Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23647 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23647 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 22600-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME DE
Oggetto
Minimale contributivo
R.G.N.22600/2019
COGNOME
Rep.
Ud.25/02/2025
CC
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1572/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 21/01/2019 R.G.N. 1551/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello principale di RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione, e dichiarato inammissibile l’appello incidentale di INPS, confermando la pronuncia di primo grado di rigetto del ricorso proposto dalla società cooperativa avverso l’avviso di addebito emesso per omesso versamento di contributi pari ad Euro 1.090.352,00 dovuti al fondo pensioni lavoratori dipendenti, afferente al periodo settembre 2007 e da marzo 2008 a giugno 2013, avendone riconosciuto l’obbligo nei limiti della eccepita prescrizione.
Nel verbale di accertamento l’INPS aveva contestato alla società l’illegittima riduzione dell’imponibile contributivo dovuta alla errata applicazione dei CCNL adottati in azienda, perché, per i soci assunti fino al 31/12/2010, la RAGIONE_SOCIALE aveva applicato il CCNL Trasporti senza gli aumenti previsti dall’1/1/2008, e per i soci assunti dall’1/1/ 2011 era stato applicato il CCNL RAGIONE_SOCIALE in contrasto con quanto previsto dall’art. 1 L. n. 389/1989 che impone di tener conto del contratto concluso dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative; aveva anche contestato l’illegittima riduzione dell’imponibile contributivo derivante dall’unilaterale riduzione dell’orario di
lavoro al di sotto della soglia contrattuale per assenze, ed il mancato assoggettamento a contribuzione dell’indennità di trasferta per l’anno 2010. La società, oltre all’eccezione di prescrizione, si opponeva ai contributi richiesti perché non era individ uata la posizione dei singoli lavoratori, ed all’applicazione degli aumenti retributivi previsti dal CCNL Trasporti per i quali gli accordi del dicembre 2006 prevedevano il dilazionamento; inoltre, invocava l’applicazione del CCNL Multiservizi, la legittim a riduzione dell’orario di lavoro per assenza di lavoratori, e la genuinità del trattamento di trasferta applicato o in subordine del trattamento di cui all’art. 51 co .6 TUIR.
Il Tribunale aveva ritenuto l’infondatezza di tutti i motivi, salva la prescrizione quinquennale, per la mancanza di prova del raggiungimento di un’intesa con i sindacati volta alla temporanea sospensione della gradualità degli aumenti retributivi al fine di mantenere i livelli occupazionali, per il soddisfatto onere dimostrativo a cura di INPS circa l’individuazione della maggiore rappresentatività delle organizzazioni sindacali che avevano sottoscritto il CCNL pulizia RAGIONE_SOCIALE firmato da CGIL, CISL, RAGIONE_SOCIALE, Confcooperative, e la scarsa rappresentatività di UNIC e Confsal, e per la mancanza di presupposti del temporaneo svolgimento della prestazione in luogo diverso da quello abituale sì da poter considerare l’indennità di trasferta come retribuzione.
La Corte territoriale ha respinto i motivi di appello principale della società RAGIONE_SOCIALE sostenendo: 1) che eventuali accordi migliorativi non possono derogare al trattamento minimo di cui alla contrattazione collettiva nazionale in violazione dell’art. 1 della L. n.389/1989, e 2) che l’INPS aveva adeguatamente assolto al proprio onere probatorio nell’individuazione del CCNL
RAGIONE_SOCIALE concluso con le organizzazioni maggiormente rappresentative ai fini dell’applicazione dell’art. 1, sostenendo quindi l’illegittima applicazione del CCNL UNCI CONFSAL per i soci assunti dopo il 1/1/2011; 3) riguardo alla temporanea sospensione del rapporto di lavoro ha ritenuto infondata la doglianza di non applicazione del minimale contributivo nelle ipotesi in cui non sia dovuta alcuna prestazione lavorativa né alcuna retribuzione, perché in sede di accertamento erano emersi periodi di assenza non retribuita, non attribuiti a cause legali o contrattuali, né era stata documentata alcuna delibera di crisi aziendale, sicché si trattava di una sostanziale riduzione unilaterale dell’orario di lavoro e non già di un accordo tra datore e lavoratore; 4 ) quanto alla genuinità della voce ‘indennità di trasferta Italia’, la Corte ha evidenziato la mancanza del carattere della provvisorietà dell’assegnazione dei soci lavoratori ad altro luogo rispetto alla sede fissa di lavoro, come risulterebbe già dall’at to di assunzione nel quale si fa riferimento ad attività da svolgere in luoghi sempre, sicché non era valutabile la temporaneità dello spostamento del lavoratore dalla sede abituale di lavoro, e mancava, comunque, la prova a cura della CRAGIONE_SOCIALE. della sussistenza delle condizioni previste dalla norma di interpretazione autentica dell’art. 51 comma 6 TUIR fornita dall’art. 7 quinquies comma 1 del D.L. n.193/2016.
Ricorre per cassazione la RAGIONE_SOCIALE deducendo cinque motivi, a cui INPS resiste con controricorso.
Nell’Adunanza camerale del 25 febbraio 2025 il ricorso è stato trattato e deciso.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 co. 1 del D.L. n.338/1989 convertito in L. 389/1989, nonché dell’art 2 co. 25 della L. 549/1995 e dell’art. 3 co. 4 del D.lgs. n. 423/2001, in riferimento alle ragioni del rigetto del primo motivo di appello; sostiene il ricorrente che il cit. art. 1 comma 1 non faccia alcun esplicito riferimento alla contrattazione collettiva nazionale, e non risulta che il contratto di diverso livello, eventualmente applicabile, non possa concorrere a determinare l’imponibile contributivo; invece, l’accordo aziendale dell’11/12/2006 prevedeva una diversa gradualità temporale per l’applicazione degli aumenti retributivi previsti a livello nazionale, una momentanea sospensione dell’applicazione degli aumenti contrattuali di cui al CCNL soltanto a seguito di accordo sindacale; aggiunge che il divieto di deroga in pejus ex art. 2077 c.c. si riferirebbe esclusivamente al rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale.
Con il secondo motivo la società ricorrente deduce le stesse violazioni di cui al punto 1, in riferimento però al secondo motivo di appello, ossia alla prova della maggiore rappresentatività delle organizzazioni stipulanti. Ritiene il ricorrente che per evitare contratti collettivi c.d. pirata si debbano selezionare contratti collettivi stipulati da sindacati comparativamente rappresentativi della categoria, ma in sentenza non sarebbero spiegate le ragioni per le quali non sia rappresentativo il contratto collettivo RAGIONE_SOCIALE/RAGIONE_SOCIALE
Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione delle stesse disposizioni di legge di cui innanzi con riferimento al terzo motivo di appello respinto, per avere la Corte territoriale ritenuto non dimostrata la natura consensuale delle sospensioni
delle prestazioni lavorative laddove la cooperativa le aveva concordate con i lavoratori. Sotto il profilo probatorio, non si tratterebbe di un’ipotesi di eccezione dell’obbligo contributivo, bensì di totale assenza dello stesso, per cui l’onere grava non sulla cooperativa ma sull’istituto che intende beneficare della contribuzione; non vi sarebbe alcuna eccezione poiché l’obbligo contributivo non sorge ab initio, e quindi non spetta alla cooperativa dimostrare la consensualità dell’assenza ma all’INPS l’es istenza dei presupposti per pretendere la contribuzione, tenuto altresì conto che non era stato dimostrato che i soci lavoratori della cooperativa abbiano messo a disposizione della società le proprie capacità professionali in relazione alle prestazioni di sponibili. Ai sensi dell’art. 5 del Regolamento della Cooperativa era invece prevista la possibilità della sospensione quando la cooperativa non disponga transitoriamente di opportunità di lavoro da assegnare al socio.
4. Con il quarto motivo la società ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 51 co.5 del D.P.R. 917/1986, con riferimento al quarto motivo di appello respinto in sentenza sulla ritenuta totale contribuzione delle somme erogate a titolo di indennità di trasferta. Rileva la società ricorrente che nella circolare del Ministero delle Finanze n 326 E/1997 veniva prevista l’indennità di trasferta quando il lavoratore sia chiamato a svolgere la sua attività al di fuori della sede di lavoro e che è rimessa alla libera decisione delle parti l’individuazione della sede di lavoro; inoltre, nei contratti di lavoro si legge ‘la Cooperativa si riserva di affidare compiti e mansioni fuori sede’, il che signific herebbe che, contrariamente a quanto argomentato dalla Corte d’appello, la sede di lavoro
pattuita coincide con quella della Cooperativa e che lo svolgimento fuori sede sia stato oggetto di possibili trasferte.
Nel quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 51 comma 6 TUIR e dell’art. 7 quinquies del D.L. 193/2016: la società ricorrente invoca l’applicazione quantomeno della regola del ‘trasfertismo’ le cui indennità concorrono a formare il reddito in misura del 50% del loro ammontare. Si tratterebbe di luoghi di lavoro sempre variabili e ricorrerebbero, in parte qua, le condizioni per l’esonero, in presenza di una continua mobilità del dipendente, come da contratto, e di una remunerazione fissa forfettaria.
6.Nel controricorso l’INPS deduce che la società era in liquidazione ed era cessata come persona giuridica in data 6/8/2018, ossia in epoca precedente alla data di rilascio della procura speciale datata 18/7/2019, da parte del legale rappresentante della s ocietà in liquidazione, per l’assistenza difensiva nel giudizio di cassazione. Nel merito poi sostiene l’infondatezza o l’inammissibilità di tutti i motivi di ricorso.
Preliminarmente non è meritevole di accoglimento l’eccezione di carenza del potere del liquidatore e legale rappresentante della società cessata un anno prima a conferire procura speciale al difensore per costituirsi nel giudizio di cassazione. Come affermato da questa Corte, con sent. n. 36892/2022, in tema di cancellazione della società dal registro delle imprese, il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione, previsto dall’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014 – disposizione di natura sostanziale, operante solo nei confronti dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati, con riguardo a tributi o contributi – implica che il liquidatore ‘ conservi tutti i poteri di rappresentanza della
società sul piano sostanziale e processuale, con la conseguenza che egli è legittimato non soltanto a ricevere le notificazioni degli atti impositivi, ma anche ad opporsi ad essi, conferendo mandato alle liti, mentre sono privi di legittimazione i soci, poiché gli effetti previsti dall’art. 2495, comma 2, c.c. sono posticipati anche ai fini dell’efficacia e validità degli atti del contenzioso ‘ . La procura speciale è stata, quindi, validamente conferita.
8. Il ricorso è infondato e va respinto.
In ordine al primo motivo, si osserva che il Contratto Collettivo che abbia le caratteristiche dell’art. 1 co 1 della L. 389/1989 è finalizzato ad individuare il minimale contributivo, non a disciplinare il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore per il quale non sarebbero esclusi i contratti in deroga, salvo l’inderogabilità in peius. Sul punto la giurisprudenza della Corte è univoca nell’affermare che l’individuazione del contratto leader ai fini contributivi di cui alla citata Legge attiene al principio di autonomia del rapporto contributo ris petto all’obbligazione retributiva (sul punto cfr. Cass. ord. n. 13840/2023 ed altre numerose ivi menzionate), e ciò si ispira anche ‘all’esigenza di salvaguardia dell’unitarietà e della tenuta del sistema previdenziale’, giacché la finalità della normativa di cui all’art. co. 1 d.l. 338/89 integrato da art. 2 comma 25 L.549/95 non è quella di assicurare la conciliazione tra il diritto di organizzazione sindacale e la selezione della categoria di riferimento, ma di individuare un parametro riferimento per il calcolo della misura del minimale contributivo, che non è devoluta all’autonomia datoriale ma è una scelta che il legislatore riserva a sé, escludendo che la stessa possa essere oggetto di deroga da parte dei contraenti (dello stesso avviso cfr. anche Cass. ord.
n.4209/2023). L’individuazione della retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali in quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria esprime una capacità di scelta della fonte collettiva ai fini della determinazione della misura dell’obbligo previdenziale, fra tutte quelle astrattamente applicabili; in linea con quanto innanzi, e per un ulteriore approfondimento finalistico della normativa in esame, cfr. ord. 13840/2023 ‘ il legislatore ha inteso far entrare in gioco la fonte contrattuale consentendo la traslazione, sul piano collettivo, della garanzia in capo ai lavoratori di conseguire quel trattamento pensionistico (obbligatorio) ‘adeguato’ cui fa espresso riferimento l’ art. 38 Cost.; in un settore nel quale le parti sociali hanno stipulato una pluralità di strumenti contrattuali, anche del medesimo livello, l’esigenza concreta che si pone ai fini contributivi, è quella di individuare, nella possibile giungla di trattamenti e di voci retributive, lo strumento trainante (definito, per ciò stesso ‘leader’), quale quello che meglio degli altri appare in grado di rappresentare le caratter istiche, anche soggettive dell’impresa nonché la storia contributiva dei lavoratori interessati alla definizione del minimale contributivo, per un verso, preservando le esigenze di eguaglianza e di solidarietà, per un altro verso, scongiurando un aumento incontrollato della spesa previdenziale pubblica ‘ . Nel caso in esame, poi, non trova condivisione quanto sostenuto dal ricorrente circa la possibilità di consentire, sul piano di accordo aziendale, una deroga al CCNL (diversa gradualità temporale per l’applicazione degli aumenti retributivi posti a livel lo nazionale); questa Corte ha già affermato di recente che la contrattazione aziendale può derogare in melius ma non in pejus
al livello retributivo assunto dall’art. 1 della L. n.389/89 ai fini del calcolo del minimale contributivo (vale a dire quello previsto dalla contrattazione collettiva nazionale), essendo la materia previdenziale indisponibile, come desumibile dall’art. 2115, comma 3 c.c. ed è soggetta a regolamentazione tramite norme imperative di legge statale (Cass.28972/24). Nel caso di specie, la norma imperativa è fisata nell’art.1 L. n.389/89 che detta il livello minimo di retribuzione da assumere a riferimento per c alcolare l’imponibile contributivo, al di sotto del quale non è possibile scendere, ancorché la retribuzione dovuta ed erogata al lavoratore sia inferiore, poiché la contrattazione collettiva nazionale funge da parametro per la determinazione dell’obbligo contributivo minimo. Affermata l’inderogabilità in peius della contrattazione aziendale dei livelli retributivi a fini contributivi, diviene irrilevante il fatto che l’accordo aziendale sia stato sottoscritto o meno da un’organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa a livello nazionale.
10. Il secondo motivo è inammissibile. Esso sottende ad una rivalutazione probatoria compiuta in sede di accertamento ispettivo confermata in sentenza, con positivo giudizio di adeguato assolvimento dell’onere probatorio da parte di INPS nella individuazione della maggiore rappresentatività delle organizzazioni stipulanti il CCNL pulizia Multiservizi, firmato da CGIL, CISL, Legacoop e Confcooperative, seguendo i criteri di riferimento di cui alla lettera circolare del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali del 1/6/2012 (per numero complessivo di imprese associate, numero complessivo di lavoratori occupati, diffusione territoriale, numero di sedi e ambiti settoriali, numero di contratti collettivi nazionali stipulati e vigenti). Per contro, i dati illustrati nel secondo motivo di ricorso circa gli indici di maggiore rappresentatività comparata in capo alla
contrattazione UNCI/CONFSAL, oltre ad essere espressivi ed introduttivi di un rinnovato giudizio di merito inammissibile in questa fase, mirano ad una critica dei criteri selettivi operati da INPS, senza tuttavia confutarne le ragioni, ma solo genericamente e teoricamente affermando la distanza della propria prospettazione dal fenomeno dei contratti collettivi c.d. ‘pirata’ (tali intendendosi quelli stipulati da organizzazioni che non difendono i diritti del lavoratori, che stipulano accordi contro i loro interessi, a vantaggio del datore di lavoro, e che quindi non sono rappresentativi nel senso richiesto dalla normativa in esame). Non risultano, inoltre, esplicitati argomenti su eventuali errori interpretativi nella individuazione dei criteri descrittivi della maggiore rappresentatività, sulla non comparabilità nella contrattazione nazionale di settore con il contratto collettivo individuato in atti (cfr. ord. n.12166/19 ‘ il criterio della maggiore rappresentatività delle organizzazioni sindacali, previsto dall’art. 2, comma 25, della L. n. 549 del 1995, opera esclusivamente nelle ipotesi in cui, stabilita l’applicabilità del contratto nazionale in luogo di quelli locali o individuali, vi sia una pluralità di contratti collettivi nazionali intervenuti per la medesima categoria ‘), o sulla eventuale devianza da criteri oggettivi e predeterminati nella individuazione dell’ambito contrattuale di riferimento (cfr. sul punto Cass. ord. n. 19759/2024 ‘ La retribuzione da assumere a parametro per la determinazione dei contributi previdenziali (cd. minimale contributivo) ex art. 1 d.l. n. 338 n. 1989, conv. con modif. dalla l. n. 389 del 1989, è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nel settore di attività effettivamente svolta dall’impresa ai sensi dell’art. 2070 c.c., dovendosi far riferimento ad un criterio oggettivo e predeterminato che non
lasci spazio a scelte discrezionali o a processi di autodeterminazione normativa, che restano viceversa possibili solo in relazione al trattamento economico e normativo dei lavoratori nei limiti dell’art. 36 Cost . ‘) . Per contro, la Corte di merito ha invece adeguatamente motivato, in linea con i suddetti principi in risposta al secondo motivo di appello.
11. Il terzo motivo è anch’esso infondato, perché tende ad una nuova valutazione del materiale probatorio e contravviene al principio secondo cui chi invoca un esonero contributivo deve dimostrare di averne diritto, ossia che le assenze nel caso di specie fossero ingiustificate. Questa Corte ha già osservato, in altre precedenti occasioni, che, in costanza del principio di indisponibilità dell’obbligo contributivo, sia dovuta la contribuzione nei casi di mancata esecuzione della prestazione lavorativa e corresponsione della relativa retribuzione, dipendente da cause diverse da quelle previste dalla legge o dal contratto collettivo (sul punto, Cass. ord. n. 13650/19), e, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, la contribuzione è dovuta anche in caso di assenza concordata (cfr. Cass. ord. n.15120/2019: ‘ La regola del cd. minimale contributivo, che deriva dal principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto alle vicende dell’obbligazione retributiva, opera anche con riferimento all’orario di lavoro, che va parametrato a quello previsto dalla contrattazione collettiva, o dal contratto individuale, e superiore; ne deriva che la contribuzione è dovuta anche in caso di assenze o di sospensione concordata della prestazione che non trovino giustificazione nella legge o nel contratto collettivo, bensì in un accordo tra le parti che derivi da una libera scelta del datore di lavoro ‘). Rileva, quindi, ai fini di esonerare il datore dall’obbligo contributivo, l’impossibilità di ricevere la prestazione per unilaterale ed ingiustificata scelta del
lavoratore, non condivisa con il datore né prevista per legge o per contratto collettivo; ed è invece dovuta la contribuzione in caso di mancata esecuzione della prestazione lavorativa dipendente da forza maggiore non prevista quale causa di sospensione del rapporto di lavoro dal contratto collettivo di settore (cfr. ord. 4676/2021).
11.1 Resta ferma la sussistenza dell’onere a carico del datore di provare la ricorrenza di un’ipotesi eccettuativa dell’obbligo contributivo rispetto al minimale contributivo previsto dall’art. 1 co. 1 della L. 338/1989; sul punto si è espressa questa Corte con ord. n.23360/2021 (‘ In tema di minimale contributivo, ove gli enti previdenziali ed assistenziali pretendano da un’impresa differenze contributive sulla retribuzione virtuale determinata ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 338 del 1989 (conv., con modif., dalla l. n. 389 del 1989), anche con riferimento all’orario di lavoro, è onere del datore di lavoro allegare, e provare, la sussistenza di un’ipotesi eccettuativa dell’obbligo contributivo ‘ ).
11.2 – La pronuncia della Corte di merito va esente dalle spiegate censure laddove, in linea con i suesposti principi, ha anche accertato in fatto la mancanza di dati giustificativi delle assenze escludendo che si sia trattato di un accordo e confermando il rilievo contestato da INPS che vi sia stata una sostanziale riduzione unilaterale dell’orario di lavoro.
Il quarto ed il quinto motivo possono essere trattati congiuntamente, e sono anch’essi infondati. L’impugnata sentenza non nega l’an delle trasferte, ma le assoggetta a contribuzione perché erano utilizzate in modo sistematico e non provvisorio, disvelando in tal modo un carattere di stabilità, ben idoneo a configurare il correlativo trattamento economico alla stregua di una retribuzione. Il ricorso, sul punto, non censura la
sistematicità accertata in fatto, né l’obiezione svolta da INPS circa la corresponsione dell’indennità giornaliera di importo variabile da un mese all’altro. Inoltre, la ricorrente non argomenta sulla possibile qualificazione sub specie di ‘trasfertismo’ di cui all’art. 51 co 6 TUIR la cui indennità, a differenza dell’ipotesi dell’art 51 co. 5, concorre a formare il reddito nella misura del 50%.
12.1 – La Corte ha già precisato, sotto il primo profilo, che l’accertamento, da parte del giudice del merito, della natura retributiva dell’indennità corrisposta ai cosiddetti “trasfertisti” in relazione alle modalità della prestazione abitualmente fuori sede, in quanto espressione di un apprezzamento di fatto, è sottratta al sindacato di legittimità in assenza di vizi giuridici e logici (Cass. sent. n. 16852/2003).
12.3 – Superata la circostanza che le trasferte siano state dettate da fatti occasionali e contingenti, su singole disposizioni datoriali, come disciplinato dall’art. 51 co.5 TUIR (operabilità non compatibile con la stessa dicitura riportata nei contratti di lavoro), va di seguito rammentato che nella nozione di “trasfertisti” rientrano i lavoratori subordinati destinati a svolgere sistematicamente e professionalmente la propria attività quasi interamente al di fuori della sede aziendale, sempre in luoghi diversi, senza alcuna sede lavorativa fissa e predeterminata (ai sensi dell’art. 51 co.6 TUIR) , percependo la retribuzione indipendentemente dalla effettiva effettuazione della trasferta, ‘ secondo un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo in presenza di vizi logici e giuridici ‘ (cfr. sent. n. 27643/2013). E già questa argomentazione escluderebbe l ‘ ammissibilità del denunciato vizio di legittimità.
12.4 – Si aggiunga che in alcuni precedenti di legittimità è stato anche precisato che l’inserimento in ambito retributivo della indennità di trasferta corrisposta ai lavoratori subordinati destinati a svolgere sistematicamente e professionalmente la propria attività quasi interamente al di fuori dalla sede sociale ‘ svolge anche una funzione retributiva ‘; tanto afferma no Cass. sent. n. 28162/2005 in relazione al suo inserimento nella base di calcolo dell’indennità di fine rapporto (e delle altre competenze indirette), e Cass. sent. n.15360/2002 in relazione alla formazione della base di calcolo dell’indennità di anzianità ex artt. 2120 e 2121 cod. civ. (nel regime anteriore alla legge 29 maggio 1982, n. 297), sia pure nella misura assoggettata a contribuzione ai sensi dell’art. 9 ter del D.L. 29 marzo 1991, n. 103, convertito con modifiche nella legge 1/6/1991, n.166; ed ancora con riferimento alle indennità nell’ambito d ella retribuzione globale da utilizzare come parametro per il calcolo dell’indennità di disoccupazione per una quota del 50 per cento si è espressa la precedente sent. n. 5510/2015.
12.5 Infine, non si rinviene la coesistenza dei tre requisiti previsti dall’art. 7 quinquies D.L. n.193/16 in tema di interpretazione autentica nella determinazione del reddito di lavoratori in trasferta e trasfertisti, a tenore del quale il comma 6 dell’articolo 51 del TUIR si interpreta nel senso che i lavoratori rientranti nella disciplina ivi stabilita sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni: ‘ a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro; b) lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente; c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di
un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta ‘. La mancanza di rilievi specifici alla confutazione da parte di INPS dell ‘esistenza della terza circostanza, come innanzi enunciata, depone per il rigetto. Nè sono allegate le circostanze da cui sia risultata una diversa interpretazione del rapporto di lavoro, né è invocata la violazione dei criteri ermeneutici degli atti di fonte negoziale.
13. Il ricorso va, pertanto, respinto. Segue per soccombenza la condanna al pagamento delle spese, nonché la sanzione del doppio del contributo unificato, come per legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in € 10.000 ,00, oltre accessori di rito ed € 200,00 per esborsi.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta