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Mobilità in deroga: INPS paga se non prova fondi finiti

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un istituto previdenziale contro una sentenza che lo condannava al pagamento dell’indennità di mobilità in deroga. L’istituto sosteneva di essere un mero pagatore e che la Regione dovesse essere coinvolta nel giudizio. La Corte ha stabilito che, una volta emessa l’autorizzazione regionale, il lavoratore ha un diritto soggettivo diretto nei confronti dell’ente previdenziale. Spetta a quest’ultimo, e non al lavoratore, dimostrare l’eventuale esaurimento dei fondi dedicati.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Mobilità in Deroga: Quando l’INPS Deve Pagare? La Cassazione Fa Chiarezza

L’indennità di mobilità in deroga rappresenta uno strumento cruciale di sostegno al reddito per i lavoratori colpiti da crisi aziendali. Tuttavia, la sua erogazione è spesso al centro di contenziosi che vedono contrapposti i lavoratori e l’ente previdenziale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti fondamentali sui ruoli e le responsabilità delle parti coinvolte, in particolare riguardo a chi spetti l’onere di provare la disponibilità dei fondi.

I Fatti del Caso: La richiesta di un lavoratore e il rifiuto dell’Istituto

Un lavoratore, che percepiva l’indennità di mobilità in continuità dal 2007, si è visto negare la proroga del trattamento per l’anno 2012. L’ente previdenziale ha giustificato il diniego adducendo la mancanza dei fondi necessari. Il lavoratore ha quindi agito in giudizio e la Corte d’Appello, in riforma della decisione di primo grado, ha condannato l’ente al pagamento della prestazione. L’istituto ha allora proposto ricorso per Cassazione, basando le proprie difese su tre motivi principali.

La Posizione dell’Istituto Previdenziale: I Motivi del Ricorso

L’ente previdenziale ha contestato la decisione della Corte d’Appello sostenendo principalmente di non essere il soggetto giuridico corretto contro cui indirizzare la pretesa e che l’onere della prova fosse stato erroneamente ripartito.

Difetto di legittimazione passiva e litisconsorzio necessario

Secondo l’ente, il suo ruolo sarebbe quello di mero “ente pagatore” di una prestazione autorizzata dalla Regione e finanziata dallo Stato. Di conseguenza, non avrebbe la titolarità passiva del rapporto, che spetterebbe invece agli enti finanziatori. Per questo motivo, il giudizio avrebbe dovuto necessariamente coinvolgere anche la Regione e le Amministrazioni statali competenti (litisconsorzio necessario).

Violazione dell’onere della prova

In terzo luogo, l’istituto lamentava che il lavoratore non avesse adempiuto al proprio onere di provare la sussistenza di tutti i requisiti per il diritto alla prestazione, primo fra tutti l’esistenza di un decreto autorizzativo della Regione Puglia.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sulla mobilità in deroga

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni dell’ente previdenziale e consolidando un importante principio di diritto in materia di mobilità in deroga.

La distinzione tra fase autorizzativa e fase erogativa

La Corte ha ribadito la consolidata distinzione tra due fasi nel procedimento di concessione del beneficio. La prima fase, di natura amministrativa, riguarda l’autorizzazione da parte della Regione e la verifica dei requisiti. In questa fase, il lavoratore vanta un interesse legittimo. La seconda fase, successiva al decreto regionale di autorizzazione, riguarda l’erogazione della prestazione da parte dell’ente previdenziale. A questo punto, il lavoratore è titolare di un vero e proprio diritto soggettivo nei confronti dell’ente.

Di conseguenza, una volta che l’autorizzazione regionale è stata (o si presume sia stata) concessa, l’unico soggetto tenuto al pagamento è l’ente previdenziale. È quindi quest’ultimo il corretto convenuto in giudizio (titolare della legittimazione passiva) e non è necessario integrare il contraddittorio con la Regione, che ha già esaurito il suo compito.

L’onere della prova e il principio di vicinanza

Anche il motivo relativo all’onere della prova è stato ritenuto inammissibile. La Corte ha chiarito che il lavoratore aveva sufficientemente provato il suo diritto, avendo dimostrato di percepire il beneficio ininterrottamente da anni, fatto che presuppone un originario provvedimento di autorizzazione. A fronte di questa prova, l’onere di dimostrare un fatto estintivo del diritto – come l’esaurimento dei fondi dedicati – ricade sull’ente previdenziale. Questa inversione si basa sul “principio di vicinanza della prova”: è l’ente, e non il singolo cittadino, ad avere l’accesso e la possibilità di dimostrare lo stato dei fondi pubblici. Poiché l’istituto non ha fornito tale prova, la sua difesa è risultata infondata.

Le Conclusioni: Chi Deve Pagare e Chi Deve Provare

L’ordinanza in esame stabilisce con chiarezza che, nei contenziosi relativi all’erogazione della mobilità in deroga, l’ente previdenziale è l’unico legittimato passivo una volta conclusa la fase autorizzativa regionale. Inoltre, non spetta al lavoratore l’arduo compito di provare la capienza dei fondi pubblici. Al contrario, se l’ente nega il pagamento per esaurimento delle risorse, deve essere in grado di dimostrarlo in modo rigoroso in giudizio. Questa decisione rafforza la tutela dei lavoratori, riequilibrando la posizione delle parti nel processo e garantendo che i diritti basati su provvedimenti autorizzativi non vengano vanificati da eccezioni non adeguatamente provate.

Chi è il soggetto corretto da citare in giudizio per ottenere il pagamento della mobilità in deroga, una volta ottenuta l’autorizzazione regionale?
L’unico soggetto corretto da citare in giudizio è l’istituto previdenziale (I.N.P.S.), in quanto, dopo il decreto di autorizzazione della Regione, il lavoratore vanta un diritto soggettivo direttamente nei suoi confronti per l’erogazione della prestazione.

Il lavoratore deve dimostrare che i fondi per la mobilità in deroga non sono esauriti?
No. L’onere di provare l’esaurimento dei fondi, quale fatto che estingue il diritto al pagamento, spetta all’istituto previdenziale. Al lavoratore è sufficiente dimostrare i presupposti per il suo diritto, come l’esistenza di un provvedimento di autorizzazione (anche presunto dalla continuità del trattamento).

La Regione deve essere sempre parte del processo quando si discute di pagamento della mobilità in deroga?
No. Una volta esaurita la fase amministrativa di sua competenza, che si conclude con il provvedimento di autorizzazione, la Regione non deve essere necessariamente coinvolta nel giudizio tra il lavoratore e l’ente previdenziale per l’erogazione della prestazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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