Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13351 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13351 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12785-2024 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4062/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/11/2023 R.G.N. 1401/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 25/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
CONTRIBUTI PREVIDENZIALI
R.G.N.12785/2024
Ud.25/03/2025 CC
Rilevato che:
NOME COGNOME adiva il Tribunale di Benevento, in funzione di giudice del lavoro, e chiedeva l’annullamento dell’avviso di addebito n. 317 2015 00013151 66000 con il quale le era stato intimato il pagamento della somma di euro 16.143,69 a titolo di omesso pagamento di contributi dovuti per gestione aziende con lavoratori dipendenti per il periodo dal maggio 2011 al maggio 2014. L’INPS si costituiva in giudizio contestando l’impugnazione proposta e chiedendone il rigetto. Il Tribunale di Benevento, sezione lavoro, con la sentenza 1390/2017 del 28/11/2017 rigettava l’opposizione e condannava il ricorrente al pagamento delle spese di lite.
Proponeva appello NOME COGNOME L’INPS si costituiva nel giudizio di secondo grado chiedendo il rigetto dell’impugnazione. Con la sentenza n. 4062/2023 depositata il 28.11.2023 la Corte di Appello di Napoli, sezione lavoro, rigettava l’appello.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione NOME COGNOME con impugnazione affidata a due strumenti. L’INPS si è costituita con controricorso chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
In data 28/10/2024 il Consigliere delegato proponeva la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod.proc.civ.
Con istanza del 12/12/2024 la difesa di NOME COGNOME chiedeva fissarsi l’udienza per la decisione ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
Veniva fissata l’udienza camerale del 25/03/2024.
Il ricorrente depositava memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
Considerato che :
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 14 della legge n. 689/81, degli artt. 2 e 3 della legge n. 241/90, dell’art. 13 del d.lgs. n. 124/2004, degli artt. 24 e 97 Cost. e dell’art. 2697 cod. civ. Si censura la sentenza d’appello, per violazione delle norme in epigrafe indicate, nella parte in cui ha ritenuto infondate le doglianze di carattere formale sollevate così motivando: «Le eccezioni preliminari riguardanti la regolarità formale del verbale, come condivisibilmente sostenuto dal Tribunale, sono infondate. In particolare, non sussiste la pretesa tardività della notifica del verbale, avvenuta oltre il termine di novanta giorni previsto dall’art. 14 della l. 689/81, in quanto nella specie le contestazioni non riguardano illeciti amministrativi previsti dalla L. 689/1991, ma l’accertamento di somme dovute a titolo di contributi omessi e somme aggiuntive, che per come ribadito dalle sezioni unite della Suprema Corte, quelle irrogate al contribuente per l’omesso o ritardato pagamento dei contributi o premi previdenziali, sono da considerarsi sanzioni civili e, quindi, non assoggettata alla disciplina dettata per le sanzioni amministrative (cfr. Cass., Sez. Un., sentenza n. 5076 del 13/03/2015). Neppure sussiste il preteso difetto di motivazione del verbale unico, in quanto lo stesso rispetta quanto disposto dall’art. 13 del d.lgs. 124/2004 e contiene, come evidenziato dal giudice a quo, tutti gli elementi necessari per la sua validità ed idonei a consentire al contribuente di esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa, quali appunto: gli esiti dettagliati dell’accertamento, con indicazione della documentazione esaminata, delle dichiarazioni acquisite e degli illeciti riscontrati, nonché delle somme dovute per regolarizzare le inadempienze accertate, e le indicazioni sugli organi e i
termini per ricorrere, non ritenendo questo Collegio che le pretese ulteriori irregolarità formali già sottoposte al vaglio del Tribunale siano idonee ad inficiare la validità degli accertamenti eseguiti, riportati nel verbale di primo accesso e nel successivo verbale unico». La circostanza sottolineata nella sentenza gravata che le contestazioni riguardino l’accertamento di somme dovute a titolo di contributi omessi e somme aggiuntive non escluderebbe secondo il ricorrente l’applicabilità del termine di no vanta giorni di cui all’art. 14 della legge n.689/81.
1.1. Il primo motivo di ricorso è, sotto il primo profilo, inammissibile. La motivazione della sentenza si è uniformata al costante orientamento di questa Corte secondo il quale il termine e la disciplina di cui all’art. 14 della legge n.689/1981 non riguardano le sanzioni aggiuntive e le omissioni contributive contestate nel verbale in questione e non merita censura (Cass., Sez.Un. 13/03/2015, n. 5076).
1.2. Il primo motivo di ricorso è, anche sotto il secondo profilo, inammissibile nella parte in cui torna a lamentare l’insufficienza della motivazione del verbale senza confrontarsi con la sentenza impugnata che espressamente esamina la motivazione e la valuta come più che sufficiente, senza dedurre in via specifica lacune o difetti della stessa ma rassegnando considerazioni generiche e non legate al contenuto del verbale ispettivo.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del d.l. n. 338/89 anche in relazione all’art 36 Cost., dell’art. 116 cod.proc.civ., degli artt. 2697, 2700 e 2727 e ss. cod. civ., dell’art. 10 del d.lgs n. 124/2004. Si censura la sentenza di appello per violazione delle norme in epigrafe indicate nella parte in cui ha ritenuto fondata
la pretesa contributiva dell’Inps così motivando: «Quanto al merito del gravame attinente la ritenuta infondatezza della pretesa contributiva, osserva la Corte che la fattispecie in esame è stata risolta dalla pronuncia della S.C. n. 8794/2020, condivisa da questo Collegio, secondo cui per la giurisprudenza consolidatasi dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 11199 del 2002, l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo del c.d. minimale contributivo, ossia all’importo di quella retribuzione che ai lavoratori di un determinato settore dovrebbe essere corrisposta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ritenendo che tale regola è espressione del principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto all’obbligazione retributiva, in virtù del quale l’obbligo contributivo ben può essere parametrato ad un importo superiore rispetto a quanto effettivamente corrisposto dal datore di lavoro, e -com’è stato recentemente ribadito (cfr. Cass. n. 15120 del 2019) -la sua operatività concerne non soltanto l’ammontare della retribuzione c.d. contributiva, ma altresì l’orario di lavoro da prendere a parametro, che dev’essere l’orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva (o dal contratto individuale, se superiore): è infatti evidente che, se ai lavoratori venissero retribuite meno ore di quelle previste dal normale orario di lavoro e la contribuzione dovuta venisse modulata su tale minore retribuzione, non vi potrebbe essere il rispetto del minimale contributivo nei termini dianzi ricordati e ne verrebbe vulnerata la stessa idoneità del prelievo a soddisfare le esigenze previdenziali e assistenziali per le quali è stato istituito (v. in tal senso Corte cost. n. 342 del 1992)».
2.1. Secondo la parte ricorrente i giudici territoriali -correttamente applicando i principi in precedenza richiamati -avrebbero dunque preliminarmente dovuto accertare le ore effettivamente lavorate (al fine di appurare se vi era corrispondenza tra la contribuzione versata e le ore effettivamente lavorate), ed eventualmente se per le ore non lavorate la riduzione dell’orario di lavoro fosse stata unilateralmente disposta dal datore di lavoro o rientrasse in un’ipotesi prevista dalla legge e dalla contrat tazione collettiva (qual è appunto quella dei permessi non retribuiti) e tanto anche in considerazione di quanto espressamente dedotto e prodotto dalla parte ricorrente che sin dal primo grado aveva evidenziato che vi erano assenza della lavoratrice.
2.2. Il secondo motivo è inammissibile atteso che non attinge la ratio decidendi della sentenza: la pronuncia non si limita a richiamare il principio dell’efficacia del minimale contributivo come affermato costantemente da questa Corte (Cass. 17/04/2012, n. 6001) ma afferma, all’esito di accertamento in fatto, che dal verbale e dagli accertamenti svolti non emergeva proprio una formale riduzione oraria. Per questa via il motivo rimette a questa Corte un ‘ irriferibile ripetizione della valutazione della prova già condotta dalla sentenza impugnata. Si consideri in proposito che: in tema di minimale contributivo, ove gli enti previdenziali ed assistenziali pretendano da un’impresa differenze contributive sulla retribuzione virtuale determinata ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 338 del 1989 (conv., con modif., dalla l. n. 389 del 1989), anche con riferimento all’orario di lavoro, è onere del datore di lavoro allegare, e provare, la sussistenza di un’ipotesi eccettuativa dell’obbligo contributivo (Cass. 24/08/2021, n. 23360).
Il ricorso è, allora, inammissibile perché il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.
Alla soccombenza fa seguito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, competenze e onorari, liquidate in ragione del valore di causa, in favore dell’INPS costituitosi quale controricorrente.
Riguardo alle sanzioni previste dall’ultimo comma dell’art. 380 -bis cod.proc.civ. , stante l’esito giudiziale del tutto conforme alla proposta di definizione accelerata, sussistono i presupposti per l’applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod.proc.civ.. Alla presente pronuncia di inammissibilità del ricorso fa seguito, quindi, la condanna del ricorrente al pagamento delle ulteriori spese del terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., nonché della sanzione di cui al successivo quarto comma, da versare alla Cassa delle Ammende, liquidata come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione nei confronti dell’INPS delle spese di lite liquidate in euro 4.000,00 (quattromila) per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge. Condanna altresì parte ricorrente al pagamento della ulteriore somma di euro 2.000,00 in favore della controparte, ed al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di euro 2.000,00; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.