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Minimale contributivo: obbligatorio anche con assenze

Una società di autotrasporti ha contestato la richiesta di contributi INAIL calcolati sulla base del minimale salariale previsto dal contratto collettivo, sostenendo di aver correttamente pagato i contributi sulla retribuzione inferiore effettivamente corrisposta ai dipendenti a causa di assenze concordate. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che il principio del minimale contributivo è inderogabile. La base di calcolo per i contributi previdenziali non può scendere al di sotto di quanto stabilito dai contratti collettivi nazionali, anche in presenza di accordi individuali per assenze non retribuite, a tutela del sistema di protezione sociale.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Minimale contributivo: è obbligatorio anche in caso di assenze non retribuite

L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame chiarisce un punto fondamentale in materia di obblighi previdenziali: il principio del minimale contributivo prevale sugli accordi individuali tra datore di lavoro e lavoratore. Anche in presenza di assenze non retribuite concordate, i contributi devono essere versati sulla base della retribuzione minima stabilita dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), e non su quella, inferiore, effettivamente percepita. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le ragioni di questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Contributi e Assenze Concordate

Una società operante nel settore degli autotrasporti si è opposta a una richiesta di pagamento da parte dell’INAIL per premi assicurativi non versati, oltre a sanzioni civili. L’ente previdenziale contestava il mancato rispetto del minimale contributivo, sostenendo che l’azienda avesse calcolato i contributi su una base imponibile inferiore a quella prevista dal CCNL di settore.
La società si è difesa affermando di aver legittimamente ridotto la retribuzione imponibile a seguito di sospensioni del rapporto di lavoro e assenze non retribuite, concordate con i dipendenti. Mentre il Tribunale di primo grado aveva parzialmente accolto le ragioni dell’azienda, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, ritenendo che la società non avesse dimostrato che tali sospensioni rientrassero nei casi specifici previsti dal CCNL. Di qui il ricorso in Cassazione.

Il Principio del Minimale Contributivo

Il cuore della questione ruota attorno all’articolo 1 della Legge n. 389/89, che istituisce il cosiddetto “minimale contributivo”. Questa norma stabilisce che l’importo della retribuzione da prendere come base per il calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore a quello fissato dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale.
La retribuzione effettivamente pagata al lavoratore (la cosiddetta retribuzione-corrispettivo) rileva solo se è di importo superiore a questo minimo. In caso contrario, è sul minimale stabilito dal CCNL che vanno calcolati i contributi.

L’Autonomia dell’Obbligazione Contributiva

La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso dell’azienda, ha ribadito un orientamento ormai consolidato. L’obbligazione di versare i contributi ha una natura autonoma rispetto all’obbligazione di pagare lo stipendio. Essa non risponde solo a un interesse privato tra le parti del rapporto di lavoro, ma persegue una finalità pubblica: garantire la sostenibilità del sistema di protezione sociale e assicurare che tutti i lavoratori maturino diritti pensionistici e assistenziali adeguati.

La Decisione della Corte di Cassazione sul minimale contributivo

Proprio per questa sua funzione pubblicistica, l’obbligazione contributiva è sottratta alla libera disponibilità delle parti. Accordi individuali, flessibilità oraria o convenzioni che comportino una retribuzione effettiva inferiore al minimale contrattuale non possono ridurre la base imponibile per il calcolo dei contributi. La sospensione dell’obbligo contributivo è ammessa solo nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge o dallo stesso CCNL, come ad esempio in caso di malattia, maternità, infortunio o cassa integrazione.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha dichiarato infondato il primo motivo di ricorso, basato sulla presunta violazione della norma sul minimale contributivo. I giudici hanno affermato che l’autonomia privata non può derogare in peius (cioè in senso peggiorativo) alla disciplina primaria che fissa un livello minimo di retribuzione ai fini contributivi. Ammettere il contrario significherebbe esporre il sistema previdenziale al rischio di un mancato finanziamento, con gravi conseguenze sulla sua sostenibilità.
Il secondo motivo di ricorso, relativo a un presunto esercizio anomalo dei poteri istruttori da parte del giudice d’appello, è stato dichiarato inammissibile. La Cassazione ha ricordato che la valutazione delle prove è di competenza esclusiva del giudice di merito e non può essere oggetto di riesame in sede di legittimità, se non in casi eccezionali e molto ristretti, non riscontrati nella fattispecie.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma con chiarezza che il datore di lavoro è sempre tenuto a versare i contributi previdenziali calcolandoli sulla retribuzione minima stabilita dal CCNL di riferimento, anche se la paga effettiva del lavoratore è inferiore a causa di assenze o permessi non retribuiti concordati. Questa regola protegge non solo il lavoratore, garantendogli una copertura previdenziale adeguata, ma l’intero sistema sociale, assicurandone la stabilità finanziaria. Gli accordi individuali che riducono la retribuzione non possono avere l’effetto di ridurre anche i contributi dovuti.

È possibile pagare contributi su una retribuzione inferiore al minimo previsto dal contratto collettivo in caso di assenze non retribuite concordate con il lavoratore?
No. La Corte ha stabilito che la base per il calcolo dei contributi è il minimale contributivo previsto dal CCNL, indipendentemente da accordi individuali che portino a una retribuzione effettiva inferiore, poiché l’obbligazione contributiva ha una funzione pubblica e non è derogabile dalle parti.

La retribuzione effettivamente pagata al lavoratore ha qualche rilevanza ai fini del calcolo dei contributi?
Sì, ma solo se è superiore al minimale contributivo previsto dal contratto collettivo. In tal caso, i contributi si calcolano sull’importo più alto effettivamente corrisposto. Se è inferiore, si applica il minimale del CCNL.

In quali casi è permessa la sospensione dell’obbligo di versare i contributi?
La sospensione è ammessa solo nelle ipotesi specificamente previste dalla legge o dal contratto collettivo nazionale, come ad esempio malattia, infortunio, maternità o cassa integrazione, ma non per altre forme di assenza concordata tra datore di lavoro e dipendente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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