Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14769 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14769 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15953-2021 proposto da:
COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI in persona del Ministro pro tempore, ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO, SEDE RAGIONE_SOCIALE DI ASTI-ALESSANDRIA (già DIREZIONE RAGIONE_SOCIALE DI ALESSANDRIA), in persona del legale rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE
Oggetto
Sanzioni amministrative
R.G.N. 15953/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 05/03/2025
CC
DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 483/2020 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 09/12/2020 R.G.N. 171/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/03/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
Con ordinanza n. 459/2016 bis, emessa in data 22.9.2016 l’allora Direzione Territoriale del Lavoro di Alessandria (ora Ispettorato Territoriale del Lavoro di Asti-Alessandria) ingiungeva a NOME COGNOME e alla RAGIONE_SOCIALE il pagamento di euro 35.778,00 (oltre alle spese di notifica) per violazioni relative al rapporto di lavoro, instaurato con NOME NOME, ritenuto essere di natura subordinata, per il periodo novembre 2014- maggio 2015, e non occasionale.
Analoga ordinanza-ingiunzione (n. 459/2016) era stata emessa e notificata al solo COGNOME.
Impugnati i provvedimenti, il Tribunale di Alessandria accoglieva parzialmente le opposizioni riducendo l’entità della sanzione dovuta in euro 26.880,00.
Proposto gravame, la Corte di appello di Torino, con la sentenza n. 483/2020, confermava la pronuncia di primo grado.
I giudici di seconde cure rilevavano che: a) NOME NOME aveva lavorato per RAGIONE_SOCIALE dall’1.11.2014 fino al 31.5.2015 in ragione di sette contratti di collaborazione coordinata e continuativa (cd. mini.co.co.) tutti di eguale contenuto e di durata mensile; b) i compiti svolti erano quelli di venditore a favore dei prodotti RAGIONE_SOCIALE
presso Unieuro di Serravalle Scrivia ed RAGIONE_SOCIALE di Tortona; c) avendo riguardo alle modalità di svolgimento del rapporto (orario, compenso, presenze, ricezione di ordini e direttive) e alle risultanze istruttorie acquisite, lo stesso andava qualificato come di natura subordinata, dovendosi escludere sia lo schema delle mini co.co.co. sia quello del contratto di agenzia; d) quanto alla maxi-sanzione, andava applicata ratione temporis e stante l’impossibilità di applicare, in materia di illeciti amministrativi, la legge retroattiva più favorevole, l’art. 3 co. 3 D.l. n. 12/2002 e succ. modificazioni; e) era ravvisabile una condotta dolosa di parte datoriale volta a dissimulare il rapporto di lavoro di natura subordinata.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE ricorrevano per cassazione affidato a cinque motivi.
Il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali nonché l’Ispettorato Nazionale del Lavoro Sede Territoriale di Asti -Alessandria (già Direzione Territoriale di Alessandria) resistevano con un unico controricorso.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si eccepisce la nullità della sentenza per omessa pronuncia in relazione ai motivi di appello sull’applicazione della maxi -sanzione e alla richiesta di ammissione documentale ex artt. 421 e 437 cpc; si deduce che la Corte territoriale aveva omesso di pronunciarsi sulla richiesta di ammissione del libro giornale prodotto in appello (da cui risultava la registrazione della collaborazione ancor
prima dell’accesso ispettivo) e della prova documentale circa il fatto che non sussisteva alcuna volontà di occultare il rapporto stesso.
Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione all’art. 3, commi 3 e 4, D.l. n. 12/2002 (cd. maxi-sanzione), con riguardo all’indagine condotta dalla Corte territoriale sulla condotta dolosa del datore di lavoro.
Con il terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 3, commi 3 e 4, D.l. n. 12/2002 (cd. maxi -sanzione), per avere la Corte territoriale ritenuto elemento idoneo a dimostrare la volontà di occultare il rapporto di lavoro la mancanza di documentazione da gennaio a maggio 2015 mentre, invece, era stata rinvenuta idonea documentazione per il periodo novembre -dicembre 2014, così erroneamente valorizzando un solo dato ai fini della sussistenza dei requisiti di precisazione, gravità e concordanza per inferire un fatto noto da quello ignoto.
Con il quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 3 e 4, D.l. n. 12/2002 (cd. maxi-sanzione) in relazione alle disposizioni contenute nel Decreto del Ministero del Lavoro 15.1.2014 (Codice di Comportamento ad uso degli I spettori del lavoro), all’art. 3 del D.l. n. 463/1983, agli artt. 7 e 13 D.lgs. n. 124/2004, agli artt. 1175 e 1375 cc e all’art. 97 Cost., per avere la Corte territoriale ritenuto legittimo l’operato degli Ispettori dell’allora Direzione Territoriale del Lavoro che, non improntando la loro condotta alla ‘collaborazione reciproca’, non hanno rilevato, attraverso un esame della documentazione contabile obbligatoria, la prova che non
sussisteva alcuna volontà di occultare il rapporto di lavoro del Cacciatore.
Con il quinto motivo si obietta la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 co. 3, 3 quinquies e 4 D.l. n. 12/2002 (cd. maxi-sanzione), in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU sul quantum della sanzione, per non avere la Corte di appello valutato se la sanzi one di cui all’art. 3 D.l. n. 12/2002, rispetto alla modifica di cui all’art. 22 co. 1 D.lgs. n. 151/2015, avesse natura sostanzialmente penale, alla luce dei criteri di cui alla sentenza ‘Engel’, con conseguente applicazione del principio di retroattività della norma più favorevole.
I primi quattro motivi, che per la loro interferenza riferendosi tutti alle questioni sulla condotta dolosa e sulla volontà di occultare il rapporto di natura subordinatapossono essere trattati congiuntamente, presentano profili di inammissibilità e di infondatezza.
Invero, le censure al di là delle denunciate violazioni di legge, tendono ad una inammissibile rivalutazione delle prove e ad una diversa ricostruzione della vicenda, che sono attività non consentite in sede di legittimità.
Preliminarmente va ribadito che l’omesso esame di una questione puramente processuale non integra il vizio di omessa pronuncia, configurabile soltanto nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito (Cass. n. 26913/2024): quindi, tale vizio non è invocabile in relazione alla richiesta di ammissione documentazione in grado di appello.
Inoltre, è un principio ormai consolidato quello secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera
vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547/2017; Cass. n. 29404/2017).
Va, poi, precisato, in relazione alle altre denunciate violazioni di legge, che non sussiste la denunciata violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc e 118 disp. att. cpc perché, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dalle suddette disposizioni è rilevabile quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto alla formazione del proprio convincimento, senza alcuna esplicitazione né disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 25866/2010).
Analogamente, il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ricorre solo quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il
compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (cfr. Cass. n. 6758/2022).
Nella fattispecie, la Corte territoriale, con un accertamento in fatto, argomentato con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 132 co. 2 n. 4 cpc e 360 co. 1 n. 5 cpc come sopra delineati, ritenuta ab initio la sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata (non oggetto in questa sede di specifica impugnazione), ha rilevato, in primo luogo, che i documenti fiscali prodotti dagli opponenti, in quanto formati in epoca successiva all’accertamento ispettivo, non smentivano la circostanza della soggezione del Cacciatore ad una condizione di ‘eterodirezione’ nell’ambito della Società di cui era dipendente e, dall’altro, che non si trattava di un erroneo inquadramento contrattuale (che potesse giustificare la mancanza della volontà di occultare un rapporto di lavoro subordinato) perché, oltre ad essere stata accertata tale effettiva natura sin dall’1.11.2014 (data di inizio del rapporto), per il successivo periodo dal 2015 si desumeva anche la mancanza di idonea documentazione fiscale ovvero l’ademp imento fiscale connesso al rapporto di lavoro formalmente instaurato tra le parti (per un numero di giornate pari a 124).
I giudici del merito, pertanto, non si sono basati solo su un elemento presuntivo ma hanno svolto un accurato esame di tutte le risultanze istruttorie relative a tutto il periodo lavorativo, onde pervenire alla conclusione che la condotta datoriale era stata caratterizzata da dolo e dalla volontà di occultare un rapporto originariamente sorto come subordinato.
Tale statuizione, logicamente e congruamente motivata, è esente dai vizi di violazione di legge denunciati e,
concernendo un accertamento di merito, è insindacabile in questa sede.
Il quinto motivo deve, invece, essere accolto.
La Corte territoriale ha escluso l’applicabilità dell’art. 22 co. 1 del d.lgs. n. 151/2015 (entrato in vigore dal 24 settembre 2015) quale norma posteriore più favorevole all’autore della commessa violazione amministrativa, perché il principio della applicazione retroattiva della norma più favorevole non era applicabile in materia di illecito amministrativo, come invece accade in materia penale, sempre che l’art. 3 co. 3 D.l. n. 12/2002 e succ. mod. (cd. maxi-sanzione) rivestisse tale natura.
L’assunto non è in linea con i precedenti di questa Corte, in particolare con la sentenza n. 13071/2024, ove si è precisato che il problema se sanzioni formalmente amministrative possano essere considerate sostanzialmente penali, deve essere risolto sia alla stregua della Convenzione EDU, secondo i criteri tracciati nella sentenza della Corte EDU 8 giugno 1976, Engel, sia alla stregua del diritto UE (CGUE 5 giugno 2012, in causa C-489/10, Bonda, 37).
A tale riguardo è stata individuata la pertinenza di tre criteri, consistenti il primo nella qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, il secondo nella natura dell’illecito, e il terzo nella natura e nel grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere (v., in particolare, CEDU, sentenze Engel e altri c. Paesi Bassi dell’8 giugno 1976, §§ 80-82, nonché Zolotoukhine c. Russia del 10 febbraio 2009, §§ 52 e 53).
La Corte di appello non ha svolto, seppure sollecitata, tale specifica valutazione.
Nella stessa pronuncia di legittimità citata, poi, proprio con specifico riguardo all’art. 3 co. 3 del D.l. n. 12/2002, conv. in legge n. 73/2002, questa Corte ha già precisato la natura sostanzialmente penale della suddetta disposizione e, comunque, la sua natura elevatamente afflittiva, nei termini definiti dalla giurisprudenza della Corte europea di Giustizia (che richiama la giurisprudenza della Corte EDU) e dai principi espressi dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 63/2019, ritenendo, quindi, in assenza di una norma transitoria, in questa fattispecie progressiva normativa, l’applicabilità del principio della retroattività delle modifiche in mitius delle sanzioni punitive, a differenza di quanto opinato dalla Corte distrettuale.
Alla stregua di quanto esposto, i primi quattro motivi devono essere rigettati, mentre va accolto il quinto.
La gravata sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame tenendo conto dei citati principi di diritto in ordine alla applicabilit à della legge più favorevole all’autore della violazione in materia di art. 3 co. 3 D.l. n. 12/2012, conv. in legge n. 73/2002, ai fini di determinare la sanzione applicabile e provvederà, altresì, alle statuizioni sulle spese anche del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte accoglie il quinto motivo, rigettati i primi quattro; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla
Corte di appello di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 marzo 2025