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Minimi tariffari: Cassazione e spese legali nel lavoro

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20677/2025, ha rigettato il ricorso di un’azienda ristoratrice contro una sentenza di licenziamento illegittimo. Ha però accolto il ricorso incidentale del lavoratore, stabilendo un principio cruciale sulle spese legali: il giudice non può liquidare compensi inferiori ai minimi tariffari previsti. La Corte ha chiarito che il valore della controversia determina lo scaglione applicabile e che i minimi sono inderogabili, cassando la sentenza d’appello su questo specifico punto.

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Minimi Tariffari: La Cassazione Sottolinea l’Inderogabilità delle Spese Legali

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in materia di spese processuali: il giudice non può liquidare compensi professionali al di sotto dei minimi tariffari stabiliti dalla legge. Questa decisione emerge da una complessa vertenza di lavoro, in cui il ricorso principale del datore di lavoro è stato respinto, mentre quello incidentale del lavoratore, incentrato proprio sulla violazione delle tariffe forensi, è stato accolto. Analizziamo i dettagli della vicenda.

I Fatti di Causa

La controversia trae origine dal rapporto di lavoro tra una società di ristorazione e un suo dipendente. Il lavoratore sosteneva di essere stato assunto di fatto come cameriere nel 2010, licenziato verbalmente nel 2011, riassunto nel 2013 con un contratto di apprendistato part-time, e infine nuovamente licenziato verbalmente nel 2017.

Il Tribunale di primo grado aveva dichiarato inefficace il secondo licenziamento, ordinando la reintegrazione del lavoratore e il pagamento di un’indennità risarcitoria. La Corte d’Appello, in parziale riforma, aveva sostituito la reintegra con un’indennità sostitutiva, confermando la condanna al risarcimento del danno.

Il Ricorso in Cassazione e i Motivi del Datore di Lavoro

L’azienda ha presentato ricorso in Cassazione basato su cinque motivi, tra cui:
1. La presunta tardività dell’eccezione di nullità del contratto di apprendistato sollevata dal lavoratore.
2. La mancata detrazione, dal risarcimento, dell’indennità di disoccupazione e della cassa integrazione percepite dal dipendente.
3. L’omessa indicazione dell’ammontare esatto dell'”aliunde perceptum” (guadagni da altri lavori).
4. Un’errata attribuzione dell’onere della prova riguardo al lavoro straordinario.
5. Una contestazione sulla condanna alle spese di lite, ritenuta ingiusta a fronte di una presunta soccombenza reciproca.

Il Ricorso Incidentale e la Questione dei Minimi Tariffari

Il lavoratore, a sua volta, ha proposto un ricorso incidentale lamentando la violazione dell’art. 91 c.p.c. La Corte d’Appello, infatti, aveva liquidato le spese legali in misura inferiore ai minimi tariffari previsti per lo scaglione di valore della causa, calcolato in oltre 100.000 euro. Secondo il lavoratore, i compensi liquidati per le varie fasi del giudizio erano palesemente inferiori alle soglie minime inderogabili.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato infondati tutti i motivi del ricorso principale del datore di lavoro. In particolare, ha chiarito che:
– L’indennità di disoccupazione e la cassa integrazione non sono detraibili dal risarcimento, poiché derivano dal sistema di sicurezza sociale e non da un’altra attività lavorativa.
– Il datore di lavoro non aveva appellato specificamente la quantificazione dell’aliunde perceptum, rendendo inammissibile la censura in sede di legittimità.
– L’onere della prova sullo straordinario era stato correttamente gestito, essendo stato provato dal lavoratore.
– La condanna alle spese era legittima, poiché il datore di lavoro era la parte sostanzialmente soccombente.

Di contro, la Corte ha accolto pienamente il ricorso incidentale del lavoratore. Gli Ermellini hanno ribadito che la liquidazione dei compensi professionali deve rispettare i parametri forensi. Una volta determinato il valore della controversia (nel caso di specie, rientrante nello scaglione da 52.000 a 260.000 euro), il giudice è vincolato a non scendere al di sotto dei minimi tariffari previsti per ciascuna fase del giudizio. Nel caso esaminato, la Corte d’Appello aveva liquidato importi significativamente inferiori a tali soglie, violando una norma imperativa.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso principale, accogliendo quello incidentale. Ha quindi cassato la sentenza impugnata limitatamente alla parte relativa alla liquidazione delle spese legali, rinviando la causa alla stessa Corte d’Appello, in diversa composizione, per una nuova determinazione dei compensi nel rispetto dei parametri di legge. Questa ordinanza rafforza il principio della inderogabilità dei minimi tariffari, a tutela della dignità della professione forense e della corretta applicazione delle norme processuali, garantendo che la liquidazione delle spese non sia lasciata alla totale discrezionalità del giudice ma sia ancorata a parametri oggettivi e inderogabili.

Le indennità di disoccupazione e cassa integrazione possono essere detratte dal risarcimento dovuto al lavoratore illegittimamente licenziato?
No. La Corte di Cassazione ha confermato che tali somme non sono detraibili, in quanto traggono origine dal sistema di sicurezza sociale e non da redditi percepiti da altre attività lavorative (aliunde perceptum).

Il giudice può liquidare spese legali in misura inferiore ai minimi tariffari previsti dalla legge?
No. La Corte ha accolto il ricorso del lavoratore su questo punto, stabilendo che il giudice è tenuto a rispettare i minimi tariffari stabiliti in base al valore della causa. Liquidare un importo inferiore costituisce una violazione di legge.

A chi spetta provare i guadagni percepiti dal lavoratore da altre attività (aliunde perceptum) dopo un licenziamento illegittimo?
Sebbene non sia il focus principale, la sentenza riafferma implicitamente che la prova dell’aliunde perceptum, quale fatto che riduce l’entità del danno, deve essere fornita nel corso del giudizio di merito. In questo caso, il datore di lavoro non aveva contestato la quantificazione fatta in primo grado nel successivo atto di appello, rendendo la questione non più esaminabile in Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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