Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 28443 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 28443 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2398-2023 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rapprsentata e difesa da ll’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 797/2022 della CORTE DI APPELLO di LECCE, depositata il 07/07/2022;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 16.5.2014 COGNOME NOME evocava in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Lecce, invocandone la condanna al rilascio di un immobile sito in Monteroni di Lecce, con annesso terreno, di proprietà esclusiva dell’attrice, ed al pagamento dei canoni di locazione a decorrere da luglio 2011.
Si costituiva in giudizio il convenuto, resistendo alla domanda e spiegando domanda riconvenzionale di rimborso di quota parte di un mutuo, intestato all’attrice la estinto con denaro del convenuto, di risarcimento del danno derivante dalla vendita sottocosto di altro immobile, di proprietà del COGNOME, e di riconoscimento in favore di quest’ultimo dell’indennità per l’aumento di valore del cespite controverso.
Con sentenza n. 1886/2020 il Tribunale accoglieva la domanda principale di rilascio, nonché, in parte, quella riconvenzionale, rigettando ogni altra istanza.
Interponeva appello principale avverso detta decisione l’originario convenuto, in relazione all’accoglimento della domanda di rilascio, formulando per la prima volta richiesta di ritenzione del bene sino al saldo dell’indennità per l’aumento di valore liquidata dal Tribunale. Interponeva appello incidentale la COGNOME, invocando il rigetto della domanda riconvenzionale.
Con la sentenza impugnata, n. 797/2022, la Corte di Appello di Lecce rigettava il gravame principale, accogliendo quello incidentale e rigettando la domanda del COGNOME di riconoscimento dell’indennità per aumento di valore del cespite controverso.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME, affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI AVV_NOTAIO DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 1150 e 1152 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che per l’esercizio del potere di ritenzione del bene, sino al pagamento dell’indennità per il suo maggior valore, occorra una specifica domanda, che nella specie il COGNOME non aveva proposto in prima istanza.
Con il secondo motivo, lo stesso lamenta invece la violazione o falsa applicazione dell’art. 1147 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente accolto l’appello incidentale spiegato dalla COGNOME, rigettando la domanda di riconoscimento dell’indennità per l’aumento di valore del bene controverso, spettante al possessore di buona fede, escludendo che il COGNOME potesse esser ritenuto tale.
Con il terzo motivo, infine, denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1150 c.c. e della ‘normativa in materia di abusivismo edilizio e del D.P.R. n. 380 del 2011 ‘, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente escluso anche il riconoscimento del rimborso delle spese sostenute per le migliorie apportate al bene, spettante al possessore di malafede, sul presupposto che le opere eseguite dal COGNOME avessero carattere abusivo.
Per ragioni di priorità logica vanno esaminate congiuntamente la seconda e la terza censura, che sono infondate.
La Corte di Appello ha dato atto dell’orientamento giurisprudenziale prevalente, secondo cui il coniuge che, in costanza di matrimonio, provvede a sue spese ad eseguire migliorie o ampliamenti dell’immobile di proprietà esclusiva dell’altro coniuge, adibito casa familiare o comunque in godimento al nucleo familiare, non è titolare di un diritto di possesso o compossesso sul cespite, ma soltanto di un diritto personale di godimento, come componente del nucleo familiare, di natura atipica e fondato sull’esistenza dell’unione familiare (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 11096 del 26/07/2002, Rv. 556297), configurato, nell’ambito della convivenza more uxorio , in termini di detenzione autonoma (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9786 del 14/06/2012, Rv. 622725) di carattere qualificato (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7214 del 21/03/2013, Rv. 626080; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7 del 02/01/2014, Rv. 628849; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10377 del 27/04/2017, Rv. 644066; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17971 del 11/09/2015, Rv. 637179). I precedenti di segno contrario, che attribuivano al coniuge non proprietario del bene la qualifica di possessore, e dunque il diritto all’indennità per migliorie di cui all’art. 1150 c.c. (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13259 del 09/06/2009, Rv. 608537 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2199 del 13/05/1989, Rv. 462746), sono rimasti isolati e risultano comunque superati dalla successiva elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, la quale ha esteso anche al matrimonio i principi affermati in tema di convivenza more uxorio , ricostruendo la posizione del coniuge non proprietario del bene, che esegua migliorie su di esso, in termini di detenzione qualificata, avente titolo in un negozio giuridico di natura familiare (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23882 del 03/09/2021, non massimata,
pagg. 6 e 7, la quale richiama a sua volta Cass Sez. 3, Ordinanza n. 22730 del 12/09/2019, Rv. 655088).
Una volta escluso che al COGNOME possa essere riconosciuta la condizione di possessore, non v’è spazio per l’applicazione dell’art. 1150 c.c., poiché il diritto all’indennità ivi prevista non compete al detentore, ancorché qualificato, trattandosi di norma di carattere eccezionale non suscettibile di interpretazione analogica (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 29924 del 13/10/2022, Rv. 666047; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28379 del 28/11/2017, Rv. 646084).
Non potendo essere configurata la qualità di possessore, al COGNOME non può neanche essere riconosciuto il rimborso delle spese effettuate, essendo irrilevante la sua condizione di buona o malafede. Peraltro, nella fattispecie la Corte distrettuale ha anche evidenziato che l’odierno ricorrente aveva rivenuto diffida a restituire il cespite oggetto di causa sin dal 2011, ed ha dunque escluso la possibilità di ravvisare la sua buona fede (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).
La statuizione della Corte distrettuale, dunque, è coerente con i precedenti di questa Corte e comporta l’impossibilità di configurare il diritto del COGNOME a pretendere sia l’indennità per l’aumento di valore del bene, che la restituzione delle spese eseguite sullo stesso.
Non potendosi configurare, in favore del ricorrente, il diritto di cui all’art. 1150 c.c., non spetta allo stesso neanche la specifica tutela prevista dall’art. 1152 c.c., che peraltro, secondo quanto affermato dalla sentenza impugnata, e non smentito dal ricorrente, lo stesso non aveva tempestivamente invocato in prime cure. Da ciò consegue l’inammissibilità anche del primo motivo di doglianza, per difetto di interesse concreto ed attuale all’impugnazione, in quanto la sua accertata condizione di mero detentore esclude, comunque, la
sussistenza del diritto al rimborso ex art. 1150 c.c. e dunque della correlata facoltà di ritenzione di cui all’art. 1152 c.c.
In definitiva, il ricorso dev’essere rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e vanno attribuite al procuratore antistatario.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 6.700, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge, che attribuisce al procuratore dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 21 ottobre 2025.
IL PRESIDENTE NOME COGNOME