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Mobilità volontaria: inquadramento e limiti

Un lavoratore, a seguito della privatizzazione di un’azienda statale di telecomunicazioni, ha esercitato l’opzione per la mobilità volontaria nel pubblico impiego. Trasferito dopo anni presso un ente pubblico, ha contestato il nuovo inquadramento ritenendolo deteriore rispetto a quello posseduto in precedenza. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che chi accetta la mobilità volontaria accetta anche la valutazione dell’ente di destinazione sulla corrispondenza tra profili professionali, senza poter successivamente pretendere un inquadramento superiore basato sulle mansioni pregresse. La mobilità volontaria si basa su una scelta del lavoratore e non su un trasferimento d’ufficio per passaggio di competenze.

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Mobilità Volontaria: Niente Inquadramento Superiore se Accetti il Trasferimento

L’istituto della mobilità volontaria nel pubblico impiego rappresenta un’opportunità fondamentale per i lavoratori, ma nasconde anche dei limiti precisi, soprattutto per quanto riguarda il riconoscimento dell’inquadramento professionale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: il dipendente che accetta il trasferimento accetta anche la valutazione sulla corrispondenza dei profili professionali effettuata dall’ente di destinazione, senza poterla contestare in un secondo momento.

Il Contesto: Dalla Privatizzazione alla Mobilità Volontaria

Il caso esaminato trae origine dalla complessa riforma del settore delle telecomunicazioni avvenuta negli anni ’90. Un dipendente di un’azienda di Stato per i servizi telefonici, a seguito della soppressione dell’ente e del passaggio delle attività a una società per azioni, aveva scelto di avvalersi dell’opzione per la permanenza nel pubblico impiego.

Nonostante la sua richiesta, la procedura di mobilità non veniva completata dall’Amministrazione. Per non rimanere senza lavoro, il dipendente aveva iniziato a lavorare per la nuova società privata di telecomunicazioni. Solo dopo una sentenza del Consiglio di Stato, che obbligava la Pubblica Amministrazione a concludere l’iter, il lavoratore veniva finalmente trasferito presso un importante ente pubblico.

Una volta immesso nel nuovo ruolo, il lavoratore ha contestato il suo inquadramento, ritenendolo inferiore (Area C, posizione C1) rispetto alla qualifica e alle mansioni svolte in precedenza (VII livello) presso l’originaria azienda di Stato. Ha quindi agito in giudizio per ottenere un inquadramento superiore e il risarcimento dei danni per demansionamento.

La Decisione della Corte di Cassazione

Dopo che sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto le sue richieste, il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione. Gli Ermellini, tuttavia, hanno confermato le decisioni dei giudici di merito, rigettando il ricorso e chiarendo in modo definitivo la natura e i limiti della mobilità volontaria.

Le Motivazioni: Mobilità Volontaria e Accettazione dell’Inquadramento

La Corte ha innanzitutto distinto nettamente la mobilità volontaria dal trasferimento per passaggio di competenze. La prima, come nel caso di specie, è una facoltà che risponde a un’esigenza di convenienza del lavoratore, il quale è libero di scegliere se mantenere lo status di dipendente pubblico o transitare alle dipendenze di una società concessionaria. Non si tratta di un trasferimento d’ufficio, ma di una scelta personale.

Il punto centrale della decisione risiede nel principio dell’accettazione. Nel momento in cui un dipendente partecipa a una procedura di mobilità e accetta il trasferimento presso un ente di destinazione, accetta implicitamente anche la valutazione che quest’ultimo ha compiuto sulla corrispondenza tra aree e profili professionali. In altre parole, non può, a passaggio già avvenuto, contestare l’inquadramento ricevuto e pretendere un profilo superiore.

La Cassazione ha sottolineato che nel pubblico impiego privatizzato vige il criterio dell’equivalenza formale delle mansioni, basato sulla classificazione astratta prevista dai contratti collettivi, e non quello dell’equivalenza sostanziale dell’art. 2103 c.c. valido per il settore privato. Il giudice non può sindacare la natura equivalente delle mansioni, ma deve attenersi alle declaratorie contrattuali. Consentire una contestazione successiva all’inquadramento altererebbe il bilanciamento di interessi voluto dal legislatore, vanificando le esigenze di efficienza, buon andamento e contenimento della spesa pubblica.

Conclusioni: Le Implicazioni per i Dipendenti Pubblici

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza per chiunque intenda avvalersi della mobilità volontaria. I dipendenti pubblici devono essere consapevoli che la scelta di trasferirsi presso un’altra amministrazione comporta l’accettazione delle condizioni offerte, incluso l’inquadramento. È quindi essenziale valutare attentamente, prima di accettare il trasferimento, la corrispondenza tra il proprio profilo professionale e quello proposto dall’ente di destinazione. Una volta completato il passaggio, le possibilità di contestare l’inquadramento sulla base delle mansioni pregresse sono estremamente limitate, se non nulle. Questa pronuncia riafferma la necessità di bilanciare le legittime aspirazioni dei lavoratori con i principi di efficienza e sostenibilità economica della Pubblica Amministrazione.

Un dipendente trasferito con mobilità volontaria può contestare il nuovo inquadramento professionale?
No. Secondo la Corte, il dipendente che accetta la domanda di mobilità e il trasferimento presso un ente di destinazione, accetta anche la valutazione espressa da quest’ultimo sulla corrispondenza tra i profili professionali. Pertanto, non può contestare l’inquadramento riconosciutogli dopo che il passaggio è già avvenuto.

Qual è la differenza tra mobilità volontaria e trasferimento per passaggio di competenze?
La mobilità volontaria è una facoltà che risponde a criteri di mera convenienza del lavoratore, che sceglie liberamente di trasferirsi. Il passaggio di competenze, invece, è equiparabile a un trasferimento d’ufficio e risponde a esigenze organizzative dell’amministrazione. La sentenza chiarisce che il caso in esame rientra nella mobilità volontaria.

Nel valutare l’inquadramento dopo la mobilità, si considera la professionalità concreta acquisita dal lavoratore?
No. Nel pubblico impiego privatizzato, la valutazione si basa sul criterio dell’equivalenza formale delle mansioni, cioè sulla classificazione astratta prevista dai contratti collettivi. Non si tiene conto della professionalità in concreto acquisita dal lavoratore, a differenza di quanto previsto dalla norma generale dell’art. 2103 del codice civile per il lavoro privato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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