Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30428 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 30428 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18365-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 20/2022 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 10/06/2022 R.G.N. 26/2021;
Oggetto
Previdenza altro
R.G.N.18365/2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/10/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/10/2025 dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che
Con sentenza del 10.06.2022 n. 20, la Corte d’appello di Trento accoglieva il gravame proposto dall’RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Trento che aveva accolto parzialmente il ricorso della società RAGIONE_SOCIALE che era volto a far accertare l’insussistenza dell’obbligo di pagare i premi assicurativi, pari a € 14.676,38, oltre sanzioni civili, pretesi dall’RAGIONE_SOCIALE con il provvedimento di variazione del rapporto assicurativo del 23.8.17, relativo al periodo 1.1.15-31.3.17 di cui chiedeva la revoca e/o l’annullamento.
Il Tribunale accoglieva il ricorso, ritenendo che la retribuzione erogata (c.d. retribuzione-corrispettivo) fosse il presupposto indefettibile per la determinazione del parametro (c.d. retribuzione-parametro) su cui andare a calcolare il minimale contributivo che andava elevato (ai soli fini previdenziali) se la retribuzione erogata fosse stata inferiore ai minimi di legge o in riferimento alla contrattazione collettiva, ciò in quanto era espressione dell’autonomia privata la facoltà di concordare sospensioni nello svolgimento del rapporto di lavoro anche unilateralmente da parte del datore di lavoro, a determinate condizioni e nella specie, i fatti oggetto del verbale di accertamento contestato erano stati giustificati dall’azienda.
La Corte d’appello, a supporto dei propri assunti di accoglimento del gravame dell’RAGIONE_SOCIALE, ha ritenuto che alla luce del rispetto del minimale contributivo, non era stato dimostrato dalla società che le sospensioni concordate rientrassero nelle ipotesi tipiche di cui agli artt. 20 e 21 del CCNL, pertanto, le stesse non giustificavano il versamento di una contribuzione ridotta che
fosse riferita alla sola retribuzione effettivamente percepita dai lavoratori.
Rigettava poi l’appello incidentale della società in punto di incompetenza territoriale dell’ Ispettorato procedente e sulla nullità della notificazione del primo verbale di accesso.
Avverso tale sentenza la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria. L ‘RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ ordinanza nel termine di sessanta giorni dall’adozione della presente decisione in camera di consiglio.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 1 comma 1 del d.l. n. 338/89 convertito in legge n. 389/89, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello di Trento erroneamente applicato la regola del minimale contributivo, nonché degli artt. 20 e 23 del CCNL Trasporti e Logistica.
Con il secondo motivo di ricorso, poi, si deduce la violazione degli artt. 421, 115 comma 1, 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., perché erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto che il giudice di primo grado avesse esercitato abnormemente i poteri istruttori del giudice del lavoro e non provati i fatti relativi alle diverse macrocategorie, individuate dall’azienda, di assenze non retribuite dei dipendenti: a) permessi fruiti sulla base di richieste del lavoratore; b) assenze considerate come permessi non retribuiti, in base a quanto previsto dall’art. 23 CCNL applicato dalla società; c) permesso non retribuito a causa del ritiro della patente per infrazione stradale; d) assenze dei lavoratori non
giustificate ed oggetto di contestazione e di applicazione di provvedimento disciplinare.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
In tema di retribuzione imponibile posta a base di calcolo dei contributi previdenziali (c.d. minimale contributivo) l’art. 1 L. 388/89 ne individua la commisurazione alle retribuzioni stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, nel senso che essa non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.
Questa Corte ha già affermato che “l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (c.d. “minimale contributivo”), secondo il riferimento ad essi fatto – con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale – dall’art. 1 D.L. 9 ottobre 1989 n. 338 (convertito in legge 7 dicembre 1989 n. 389), senza le limitazioni derivanti dall’applicazione dei criteri di cui all’art. 36 Costituzione (c.d. “minimo retributivo costituzionale”), che sono rilevanti solo quando a detti contratti si ricorre -con incidenza sul distinto rapporto di lavoro- ai fini della determinazione della giusta retribuzione” (in questi termini, sent. S.U. n.11199/2002, a cui hanno fatto seguito numerose altre pronunce, ex multis, 2758/2006, 16/2012, 19284/17).
Nell’operare un distinguo tra individuazione del contratto collettivo applicabile nei rapporti fra datore e lavoratore, sotto il profilo economico-retributivo, e contratto collettivo posto a base degli obblighi previdenziali, rilevante nel rapporto fra datore ed INPS, si pone un necessario raffronto con la disposizione contenuta al primo comma dell’art. 2070 c.c. che fornisce il criterio per individuare il settore specifico dell’attività svolta dall’impresa: l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore. Sul punto, si richiama la pronuncia resa da questa Corte con ord. n. 19759/2024 secondo la quale “la retribuzione da assumere a parametro per la determinazione dei contributi previdenziali (cd. minimale contributivo) ex art. 1 D.L. n. 338 n. 1989, conv. con modif. dalla L. n. 389 del 1989, è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nel settore di attività effettivamente svolta dall’impresa ai sensi dell’art. 2070 c.c., dovendosi far riferimento ad un criterio oggettivo e predeterminato che non lasci spazio a scelte discrezionali o a processi di autodeterminazione normativa, che restano viceversa possibili solo in relazione al trattamento economico e normativo dei lavoratori nei limiti dell’art. 36 Cost.”.
Secondo Cass. n. 12974 del 20 25, l’obbligo contributivo permane nell’intero ammontare previsto dal contratto collettivo, anche in caso di assenza del lavoratore o di sospensione della prestazione lavorativa, mentre la sospensione dell’obbligo contributivo si realizza nelle sole ipotesi previste dalla legge o dal contratto collettivo, con riferimento a istituti quali la malattia, infortunio, maternità o cassa integrazione. Quest’ultimo pronunciamento si inserisce nel solco di una
giurisprudenza ormai consolidata, che riafferma con chiarezza l’autonomia dell’obbligazione contributiva rispetto a quella retributiva, anche alla luce della funzione pubblicistica dell’obbligazione previdenziale, intesa come presidio del sistema di protezione sociale e, in quanto tale, sottratta alla libera disponibilità delle parti del rapporto di lavoro.
Il principio del minimale contributivo -quale standard inderogabile -non può essere ridimensionato neppure in presenza di accordi individuali, orari multiperiodali o flessibilità convenzionali, se questi comportano il rischio di una contribuzione inferiore a quella dovuta secondo i parametri della contrattazione collettiva nazionale.
La retribuzione effettiva rileva, dunque, solo se superiore a quella prevista dal contratto collettivo.
Tale posizione si ispira a ragioni di equità e sostenibilità del sistema previdenziale, garantendo che tutti i lavoratori, anche in contesti cooperativi o di impiego flessibile, maturino diritti pensionistici e assistenziali adeguati: pertanto, l’accordo sindacale non poteva porsi in contrasto con la disciplina normativa primaria (art. 1 della legge n. 389/89) ai fini della individuazione di un livello minimo garantito di retribuzione utile ai fini contributivi, derogandolo in pejus.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto contesta l’esercizio dei poteri istruttori officiosi della Corte territoriale e i conseguenziali accertamenti che sono di competenza esclusiva del giudice del merito ed incensurabili in cassazione, se non in ‘ristretti’ limiti, nella specie, non ricorrenti (cfr. Cass. nn. 11892 del 2016, 27000 del 2016).
In particolare, secondo il costante orientamento di questa Corte (di cui alle indicate sentenze) la violazione o falsa applicazione degli art. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una
erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione.
E ‘, inoltre , consolidato l’orientamento secondo cui, l a valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi (art. 244 c .p.c.), come la scelta, tra le varie emergenze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (da ultimo, Cass. 28/05/2024 n.14923).
D’altra parte, si intende dare continuità a que ll’orientamento secondo il quale nel rito del lavoro, i poteri istruttori officiosi di cui all’art. 421 cod. proc. civ. – il cui esercizio è del tutto discrezionale e come tale sottratto al sindacato di legittimità -non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, così da porre il giudice in funzione sostitutiva degli oneri delle parti medesime e da tradurre i poteri officiosi anzidetti in poteri d’indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale (Cass. n.14923 del 2024 ult. cit.).
Nella specie, facendo applicazione dei principi di diritto appena richiamati, ne consegue che: a) con riferimento alle «macrocategorie» da 1 a 3 la Corte territoriale ha proceduto alla valutazione delle prove senza travalicare i limiti stabiliti dagli
artt.115 e 116 cod. proc. civ., e dunque con accertamento di fatto in questa sede non sindacabile; b) con riferimento alle «macrocategorie» 4 e 5 la corte territoriale ha correttamente escluso la documentazione «integrativa» prodotta dalla Società, dai mezzi di prova idonei a fondare il proprio convincimento, ex art.115 comma primo c.p.c..
Al rigetto del ricorso, consegue la condanna della società ricorrente alle spese di lite, liquidate in dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo, rispetto a quello già versato a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso
Condanna la società ricorrente a pagare le spese di lite che liquida nell’importo di € 2.000,00 per compensi professionali , € 200,00 per esborsi, 15% per spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9.10.2025
Il Presidente
NOME COGNOME