2103 c.c. (Cass., Sez. L, n. 26084 del 4 ottobre 2024; Cass., Sez. L, n. 1665 del 16 gennaio 2024). Trova applicazione, quindi, il principio per il quale, in materia di pubblico impiego privatizzato, il dipendente cui sia stata accolta la domanda di mobilità in relazione ad una specifica vacanza nell’ente di destinazione e che abbia accettato la valutazione espressa da quest’ultimo quanto alla corrispondenza fra aree e profili professionali di inquadramento, non può contestare, a passaggio già avvenuto, l’inquadramento riconosciutogli e pretendere di rimanere nell’ente di destinazione con un superiore profilo professionale, percependo le relative differenze retributive, non potendo essere alterato il bilanciamento di interessi che il legislatore ha inteso realizzare attraverso il meccanismo della mobilità e vanificate le esigenze di efficienza, buon andamento e contenimento della spesa complessiva che le
norme generali sul rapporto di impiego alle dipendenze delle PP.AA. mirano ad assicurare in attuazione dei principi di cui all’art. 97 Cost. (Cass., Sez. L, n. 5086 del 26 febbraio 2024).
Con il terzo motivo il ricorrente contesta l’omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di causa e delle risultanze istruttorie, in particolare delle deposizioni dei testi escussi e delle circostanze provate tramite queste.
La censura è inammissibile, in quanto, nella specie, ricorre una c.d. doppia conforme, il che esclude che possa prospettarsi il vizio di omesso esame di un fatto.
Peraltro, il motivo sarebbe sempre inammissibile atteso che con esso si domanda, nella sostanza, a questo Collegio di rivalutare le risultanze istruttorie.
In ogni caso, si sottolinea che l’omesso esame di una condotta processuale non è inquadrabile nel paradigma di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012; è infatti denunciabile per cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia di un preciso accadimento in senso storico-naturalistico, avente carattere decisivo e che abbia formato oggetto di discussione tra le parti.
Con il quarto motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nell’apprezzamento delle prove con riferimento alla legge n. 101 del 1979 e alla legge n. 797 del 1981, degli artt. 13 ss. del CCNL per il personale non dirigente del comparto Enti pubblici non economici 1998/2001, dell’art. 2013 c.c. e degli artt. 1362 ss. c.c. e 112 c.p.c. in quanto la corte territoriale, non richiamando i fatti e le prove acquisiti nel giudizio di primo grado, non avrebbe colto la distinzione tra attività di mera collaborazione e quella di assunzione di responsabilità e decisione anche in caso di criticità, con svolgimento di mansioni di facente funzione dei funzionari capo.
La censura è inammissibile, oltre che per le ragioni già evidenziate nell’esame dei precedenti motivi, perché il ricorrente domanda, nella sostanza, a questo Collegio di rivalutare le risultanze istruttorie agli atti.
5) Con il quinto motivo il ricorrente si duole del trattamento economico corrisposto dall’INAIL per omesso esame di un fatto decisivo per la decisione, ossia il diritto al mantenimento del premio industriale e del compenso di incentivazione, voci retributive ordinarie e non legate alla specifica modalità di prestazione dell’attività lavorativa. Lamenta, altresì, la violazione del divieto di reformatio in peius e degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c.
Egli sostiene di avere sempre contestato di avere percepito, presso l’INAIL, un importo maggiore di quello ricevuto presso la TELECOM e l’ASST ed evidenzia che la giurisprudenza avrebbe riconosciuto che il premio industriale e quello di incentivazione, da lui reclamati, non erano collegati alle modalità della prestazione.
La censura è inammissibile, in quanto la Corte d’appello di Napoli ha accertato, con un giudizio di merito, che il ricorrente ha ottenuto, presso l’INAIL, un importo maggiore rispetto a quello conseguito presso l’ASST e, nel suo ricorso, non ha messo a confronto le somme percepite da RAGIONE_SOCIALE e quelle ricevute dall’INAIL.
L’interessato, peraltro, non ha neppure criticato in maniera specifica quest’affermazione.
Inoltre, il giudice di appello, almeno in ordine al compenso di incentivazione, ha evidenziato che presso l’INAIL sarebbe spettata al ricorrente analoga voce di importo superiore.
Non è in questione il principio, già affermato da questa Suprema Corte, che, in tema di trattamento economico di dipendenti dell’Azienda di Stato per i servizi telefonici e successivamente dell’RAGIONE_SOCIALE, il premio incentivazione, variabile ma erogato anche per le giornate in cui la prestazione non abbia avuto luogo, e il premio i ndustriale, suddiviso a seguito dell’art. 8 del d.P.R. 23 dicembre 1980, n. 985, in parte variabile e in parte fissa, devono considerarsi ai fini della determinazione del reddito complessivo attesa la loro corresponsione con carattere di continuità (Cass., SU, n. 9041 del 1° aprile 2019; Cass., Sez. L, n. 24488 del 21 novembre 2011 ).
Si ritiene, però, che, a fronte dell’espresso accertamento di merito del giudice di appello, secondo il quale non vi è stata una reformatio in peius in danno del
ricorrente, le contestazioni di quest’ultimo siano troppo generiche per potere essere accolte.
Si deve tenere conto che, comunque, la Corte d’appello di Napoli ha palesato di avere ben chiara la materia del contendere e le regole da applicare, in quanto ha motivato la sua decisione richiamando il principio, espresso dalla giurisprudenza di legittimità e massimato come segue, per il quale:
«L’art. 5 del d.P.C.M. n. 325 del 1988 garantisce al personale dell’Ente Ferrovie dello Stato, risultante in esubero a seguito della ristrutturazione, inquadrato in altre pubbliche amministrazioni, la conservazione del trattamento economico in godimento, inteso come il complesso degli emolumenti, alla condizione che questo sia più favorevole, e dispone anche in ordine allo strumento per tale conservazione, costituito dall’attribuzione della differenza fra i due trattamenti con assegno ‘ad personam’. Conseguentemente, il premio di esercizio corrisposto dalle Ferrovie in base alle previsioni del contratto collettivo può venire in rilievo solo quale elemento tra tutti quelli che compongono il trattamento, onde vederlo computare al fine di stabilire il trattamento complessivo precedentemente goduto e riconoscere il diritto alla differenza, in forma di assegno ‘ad personam’, se risultasse superiore a quello attribuito dalla amministrazione ricevente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva respinto la domanda del lavoratore, trasferito alle dipendenze dell’INAIL, diretta non all’accertamento del diritto di vedere incluso il premio di esercizio nel trattamento economico in godimento all’atto del passaggio, bensì all’inclusione di tale premio nel trattamento spettante a far data dal trasferimento, peraltro senza alcuna deduzione o prova in ordine al trattamento economico attribuitogli dall’INAIL)» (Cass., Sez. L, n. 10637 del 9 maggio 2006).
6) Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c. perché la corte territoriale non si sarebbe pronunciata sulla sua domanda di riconoscimento del diritto alla ricostruzione della carriera, della posizione contributiva e previdenziale e dell’anzianità giuridica ed economica, evidentemente considerandola assorbita nel rigetto della domanda principale.
La censura è inammissibile, in ragione dell’esito dei precedenti motivi.
Con il settimo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. 2043, 2056, 2058, 2059, 2727 e 2729 c.c. e di un fatto notorio e non contestato da porre a fondamento della decisione.
Afferma che la corte territoriale avrebbe dovuto tenere conto che, periodicamente, le amministrazioni pubblicavano bandi per le progressioni economiche e di carriera.
Inoltre, egli avrebbe subito un danno da demansionamento in seguito al suo errato inquadramento in un livello inferiore.
La censura è inammissibile.
Quanto al fatto notorio, si evidenzia che il ricorso, da parte del giudice, alle nozioni di fatto di comune esperienza, le quali riguardano fatti acquisiti alla conoscenza della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabili ed incontestabili, e non anche elementi valutativi che implicano cognizioni particolari ovvero nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, attiene all’esercizio di un potere discrezionale; pertanto, la violazione dell’art. 115, comma 2, c.p.c. può configurarsi solo quando il giudice ne abbia fatto positivamente uso e non anche ove non abbia ritenuto necessario avvalersene, venendo in tal caso la censura ad incidere su una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità (Cass., Sez. 6-3, n. 7726 del 20 marzo 2019).
Peraltro, la sentenza impugnata ha rilevato che la domanda risarcitoria del ricorrente era priva di allegazioni concernenti i fatti costitutivi del suo diritto e questa ratio decidendi non è stata specificamente impugnata nella presente sede con l’indicazione delle procedure di progressione alle quali l’interessato avrebbe potuto partecipare.
Infine, in ordine al demansionamento, si osserva che la Corte d’appello di Napoli ne ha escluso la sussistenza e che questo giudizio è stato confermato con la dichiarazione di inammissibilità dei precedenti motivi.
Il ricorso è rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo con riferimento alla posizione della parte controricorrente.
Nessuna statuizione sul punto deve essere assunta in ordine alle Amministrazioni che non hanno depositato controricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite in favore di parte controricorrente , che liquida in € 6 .000,00 per compenso professionale e in € 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge e alle spese generali nella misura del 15%;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 5 marzo