Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11340 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11340 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/04/2025
sul ricorso 5555/2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 3321/2020 depositata il 15/12/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/3/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza riportata in epigrafe, ha respinto il gravame di NOME COGNOME avverso l’inefficacia decretata in primo grado dell’atto di pignoramento da lui notificato al Banco BPM a mezzo del quale, a fronte della parziale ottemperanza della banca all’obbligo recato dal decreto ingiuntivo di consegnargli tutti gli estratti conto richiesti, aveva proceduto a dare esecuzione per il periodo 1°.11.2014/30.6.2015 alla misura coercitiva ivi stabilita ai sensi dell’art. 614bis cod. proc. civ. nella somma di euro 250,00 per ogni giorno di ritardo con cui fosse stato adempiuto l’ordine di consegna.
A motivazione del pronunciato rigetto la Corte di merito, richiamate le ragioni della banca -che nell’ottemperare al decreto ingiuntivo aveva notiziato il COGNOME di non poter consegnare anche gli estratti conto relativi ai mesi di novembre 1999, giugno luglio, agosto, settembre, ottobre e novembre 2000, agosto, settembre, ottobre e novembre 2002 in quanto i medesimi, essendo decorso, all’atto della notifica dell’ingiunzione, il termine decennale di conservazione previsto dall’art. 2220 cod. civ., erano stati cancellati dal proprio archivio informatico -ha fatto osservare che l’impugnata misura coercitiva era stata prevista non per il colpevole inadempimento definitivo, ma per il caso di ritardo nell’adempimento, di modo che «ove la prestazione dovuta divenga, come nel caso concreto, impossibile (non rileva se per fatto imputabile al debitore), tale sanzione non e più dovuta, poiché ii titolo esecutivo che la applica (qui, ii decreto ingiuntivo n.8277/2013) diviene inefficace nel momento in cui è venuto meno ii presupposto (cioè, la possibilità di adempiere) cui è correlato ii rifiuto ad adempiere tempestivamente – sanzionato con la pena pecuniaria fissata in monitorio – sicché la definitiva impossibilità di
consegna dei documenti finisce con l’avere, di fatto, la stessa efficacia liberatoria della consegna stessa, non essendo più configurabile alcun ritardo nell’adempimento di un’obbligazione che non può più essere adempiuta». Con ciò il giudice di appello ha inteso condividere i medesimi rilievi già esternati dal giudice di primo grado in occasione ad analoga controversia, che aveva occupato le parti quanto al periodo 27.12.2013/31.10.2013, decisa con sentenza 2673/2018 ove, in replica all’obiezione che non potevano opporsi in sede di esecuzione fatti impeditivi che non si fossero fatti valere nel giudizio di merito, si era affermato che «la misura coercitiva ex art. 614 bis cpc non può esplicare i propri effetti sine die anche a fronte di fatti impeditivi all’adempimento dell’obbligazione principale alla cui tutela è rivolta», anche a prescindere dal giudicato della stessa.
La cassazione di detta sentenza è ora chiesta dal COGNOME con un ricorso affidato a due motivi, ai quali resiste l’intimata con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380bis 1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 2909 cod. civ. e degli artt. 615, 618 e 324 cod. proc. civ. Sostiene il ricorrente, censurando l’affermazione operata dal decidente del grado secondo cui l’impossibilità della prestazione non consentirebbe di ritenere la banca ingiunta della consegna inadempiente in relazione ai documenti non consegnati perché non più rinvenibili nei propri archivi, che «l’accertamento della possibilità o impossibilità ad adempiere l’obbligazione di consegna andava eseguito nella causa di opposizione al decreto ingiuntivo, unica ed esclusiva sede competente per accertare l’esistenza di fatti estintivi, impeditivi o modificativi antecedenti la formazione del titolo». Di conseguenza,
poiché in difetto di opposizione il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, non è più sindacabile la possibilità di dare adempimento all’obbligo di consegna e corretta è perciò l’applicazione dell’astrainte per il ritardo nell’adempimento.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 2909 cod. civ. e degli artt. 615 e 618 cod. proc. civ. con riferimento alla sentenza del Tribunale di Milano 2673/18 e si deduce un vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul giudicato conseguente a detta sentenza. Sostiene il ricorrente, censurando l’affermazione operata dal decidente del grado secondo cui sarebbero condivisibili i rilievi contenuti nella richiamata sentenza 2673/2018 anche a prescindere dal giudicato della stessa, che se gli effetti di detta sentenza, per espressa menzione dello stesso decidente, non sono retrodatabili e se, d’altro canto, con altra successiva pronuncia (10902/18), sempre afferente al medesimo tema decisionale, si era parimenti affermato il medesimo principio, «anche il giudizio relativo alla domanda di accertamento negativo del pagamento ex art. 614 bis cpc relativo al periodo 1.11.201430.6.2025 non può essere precluso e coperto dal giudicato della sentenza n. 2673/2018». Nondimeno la sentenza impugnata si rende censurabile anche sotto il profilo motivazionale, «poiché non è dato sapere l’iter logico seguito dalla Corte per pervenire alla decisione apparentemente assunta e sulla base di quali argomentazioni è pervenuta alla propria determinazione, con riferimento alla copertura di giudicato portata della sentenza n. 2673/18 del Tribunale di Milano».
Tutti i sopradetti motivi hanno già costituito oggetto di disamina da parte di questa Corte che su di essi si è pronunciata, rigettandoli, con sentenza 10942/2024, le cui ragioni il collegio reputa di dover
condividere e far proprie rinnovando anche nella presente occasione la pregressa pronuncia declinatoria.
Circa la doglianza fatta valere con il primo motivo, tenuto conto del giudicato seguito alla sentenza 2673/2018 -in cui, come riferisce lo stesso ricorrente, ebbe ad accertarsi l’estinzione dell’obbligazione indennitaria sulla considerazione che «la mancata tempestiva proposizione dell’eccezione ex art. 1256 cc nella sede opportuna – l’opposizione a decreto ingiuntivo, non proposto dalla Banca – ha comportato che solo nella presente causa di opposizione alla esecuzione sia stata definitivamente accertata l’estinzione della residua obbligazione di consegna non adempiuta, e con essa quella dell’accessoria obbligazione ex art. 614 bis cpc» -, nonché, pure, dell’accessorietà della misura, può allora ribadirsi che, ove, come nel caso di specie «risulti irrevocabilmente accertata, in dipendenza di un giudicato formatosi successivamente al titolo, l’impossibilità originaria di adempiere, il giudicato travolge la misura finalizzata alla coercizione indiretta (siccome implicante – appunto – la possibilità dell’adempimento spontaneo), e conseguentemente determina l’inesistenza del diritto di procedere esecutivamente».
L’apparente contrasto di giudicati che il motivo vorrebbe sostenere è peraltro privo di effetti, giacché è noto, come già rappresentato dal precedente di questa Corte, che in tal caso occorre fare leva sul criterio temporale, nel senso che il secondo giudicato prevale sempre sul primo, salvo che la sentenza contraria al giudicato precedente non sia stata sottoposta a revocazione.
Parimenti anche con riferimento al secondo motivo è condivisibile il tenore del precedente di questa Corte riguardo all’analoga doglianza già sviluppata in quella sede.
Una volta perciò osservato che la Corte di merito aveva ritenuto che sul giudicato discendente dal decreto ingiuntivo non opposto dovesse
prevalere il giudicato formatosi a seguito della sentenza n. 2673/2018, che, sebbene in relazione ad altro precetto, aveva statuito che l’obbligazione accessoria recata dal decreto ingiuntivo si fosse estinta, essendosi estinta per impossibilità sopravvenuta l’obbligazione di consegna a presidio della quale era stata disposta l’astrainte -argomentazione che mette la sentenza al riparo da ogni doglianza motivazionale -ed una volta pure ribadito, per quanto occorrer possa, che ove si deduca l’esistenza di un giudicato esterno è dovere della parte assolvere il debito onere di autosufficienza, mediante una trascrizione puntuale degli assunti richiamati -qui, peraltro, non ravvisabile -, va detto, con riguardo al tema specifico, che nessun contrasto tra giudicati si rende riconoscibile nella specie, dacché, per quel che si apprende dalle scarne indicazioni del ricorso, anche la sentenza successiva 10902/2018 ebbe a risolvere la questione della persistenza dell’obbligazione accessoria nei medesimi termini in cui essa era stata risolta dalla sentenza 2673/2018, dando quindi continuità al principio ivi enunciato. Circostanza, questa, che si rende poi inoppugnabile alla luce di quanto ancora riferisce il precedente di questa Corte circa il fatto che la corte d’appello avesse rilevato «che era intervenuto un altro giudicato ostativo alla persistenza dell’obbligazione presidiata dall’astreinte in oggetto, in dipendenza della sentenza n. 2673/18 con la quale il tribunale di Milano, relativamente a un altro precetto tra le stesse parti, aveva accertato che l’obbligazione di cui al detto decreto ingiuntivo era estinta per impossibilità ad adempiere, essendosi trattato di documentazione risalente a oltre dieci anni, già distrutta (anche in sede informatica) dalla banca» ed avesse «in ogni caso confermato l’esattezza di tale conclusione anche nel merito, essendosi dinanzi a un istituto -l’astreinte ex art. 614-bis cod. proc. civ. – non risarcitorio ma di mera coercizione all’esecuzione di una condotta; sicché essendo la condotta impossibile – come nella specie era
risultato – la funzione deterrente doveva considerarsi definitivamente venuta meno, non essendo concepibile la persistenza in aeternum di un obbligo di consegna di cui sia accertata l’inesistenza dell’oggetto».
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Sussistono, in ragione dei fatti di causa e, segnatamente, dell’abuso processuale imputabile al ricorrente per aver dato corso alla reiterazione di condotte manifestamente contrarie alle finalità del giusto processo , i presupposti per l’irrogazione della condanna ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. , che si liquida in una misura equivalente alle spese di lite.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in favore di parte resistente in euro 14200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge , nonché al pagamento dell’ulteriore somma di euro 14.000,00 ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il