LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Messa in mora del datore: quando è dovuta la paga?

La Corte di Cassazione ha stabilito che, anche a fronte di una sentenza che accerta l’esistenza di un rapporto di lavoro, i dipendenti non hanno diritto alla retribuzione per i periodi non lavorati se non hanno formalmente offerto la propria prestazione lavorativa. Senza una specifica messa in mora del datore, viene a mancare il presupposto per il diritto allo stipendio. Di conseguenza, le lavoratrici sono state condannate a restituire le somme precedentemente ricevute.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Messa in Mora del Datore: Quando Spetta la Retribuzione Senza Lavoro?

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale nel diritto del lavoro: il diritto alla retribuzione quando la prestazione lavorativa non viene eseguita. Il caso in esame chiarisce che una sentenza che accerta l’esistenza di un rapporto di lavoro non è di per sé sufficiente a garantire lo stipendio se il lavoratore non compie un passo fondamentale: la messa in mora del datore di lavoro, offrendo formalmente la propria attività.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda alcune lavoratrici il cui rapporto di lavoro con una società era stato riconosciuto da una sentenza del 2012 come “tuttora in corso”. Sulla base di tale pronuncia, avevano ricevuto delle somme a titolo di retribuzione. Tuttavia, una successiva decisione della Corte di Cassazione aveva annullato quella sentenza, rinviando il caso alla Corte d’Appello. Quest’ultima, seguendo le indicazioni della Suprema Corte, ha rigettato le domande delle lavoratrici e le ha condannate a restituire quanto percepito. Il motivo? Non avevano mai provato di aver messo a disposizione le proprie energie lavorative per il periodo in questione (aprile 2012 – giugno 2016).
Le lavoratrici hanno quindi presentato un nuovo ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse interpretato erroneamente le istruzioni ricevute.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato estinto il processo per due delle ricorrenti, che nel frattempo avevano trovato un accordo con la società. Per le altre due, invece, ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello.

Il Principio della Messa in Mora del Datore

Il primo motivo di ricorso si basava sull’idea che l’accertamento giudiziale di un rapporto di lavoro “in corso” fosse sufficiente per ottenere le retribuzioni, senza bisogno di un’offerta formale della prestazione. La Cassazione ha respinto questa tesi, ribadendo un principio vincolante già espresso nella precedente sentenza: per avere diritto alla paga pur in assenza di attività lavorativa, è necessario un atto di messa in mora del datore. In altre parole, il lavoratore deve formalmente e in modo inequivocabile offrire la propria prestazione, e solo il rifiuto ingiustificato del datore di lavoro fa scattare l’obbligo retributivo.

Il Ruolo del Giudice del Rinvio

Con il secondo motivo, le ricorrenti lamentavano una presunta anomalia nella motivazione della Corte d’Appello, che non avrebbe considerato le loro domande originarie. Anche questa censura è stata respinta. La Cassazione ha chiarito che il giudice del rinvio ha un compito specifico: attenersi scrupolosamente a quanto richiesto dalla sentenza di annullamento. In questo caso, il suo unico compito era verificare se le lavoratrici avessero compiuto un valido atto di messa in mora dopo l’ordine giudiziale di ripristino del rapporto. Avendo accertato l’assenza di tale atto, la Corte d’Appello ha correttamente adempiuto al suo mandato, fornendo una spiegazione adeguata e coerente.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha sottolineato che il principio di diritto stabilito in una precedente sentenza di Cassazione è “vincolante e intangibile” nel successivo giudizio di rinvio. La Corte d’Appello, quindi, non poteva discostarsi dall’istruzione di verificare l’esistenza di un atto di costituzione in mora successivo all’ordine giudiziale. L’obbligo di retribuzione, in un contratto a prestazioni corrispettive come quello di lavoro, sorge in cambio della prestazione lavorativa. Se questa manca, il diritto alla paga può sussistere solo se l’impossibilità di lavorare è dovuta a un ingiustificato rifiuto del datore di lavoro, che deve essere però formalmente messo in condizione di accettare la prestazione tramite un’offerta esplicita da parte del lavoratore.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un concetto fondamentale: la tutela del lavoratore non è automatica. L’accertamento giudiziale di un rapporto di lavoro è il presupposto, ma per ottenere le retribuzioni maturate durante un periodo di inattività forzata, il lavoratore ha l’onere di attivarsi. Deve dimostrare di aver messo a disposizione del datore le proprie energie lavorative. In mancanza di questa offerta formale (la messa in mora del datore), il diritto alla retribuzione non sorge e le somme eventualmente percepite possono essere soggette a restituzione.

Dopo che un giudice ha riconosciuto l’esistenza di un rapporto di lavoro, il lavoratore ha automaticamente diritto alla retribuzione anche se non lavora?
No. Secondo la sentenza, il semplice accertamento giudiziale non è sufficiente. Il lavoratore deve compiere un atto formale di messa in mora, offrendo la propria prestazione lavorativa al datore di lavoro, per avere diritto alla retribuzione nei periodi non lavorati.

Cos’è la ‘messa in mora del datore di lavoro’ e perché è importante in questi casi?
È un atto formale con cui il lavoratore offre esplicitamente e in modo inequivocabile la propria prestazione lavorativa. È importante perché solo a seguito di questa offerta, se il datore di lavoro la rifiuta senza un giustificato motivo, sorge l’obbligo di pagare la retribuzione anche se il lavoratore non svolge alcuna attività.

Il giudice del rinvio può ignorare i principi stabiliti dalla Corte di Cassazione nella sentenza che ha annullato la decisione precedente?
No. La sentenza chiarisce che il principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione è ‘vincolante e intangibile’ per il giudice del rinvio. Quest’ultimo deve attenersi strettamente alle istruzioni ricevute e basare la sua nuova decisione su quei principi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati