Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 12858 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 12858 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7002/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliata digitalmente ex lege ; rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura allegata al ricorso;
-ricorrente-
contro
CONSORZIO RAGIONE_SOCIALEOGLIASTRA, in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliata digitalmente ex lege ; rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE per procura allegata al controricorso;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari n. 623/2020, depositata il 2/9/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/2/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 26 marzo 2012, il Consorzio industriale provinciale dell’Ogliastra stipulò con la RAGIONE_SOCIALE un contratto di locazione di un terreno, sul quale la conduttrice intendeva installare un impianto fotovoltaico.
In conseguenza del mancato pagamento dei canoni, il Consorzio notificò alla conduttrice sfratto per morosità, all’esito del quale il giudice dispose il rilascio del bene e dispose il mutamento del rito ex art. 667 c.p.c.
Con la sentenza che definì il giudizio, il Tribunale di Lanusei dichiarò risolto il contratto di locazione, condannando la RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese processuali.
La sentenza venne impugnata da quest’ultima dinanzi alla Corte d’appello di Cagliari, censurando , in primo luogo, il mancato esperimento, da parte del Consorzio locatore, del procedimento di mediazione nel termine assegnato dal Tribunale con l’ordinanza di mutamento del rito, nonché la mancata comunicazione del rinvio officioso dell’udienza del 19 novembre 2019 al gi orno successivo. I giudici di secondo grado rigettarono l’impugnazione, osservando come, all ‘udienza del 20 novembre 2019 (su sseguente al mutamento del rito), la mancanza della condizione di procedibilità non era stata eccepita dal difensore della resistente (pur regolarmente comparso) né rilevata d’ufficio dal giudice, restando conseguentemente precluso il corrispondente rilievo al giudice d’appello. Furono respinti anche il motivo legato al difetto della titolarità del diritto di proprietà sul bene in capo al locatore (non trattandosi di un presupposto necessario per la validità del contratto in discorso) e quello volto a far valere il concorso del locatore nel determinare l’inadempimento della conduttrice, in assenza di prova di qualsivoglia riscontro dato
dal primo alle proposte della seconda, finalizzate all’acquisto del terreno e alla compensazione del proprio (incontestato) credito con le spese che avrebbe dovuto sostenere per la preparazione del sito. Ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE sulla base di nove motivi.
Ha resistito con controricorso il Consorzio. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 5, commi 1-bis, 2 e 2-bis e 6, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2010 (nel testo ratione temporis applicabile), per non avere il giudice di merito rilevato l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento della mediazione nel termine di quindici giorni, assegnato dal giudice di primo grado con l’ordinanza del 1° luglio 2019.
Il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione apparente, per avere la Corte d’appello motivato il rigetto del motivo relativo al mancato esperimento della mediazione con riferimento ‘all’ipotesi in cui l’improcedibilità della domanda non venga eccepita dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice alla prima udienza con conseguente sanabilità della lamentata irregolarità anziché all’ipotesi del mancato rispetto del termine assegnato dal giudice per l’avvio della mediazione e la mancata attivazione ed esperimento della stessa su ordine del Giudice p rima dell’udienza di discussione’ (pag. 17 del ricorso per cassazione).
I primi due motivi evocano la disciplina (applicabile ratione temporis alla fattispecie) di cui all’art. 5 d.lgs. n. 28/2010, anteriore alla sua sostituzione da parte del d.lgs. n. 149/2022, e sono infondati.
La Corte d’appello di Cagliari ha ritenuto sanato il difetto della condizione di procedibilità, per non essere stato eccepito o rilevato d’ufficio alla prima udienza, in piana applicazione del disposto
dell’art. 5, comma 1 -bis , d.lgs. n. 28 del 2010 ( ratione temporis vigente).
L’esegesi della norma impon e di concludere nel senso che l’improcedibilità della domanda non possa essere rilevata, per la prima volta, in appello, nel caso in cui il giudice di primo grado, dopo avere inizialmente rilevato il mancato esperimento della mediazione obbligatoria e concesso (come nella specie) alle parti un termine ad hoc , abbia omesso di rilevare, alla successiva udienza, la mancata ottemperanza all’incombente , senza che neppure vi sia stata eccezione di parte.
La ricorrente, infatti, non nega che l’improcedibilità della domanda non era stata eccepita né rilevata d’ufficio all’udienza del 20/11/2019, pretendendo di trarre dalla circostanza che fosse stata disposta dal giudice (a norma del l’ultimo inciso del testo dell’art. 5, comma 1bis , sempre applicabile ratione temporis ) la conseguenza che alla detta udienza non dovesse esservi, a pena di preclusione, il rilievo d’ufficio o l’eccezione di parte medesimi.
Viceversa, secondo il regime di cui a quella norma, in coerenza con il disposto del comma 1 (sempre nel testo applicabile ratione temporis ), quando la mediazione sia stata disposta dal giudice, previo rilievo del mancato esperimento prima del giudizio, l’inottemperanza a tale ordine si deve rilevare d’ufficio (o eccepire dalla parte interessata) all’udienza successiva , fissata per la prosecuzione del processo. Il mancato esercizio del potere officioso o della parte determinava, pertanto, la definitiva preclusione della relativa rilevanza, non diversamente, peraltro, da quanto suppone il comma 2 dell’art. 5, nella formulazione attualmente vigente.
In ordine al mancato rispetto del termine di quindici giorni per l’introduzione del procedimento , mette conto, inoltre, rimarcare, in linea generale, che ‘ in tema di mediazione delegata ex art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2010, il termine di quindici giorni disposto dal giudice non ha natura perentoria, in quanto dal tenore letterale
dell’art. 5, comma 2bis , del medesimo decreto (nella formulazione applicabile ratione temporis ) si ricava che la dichiarazione di improcedibilità non è collegata dal legislatore al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda, bensì al solo evento dell’esperimento del procedimento di mediazione, essendo, peraltro, tale conclusione compatibile con la ratio legis sottesa alla mediazione obbligatoria ope iudicis , consistente nella ricerca della soluzione migliore possibile per le parti, dato un certo stato di avanzamento della lite e certe sue caratteristiche’ (Cass., n. 4133/2024).
Infine, quanto osservato rende irrilevante verificare la fondatezza della prospettazione della parte resistente, la quale assume che la mediazione disposta dal giudice sarebbe stata financo espletata.
Con il terzo motivo, la ricorrente censura la violazione o falsa applicazione degli artt. 667, 420 e 426 c.p.c., per la lesione del principio del contraddittorio che sarebbe stata integrata dalla mancata notifica ai difensori della RAGIONE_SOCIALE del provvedimento di fissazione de ll’udienza di discussione di primo grado.
Il motivo è infondato, poiché omette di considerare che, ai sensi dell’art. 420, ult. comma, c.p.c., nel rito del lavoro (e dunque, come nel caso di specie, locatizio) ‘le udienze di mero rinvio sono vietate’, sicché, una volta comparso (come detto) all’udienza del 20/11/2019, il difensore della RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto omettere di eccepire il mancato esperimento della mediazione obbligatoria, confidando in una sorte di ‘salvezza dei diritti’ per l’udienza successiva. Ciò senza dire che la ricorrente non ha neppure dedotto di avere (sia pur tardivamente) formulato l’eccezione in discorso alla successiva udienza del 19/12/2019 (alla quale si è limitata ad asserire di aver depositato una memoria il cui contenuto non riporta, però, nel ricorso).
Il quarto motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per l’omesso esame del motivo d’appello con il quale RAGIONE_SOCIALE si era doluta che il giudice di primo grado avesse ‘ritenuto erroneamente
che l’udienza disposta con l’ordinanza del 28.6.2019 fosse fissata per la precisazione delle conclusioni ‘ , mentre ‘si trattava di udienza di discussione ex art. 426 c.c.’ (pag. 19 e s. del ricorso per cassazione, ove si riporta il motivo d’appello in questione). In sostanza, la ricorrente deduce che l’omessa notifica dell’ordinanza di mutamento del rito e il mancato inserimento del nominativo dei propri difensori nel fascicolo telematico le aveva precluso il deposito della memoria ex art. 426 c.p.c., nonché la possibilità di eccepire tempestivamente il mancato esperimento della mediazione.
Anche relativamente a questo motivo vale quanto detto a proposito del precedente, infrangendosi la doglianza, da un lato, sulla (non contestata) circostanza della presenza del difensore di RAGIONE_SOCIALE all’udienza del 20 novembre 2019 ( nella quale lo stesso non deduce di aver eccepito alcunché né chiesto un termine a difesa) , e dall’altro sull’omesso richiamo del contenuto della memoria che la ricorrente deduce di avere depositato, infine, all’udienza di discussione del 19/12/2019, che impedisce di venire a conoscenza dell’effettiv a proposizione, in tale sede, dell’eccezione più volte richiamata. Il motivo è, pertanto, inammissibile ex art. 360bis , n. 2, c.p.c., in ossequio al principio di diritto espresso da Cass., n. 22341/2017 (cui si è poi conformata Cass., n. 26087/2019), secondo cui ‘la censura concernente la violazione dei “principi regolatori del giusto processo” e cioè delle regole processuali ex art. 360 n. 4 c.p.c., deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia’, mentre nel caso di specie -come detto -non è chiaro in che modo ebbe concretamente ad atteggiarsi l’asserita lesione del diritto di difesa dell’odierna ricorrente, ovvero quale effettiva ripercussione sulla decisione ebbe il mancato tempestivo deposito della memoria conclusiva.
Con il quinto motivo, la ricorrente censura la violazione o falsa applicazione di ‘norme di diritto sostanziale’, ‘in relazione alla
mancata legittimazione del CIPO a stipulare un contratto di locazione avente ad oggetto un terreno di non sua proprietà e di cui si era dichiarato falsamente proprietario’.
Il sesto motivo ripropone la medesima censura dall’angolo visuale dell’art. 360, n. 5, c.p.c., per non avere il giudice di merito tenuto conto della mancata qualità di proprietario in capo alla parte locatrice.
I due motivi sono inammissibili, il primo per non aver neppure menzionato le disposizioni che si assumono violate (tenuto conto che, a mente di Cass., n. 23745/2020, ‘ in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa ‘: conforme, Cass., n. 18998/2021); il secondo perché, nell’ipotesi di cd. doppia conforme, prevista dall’art. 348ter , comma 5, c.p.c. ( ratione temporis vigente), ‘ il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ‘ (Cass., n. 5947/2023) , mentre, nella specie, la Corte d’appello ha confermato la motivazione resa, sul punto, dal giudice di prime cure.
In ogni caso, va ribadito che la titolarità del diritto di proprietà sul bene non integra presupposto di validità del contratto di locazione
(v. Cass., n. 18486/2024 e Cass., n. 27910/2023), e ciò anche laddove (come, nel caso di specie, sostenuto dalla ricorrente) il locatore si sia qualificato proprietario, non rappresentando ciò ragione sufficiente per esonerare il conduttore dall’adempimento delle proprie obbligazioni.
9 . Le medesime considerazioni appena svolte valgono per i successivi motivi settimo e ottavo nei quali la ricorrente deduce la ‘ violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziale -ex art. 360, c.1 n. 3, c.p.c. – in relazione ai principi di buona fede e di correttezza che dovrebbero caratterizzare ogni rapporto contrattuale , avendo il CIPO contribuito a ritardare l’adempimento della RAGIONE_SOCIALE, con le trattative volte sia alla transazione del debito pregresso sia alla compravendita del terreno’; nonché l’omesso esame del fatto decisivo, ‘in relazione al mancato esame degli allegati DOC.2 e DOC.3, in particolare delle missive del 16.7.2015 e del 22.7.2015 ‘ .
In primo luogo, si osserva come la censura di omesso esame documentale non rispetta, sul piano formale, i requisiti di specificità richiesti dalla giurisprudenza di legittimità a partire dalle sentenze delle Sezioni unite nn. 8053 e 8054 del 2014, non essendo stato allegato in quale snodo del processo di merito e in che termini la parte avesse argomentato in ordine alle circostanze di fatto rappresentate dai documenti in questione. Quanto alla censura di violazione o falsa applicazione di legge, la stessa non risulta neppure adeguatamente argomentata, non essendo esplicitato il fondamento giuridico della conclusione secondo cui l’applicazione del principio di buona fede dovrebbe condurre, sul piano esecutivo, a svuotare il contratto del suo requisito causale tipico, vale a dire il pagamento del corrispettivo del godimento del bene.
Il nono motivo è, in realtà, un ‘non motivo’, involgendo il profilo della condanna alle spese inflitta alla ricorrente dal giudice di secondo grado, quale statuizione consequenziale al rigetto
dell’appello (statuizione che cadrebbe quale effetto automatico dell’accoglimento di uno dei precedenti motivi, ai sensi dell’art. 366, comma 1, c.p.c.).
Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 5.000,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente , al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18/2/2025.