Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25200 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 25200 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 31570-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
IRAGIONE_SOCIALENRAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 958/2021 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 04/10/2021 R.G.N. 194/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Spese -minimi tariffari
R.G.N. 31570/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 13/05/2025
CC
RILEVATO CHE
La Corte di Appello di Lecce, in accoglimento del gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado reiettiva della domanda di ricalcolo pensionistico previa inclusione del valore retributivo della contribuzione figurativa degli emolumenti extra mensili relativi a periodi di mobilità, ha condannato INPS al pagamento delle relative differenze pensionistiche quantificate in euro 7.858,80 per il periodo dal 19/2/2013 al 31/12/2020, ed ha liquidato le spese di giudizio ai sensi del d.m. n.55 del 2014 a carico dell’istituto in euro 844,00 per il primo grado ed in euro 1.577,00 per il secondo grado di giudizio, oltre accessori e rimborso spese forfetarie.
NOME COGNOME propone ricorso in cassazione lamentando l’avvenuta liquidazione delle spese processuali al di sotto del minimo tariffario. L ‘INPS resiste con controricorso.
La controversia è stata trattata e decisa nell’adunanza camerale del 13 maggio 2025.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo di ricorso, sollevato in relazione all’art. 360 primo comma n.3 c.p.c., NOME COGNOME deduce la violazione degli artt. 4 e 5 del d.m. n.55 del 2014 per essere state liquidate in sentenza le spese di lite in misura inferiore ai minimi previsti nell’ambito dello scaglione di valore della causa che, in riferimento alle tariffe vigenti all’epoca della pronuncia, ammonterebbero, previa eventuale riduzione fino al 50% dei valori medi ed avuto riguardo all’entità economica dell’interesse sostanziale che riceve tutela attraverso la decisione, ad € 1.775,00 per il primo grado ed € 2.766,00 per il secondo grado. 2. Nel controricorso l’INPS segnala che il d.m. n.55 del 2014 non vincola il giudice a liquidare secondo parametri fissi, dovendosi tener conto delle caratteristiche di urgenza e pregio dell’attività
prestata, della natura, difficoltà e valore dell’affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e importanza delle questioni affrontate; deduce quindi che può essere disposta una riduzione anche inferiore senza procedere ad una meccanica applicazione delle cifre indicate in tabella, potendo il giudice graduare con riduzione fino al 50% nelle prime due fasi e fino al 70% per la fase istruttoria.
Il ricorso è fondato.
Nella determinazione del valore della lite al fine di individuare lo scaglione di riferimento delle tariffe forensi occorre dar seguito al criterio del decisum (cfr. Cass. n. 9237 del 2022 e n. 28885 del 2023), che integra quello del disputatum senza che tra loro ci sia antinomia ( cfr. Cass. Sez. Un. n.19014 del 2007); ‘il criterio del decisum vale infatti a proporzionare gli onorari all’effettiva consistenza della lite non potendo essere avvantaggiato chi propone una domanda eccedente la giusta pretesa rispetto a chi propone una domanda contenuta negli effettivi limiti di quest’ultima’ (cfr. Cass. n. 688 del 2024).
4.1 Nel caso in esame, il valore della lite, risultante all’esito della CTU espletata in grado di appello sulla pretesa di riliquidazione pensionistica avanzata dal ricorrente, è stato determinato in misura pari ad € 7.857,80, ed è a questo importo che si commisura il valore della controversia complessivamente considerata. Tale importo rientra, quindi, nell’ambito del secondo scaglione individuato nelle tariffe ministeriali, ratione temporis applicabili (pronuncia resa dalla Corte territoriale il 4/10/2021), compreso fra € 5.201,00 e € 26.000,00. Seguendo i criteri di calcolo ivi stabiliti, il compenso liquidabile sarebbe stato il seguente: per l’attività svolta in primo grado in cause di previdenza, con le riduzioni dell’art. 4 del d.m. n. 55/ del 014, spetterebbe un compenso di € 1.775,00 (di cui € 442,50 per
fase studio, € 370,00 per fase introduttiva, € 962,50 per fase decisionale, nulla per fase istruttoria non espletata come asserisce il ricorrente ), e per il secondo grado di € 2.415,00 (di cui € 540 ,00 per fase di studio, € 438,50 per fase introduttiva, € 526,50 per fase istruttoria previa riduzione -soltanto per tale vocedel 70% , ed € 910,00 per fase decisionale), per un totale complessivo di € 4.190 ,00. È evidente che l’importo liquidato in € 844, 00 per il primo grado di giudizio ed in € 1.577,00 per il secondo grado, per un totale di € 2.421,00, risulta inferiore al minimo tariffario, senza che ne emerga alcuna ragione illustrativa.
La questione sulla derogabilità o meno dei valori minimi è stata variamente dibattuta in sede di legittimità. È stata affermata la sua inderogabilità in assenza di convenzione fra le parti (come rammenta Cass. n.9815 del 2023), ovvero la possibilità di una motivazione giudiziale per l’ulteriore scostamento e la misura di esso (cfr. Cass. n. 15506 del 2024, che a sua volta richiama Cass. n.14198 del 2022, n. 89 del 2021 e n.19989 del 2021), e la possibilità di deroga con riguardo ai soli valori massimi, fermi restando ‘in ogni caso’ i valori minimi (cfr. Cass. n. 26734 del 2024).
Ciò posto, come innanzi osservato, la liquidazione delle spese processuali compiuta nell’impugnata sentenza non è rispettosa dei limiti minimi tariffari introdotti con il d.m. n. 55 del 2014 come mod. con il d.m. n. 37 del 2018; non è stata fornita un’ analitica elencazione di calcolo per comprenderne la determinazione nei due gradi di giudizio, né risulta alcuna argomentazione per supportarne la deroga . E’ a tali parametri tariffari che devono essere commisurati i compensi dei professionisti, applicati ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in
vigore del predetto decreto a condizione che a tale data non sia stata ancora completata la prestazione professionale, ancorché essa abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, atteso che l’accezione omnicomprensiva di “compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata (cfr., tra le tante, Cass. 26/10/2018 n.27237, e la giurisprudenza ivi citata).
La verifica del rispetto dei predetti parametri conduce ad affermare l’evidente non conformità della liquidazione compiuta dalla Corte d’appello al citato tariffario ministeriale, come ratione temporis previsto. Ne discende che la sentenza va, in parte qua, cassata, con rinvio alla Corte territoriale alla quale si demanda di attenersi ai suddetti principi per la rideterminazione del compenso liquidabile al difensore della parte rimasta vittoriosa nel giudizio di merito, ed anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza con riferimento al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Lecce in diversa composizione. Così deciso in Roma il 13 maggio 2025.