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Minaccia di far valere un diritto: quando è illecita?

Un creditore ottiene un’ingiunzione di pagamento per un assegno, ma il debitore si oppone sostenendo di averlo emesso sotto la minaccia di far valere un diritto in un’asta immobiliare. La Cassazione conferma la decisione della Corte d’Appello, stabilendo che la promessa di pagamento è nulla. La Corte chiarisce che la minaccia di far valere un diritto, se finalizzata a ottenere un vantaggio ingiusto e non dovuto, costituisce un illecito e rende nullo l’accordo per mancanza di causa meritevole di tutela.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Minaccia di far valere un diritto: quando un accordo diventa nullo?

L’esercizio di un proprio diritto è sempre legittimo? E se viene usato come leva per ottenere qualcosa che non ci spetta? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui confini tra l’azione legittima e l’illecito, in particolare analizzando il caso della minaccia di far valere un diritto. La vicenda riguarda un assegno emesso non per saldare un debito, ma per evitare che il beneficiario partecipasse a un’asta immobiliare, alterandone potenzialmente l’esito. La Suprema Corte ha stabilito che un’obbligazione nata da una simile pressione è priva di una causa valida e, pertanto, non merita tutela legale.

I Fatti di Causa

La controversia ha origine da un decreto ingiuntivo ottenuto da un soggetto per l’incasso di un assegno di trentamila euro. L’emittente dell’assegno, tuttavia, si opponeva al pagamento, raccontando una storia ben diversa. Sosteneva di aver consegnato l’assegno sotto pressione: il beneficiario aveva minacciato di presentare un’offerta al rialzo (il cosiddetto “aumento di sesto”) in un’asta immobiliare in cui il fratello dell’emittente si era provvisoriamente aggiudicato un immobile. L’assegno, quindi, non era il pagamento di un debito preesistente, ma il prezzo per “comprare” l’astensione del creditore dalla gara.

Il Tribunale di primo grado aveva respinto l’opposizione, ma la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, accogliendo la tesi dell’emittente e revocando il decreto ingiuntivo. Secondo i giudici d’appello, le testimonianze provavano che la promessa di pagamento era nata da questa minaccia. Il creditore, insoddisfatto, ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

L’analisi della minaccia di far valere un diritto in Cassazione

Il ricorrente basava le sue difese su diversi motivi, sia procedurali che di merito. Contestava l’utilizzabilità delle testimonianze raccolte e, soprattutto, sosteneva la piena legittimità della sua condotta. A suo dire, minacciare di partecipare a un’asta pubblica era semplicemente la minaccia di far valere un diritto pienamente legittimo, e quindi non poteva costituire una forma di violenza morale tale da invalidare l’accordo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza d’appello e chiarendo un principio fondamentale del diritto delle obbligazioni. Gli Ermellini hanno prima respinto i motivi procedurali, per poi concentrarsi sul cuore della questione, delineato dall’art. 1438 del Codice Civile.

La Corte ha spiegato che la minaccia di far valere un diritto diventa illecita e costituisce violenza morale quando è diretta a conseguire un “vantaggio ingiusto”. Un vantaggio è “ingiusto” quando il risultato ottenuto è anormale, diverso e sproporzionato rispetto a quello che si otterrebbe con il normale esercizio del diritto stesso. In questo caso, il diritto era quello di partecipare a una gara pubblica. Il suo esercizio normale avrebbe portato, al massimo, all’aggiudicazione del bene. Invece, il creditore ha usato la minaccia di esercitare tale diritto per ottenere un vantaggio completamente diverso: una somma di denaro da un soggetto che non gli doveva nulla, condizionando di fatto l’esito della gara in cambio di un corrispettivo privato.

Questo schema, secondo la Corte, altera il corretto funzionamento della procedura competitiva e trasforma l’esercizio di un diritto in uno strumento per ottenere un profitto illecito. La promessa di pagamento, pertanto, risulta priva di una “causa in concreto” meritevole di tutela. Non esiste una ragione giuridicamente valida che giustifichi l’obbligazione, poiché essa non nasce da un debito, ma da una pattuizione illecita finalizzata a turbare il regolare svolgimento di un’asta. Di conseguenza, l’azione del creditore per ottenere il pagamento dell’assegno non può essere accolta dall’ordinamento.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione ribadisce un principio cruciale: un diritto non può essere usato come uno strumento di estorsione. La linea di demarcazione tra lecito e illecito risiede nello scopo perseguito. Se la minaccia di esercitare un diritto è finalizzata a ottenere ciò che spetterebbe legalmente (ad esempio, minacciare un’azione legale per ottenere il pagamento di un debito reale), l’azione è legittima. Se, invece, è usata per ottenere un vantaggio ingiusto, non dovuto e sproporzionato, come una somma di denaro in cambio della non partecipazione a un’asta, l’accordo che ne deriva è nullo per illiceità della causa. Questa sentenza rappresenta un importante monito sulla necessità di agire sempre secondo buona fede e correttezza nei rapporti giuridici ed economici.

Quando la minaccia di far valere un diritto diventa illegale?
Secondo la Corte di Cassazione, la minaccia di far valere un diritto diventa illegale e costituisce violenza morale quando è diretta a conseguire un vantaggio ingiusto. Ciò accade quando il fine perseguito è anormale, diverso e sproporzionato rispetto a quello che si otterrebbe con il normale esercizio del diritto.

Perché l’obbligazione di pagare l’assegno è stata considerata nulla?
L’obbligazione è stata considerata nulla perché priva di una “causa in concreto” meritevole di tutela. L’assegno non era stato emesso per saldare un debito esistente, ma come corrispettivo per l’astensione del beneficiario da un’asta pubblica. Questo accordo è stato ritenuto illecito in quanto finalizzato ad alterare la gara per un profitto privato, e quindi la promessa di pagamento non è tutelata dall’ordinamento giuridico.

Qual è la differenza tra un vantaggio giusto e uno ingiusto in questo contesto?
Un vantaggio giusto è quello che deriva direttamente dal corretto esercizio di un diritto (es. ottenere il pagamento di un debito). Un vantaggio ingiusto, come nel caso esaminato, è un profitto ulteriore e non dovuto, ottenuto usando il diritto come leva per costringere qualcuno a un pagamento che non ha fondamento legale, come pagare per non avere concorrenti in un’asta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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