Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 35142 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 35142 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 10113-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 34/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 23/01/2019 R.G.N. 1538/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
INPS impugna la sentenza n. 34/2019 della Corte d’appello di Lecce che, in riforma della pronuncia del Tribunale della medesima sede, ha condannato l’Istituto al pagamento dell’indennità di mobilità in deroga per l’anno 2012 in favore di COGNOME.
Resiste COGNOME con controricorso, illustrato da memoria.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 15 novembre 2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
INPS propone tre motivi di ricorso.
I motivo) violazione dell’art. 81 cod. proc. civ., in riferimento all’art. 33, comma 21, della legge n. 183/2011 perché, in controversia concernente il diritto alla proroga dell’indennità di mobilità in deroga per l’anno 2012, la Corte ha condannato l’INPS senza considerare il ruolo di mero ente pagatore della prestazione, autorizzata dalla Regione e finanziata dall’Erario con appositi decreti ministeriali, in difetto di titolarità passiva dell’Istituto.
II motivo) violazione dell’art. 102 cod. proc. civ., con riferimento all’art. 33, comma 21, della legge n. 183/2011 perché la Corte
ha condannato l’INPS in difetto del contraddittorio necessario con la Regione Puglia e le Amministrazioni statali finanziatrici.
III motivo) violazione degli artt. 115 cod. proc. civ. e 2697 e 2729 cod. civ. con riferimento all’art. 33, comma 21, della legge n. 183/2011 per aver condannato l’INPS in difetto dell’assolvimento da parte della disoccupata dell’onere, sulla stessa gravante, di allegare e provare la sussistenza dei necessari requisiti del diritto richiesto, in primo luogo del decreto autorizzativo della Regione Puglia.
Ad avviso del controricorrente, la normativa invocata dall’INPS nel ricorso non è conferente poiché, nella specie, trattasi di mobilità in deroga prevista per i lavoratori della filiera del tabacco dal DM 4 maggio 2006 in attuazione dell’art. 1, comma 410, della legge n. 266/2005 che non avrebbe nulla a che vedere con l’art. 33, comma 21, della legge n. 183/2011: in base al DM di cui sopra, l’unico legittimato passivo sarebbe l’INPS e non si porrebbe un problema di integrità del contraddittorio; né l’onere della prova della capienza dei fondi potrebbe essere addossato al lavoratore.
In merito a ciò, si osserva, viceversa, che il DM del 4 maggio 2006 costituisce uno dei decreti di cui all’art. 1, comma 410, della legge n. 266/2005, che aveva previsto la possibilità per il Ministro del lavoro, di concerto con quello dell’Economia, di disporre, in attesa della riforma degli ammortizzatori sociali ed in deroga alla vigente normativa, concessioni, anche senza soluzione di continuità, dei trattamenti di CIGS, mobilità e disoccupazione speciale, nel caso di programmi finalizzati alla gestione di crisi occupazionali, anche con riferimento a settori produttivi ed aree territoriali, ed è stato seguito, poi, da analoghe disposizioni negli anni successivi, tra le quali l’art. 33,
comma 21, della legge n. 183/2011, secondo cui, ‘ in attesa della riforma degli ammortizzatori sociali ed in attuazione dell’intesa Stato regioni e province autonome sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano il 20 aprile 2011, per l’anno 2012 e nel limite delle risorse di cui al comma 26, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, può disporre, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a dodici mesi, in deroga alla normativa vigente, la concessione, anche senza soluzione di continuità, di trattamenti di cassa integrazione guadagni, di mobilità e di disoccupazione speciale, anche con riferimento a settori produttivi e ad aree regionali. Nell’ambito delle risorse finanziarie destinate alla concessione, in deroga alla normativa vigente, anche senza soluzione di continuità, di trattamenti di cassa integrazione guadagni, di mobilità e di disoccupazione speciale, i trattamenti concessi ai sensi dell’articolo 1, comma 30, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, possono essere prorogati, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a dodici mesi, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze….’.
Ciò premesso, i primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente per l’intima connessione che li unisce e sono inammissibili.
Infatti, come già rilevato in Cass. n. 17210/2023, «atteso che il difetto di titolarità passiva del rapporto obbligatorio e di integrità del contraddittorio sono stati argomentati dall’INPS sulla scorta del contenuto di decreti interministeriali e accordi Stato-Regione che
non costituiscono fonti di diritto e, sebbene non costituiscano propriamente un’eccezione, si risolvono nella prospettazione di questioni fondate su elementi di fatto nuovi e diversi da quelli dedotti nelle pregresse fasi processuali, le quali, involgendo accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito, sono da ritenersi precluse in questa sede di legittimità (così già Cass. n. 14848 del 2000)».
Inoltre.
Il COGNOME aveva, in origine, fatto valere il diritto all’indennità di mobilità in deroga per l’anno 2012, allegando di averla ricevuta senza soluzione di continuità dal 2007, e l’Istituto ha sempre negato il pagamento sulla base della sola mancanza dei fondi necessa ri, senza contestare l’esistenza dei presupposti.
La Corte territoriale ha motivato dando per assodata la sussistenza dei presupposti per la fruizione della mobilità in deroga, affermando, infatti, che ‘l’ odierno appellante era tenuto solo a dimostrare i presupposti necessari per fruire del trattamento di mobilità in deroga (della quale godeva fino dal 2007 con continuità quale ex dipendente della RAGIONE_SOCIALE ) e la tempestiva trasmissione dell’istanza amministrativa’: tanto che, sulla base di ciò, ha poi ritenuto che spettasse ad INPS dimostrare l’avvenuto esaurimento dei fondi ex art. 2697 cod. civ., in base al principio di vicinanza della prova.
Questa Corte, nel pronunciarsi sul conflitto negativo di giurisdizione sollevato d’ufficio dal giudice amministrativo, ha chiarito che «anche per la mobilità in deroga la concessione del beneficio presuppone lo svolgimento di una prima fase in cui sono individuati, in concreto, i relativi requisiti nonché i destinatari e che si conclude con il provvedimento di attribuzione o di negazione del beneficio stesso -e in questa
fase si profilano per i lavoratori e gli imprenditori situazioni di mero interesse legittimo, tutelabili davanti al giudice amministrativo -e di una seconda fase successiva all’emanazione del provvedimento di ammissione al beneficio (o di negazione di tale ammissione) nella quale si configurano posizioni di diritto soggettivo -tutelabili davanti al giudice ordinario -tra imprenditore o lavoratori, da una parte, e INPS dall’altra, aventi origine dal provvedimento medesimo ed attinenti, in particolare, alle modalità di corresponsione del beneficio stesso» (Cass., S.U., 30 agosto 2018, n. 21435).
Si legge in Cass. n. 24936/2023 che se «la domanda non investe il profilo dell’autorizzazione della Regione, che la lavoratrice assume come un elemento acclarato, …non vede come naturale controparte la Regione, che quell’autorizzazione è chiamata ad emettere. Dopo il decreto della Regione di autorizzazione alla concessione del beneficio, la posizione dell’istante ha consistenza di diritto soggettivo (Cass., sez. lav., 4 aprile 2022, n. 10745). A giusta ragione, pertanto, la parte controricorrente ha avanzat o le sue pretese nei confronti dell’INPS, postulando in capo all’Istituto la titolarità, sul versante passivo, della posizione soggettiva azionata in giudizio, nella fase posteriore all’autorizzazione regionale. Se poi la posizione soggettiva, di cui si reclama tutela in sede giurisdizionale, effettivamente sussista, è questione che investe il merito dell’azione intrapresa. L’accertamento dei presupposti del diritto non potrà che avvenire in contraddittorio con l’ente erogatore, una volta che si prospetti -a torto o a ragione -la sopravvenuta autorizzazione regionale, con il conseguente sorgere del diritto di fruire della provvidenza in deroga. Per le medesime ragioni, una volta esaurita la fase di spettanza della Regione, nessun litisconsorzio si può prospettare tra tale ente, che oramai
functus est munere suo, e l’INPS, chiamato a corrispondere il beneficio in seguito al decreto regionale di autorizzazione o a negarlo perché difettano gli elementi costitutivi. La tutela del privato, nella fase posteriore all’autorizzazione regionale, è devoluta al giudice ordinario, senza che si debba integrare il contraddittorio nei confronti della Regione, che, secondo le allegazioni della parte istante, ha già ottemperato al suo compito, con modalità che possono essere sindacate solo innanzi alla giurisdizione amministrativa».
Anche il terzo motivo è inammissibile, proponendosi in concreto di censurare l’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi della domanda, mentre è consolidato il principio di diritto secondo cui la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. può essere dedotta in sede di legittimità soltanto qualora il giudice abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (così da ult. Cass. n. 13064/2023), e la violazione dell’art. 2697 cod. civ. soltanto qualora il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (così ex multis Cass. n. 12994/2023).
Nel caso di specie, non è stata denunciata una violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., nei termini rigorosi delineati dalla
giurisprudenza di questa Corte: la Corte d’appello ha valutato il materiale probatorio acquisito senza attingere elementi di riscontro da prove non introdotte dalle parti e assunte d’ufficio al di fuori dei casi che il codice di rito contempla. La doglianza, nel criticare il prudente apprezzamento che i giudici d’appello hanno compiuto, senza infrangere il divieto di cui all’art. 115 cod. proc. civ., si sostanzia in un’impropria richiesta di rivalutazione delle risultanze probatorie e non supera, pertanto, il vaglio di ammissibilità.
Alla medesima conclusione si deve giungere con riferimento alla paventata violazione dell’art. 2697 cod. civ.: la sentenza impugnata, lungi dal porre a carico dell’INPS l’onere di dimostrare gli elementi costitutivi della domanda proposta, ha ritenuto che tale prova, nel caso concreto, sia stata offerta in modo persuasivo dalla parte istante. A tale riguardo, la Corte territoriale ha valorizzato la proroga della mobilità in deroga a favore del controricorrente, proroga che implica a monte in maniera indefet tibile, secondo l’accertamento di fatto compiuto dai giudici del gravame, l’originario provvedimento di autorizzazione.
Sulla base di ciò, la Corte ha poi ritenuto che spettasse ad INPS, tenuto al pagamento ex art. 6 DM 4 maggio 2006, dimostrare l’avvenuto esaurimento dei fondi ex art. 2697 cod. civ., in base al principio di vicinanza della prova. Tale dimostrazione non è stata data, essendo invece, presenti elementi che facevano propendere per il contrario. Il ricorrente si prefigge, in ultima analisi, di sminuire, in quanto inconcludenti e sforniti di gravità, precisione e concordanza, gli elementi logici posti in risalto dalla Corte di merito al fine di reputare non provato l’esaurimento dei fondi e sufficientemente presupponibile la sussistenza degli stessi.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, con condanna alle spese secondo soccombenza, con distrazione.
Si dà atto sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115/2002.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 1500,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con distrazione in favore del difensore, dichiaratosi antistatario. Si dà atto sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 15 novembre