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Marchio di posizione: quando è valido e non c’è confusione

Una nota casa di moda italiana ha citato in giudizio un’altra grande azienda di abbigliamento per contraffazione di marchio, sostenendo che l’etichetta del concorrente sui jeans fosse confondibile con il proprio ‘marchio di posizione’ registrato (una striscia di tessuto diagonale sulla quinta tasca). La Corte di Cassazione, confermando le decisioni precedenti, ha respinto l’accusa di contraffazione. Ha stabilito che, nonostante le somiglianze, differenze significative (come l’orientamento diagonale contro quello orizzontale e la presenza del nome del marchio del concorrente) e il contesto di vendita di beni di lusso eliminavano qualsiasi rischio reale di confusione per i consumatori. La Corte ha anche confermato la validità del marchio di posizione originale, riconoscendone la distintività intrinseca.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

Marchio di Posizione: la Cassazione esclude la contraffazione

L’ordinanza in esame affronta una questione centrale nel diritto dei marchi: la tutela del marchio di posizione e i criteri per valutare il rischio di confusione tra segni simili. Una nota casa di moda italiana, titolare di un marchio consistente in un’etichetta trasversale sulla quinta tasca dei jeans, ha agito contro un competitor internazionale per contraffazione e concorrenza sleale. La Corte di Cassazione, con una decisione ben articolata, ha respinto le doglianze, fornendo importanti chiarimenti sulla distintività intrinseca di tali segni e sulla valutazione complessiva del rischio di confusione nel settore dell’alta moda.

I Fatti del Caso: L’etichetta sulla quinta tasca

Una celebre azienda italiana, nota per i suoi capi in denim, aveva registrato come marchio una striscia di tessuto rettangolare, non in denim e di colore più chiaro, posizionata in diagonale sulla quinta tasca anteriore dei suoi jeans. Successivamente, l’azienda scopriva che un famoso brand concorrente aveva iniziato a commercializzare jeans con un’etichetta simile per forma e posizionamento. Di conseguenza, avviava un’azione legale chiedendo l’accertamento della contraffazione, l’inibitoria, il risarcimento dei danni e altre misure a tutela del proprio segno distintivo. In tutti i gradi di giudizio, sia il Tribunale che la Corte di Appello avevano respinto le domande principali e quelle riconvenzionali, che miravano a far dichiarare nullo il marchio per assenza di carattere distintivo.

La Decisione della Cassazione sul marchio di posizione

La Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei giudici di merito, rigettando il ricorso principale dell’azienda italiana e dichiarando inammissibili i ricorsi incidentali. La Corte ha stabilito due principi fondamentali:

1. Validità del Marchio: Il segno distintivo, pur essendo un dettaglio del prodotto, possiede un carattere distintivo intrinseco. La sua posizione specifica e, soprattutto, la sua inclinazione diagonale, divergente dalle consuetudini del settore, lo rendono idoneo a creare un collegamento immediato nella mente del consumatore con l’origine imprenditoriale del prodotto.
2. Assenza di Contraffazione: Non sussiste un rischio di confusione per il pubblico. La valutazione, condotta in modo globale e non analitico, ha evidenziato differenze significative tra i due segni che prevalgono sulle somiglianze.

Analisi della validità del marchio di posizione

La Corte ha innanzitutto affrontato l’argomento del convenuto, secondo cui il marchio sarebbe stato nullo per mancanza di distintività. I giudici hanno respinto questa tesi, affermando che l’apposizione costante di una striscia di tessuto con le stesse caratteristiche (forma, posizione, orientamento diagonale) su un numero indeterminato di capi la rende percepibile come marchio e non come mero ornamento. L’elemento della ‘diagonalità’ è stato ritenuto ‘inusuale’ ed ‘eccentrico’ rispetto alle abitudini del settore, e quindi pienamente capace di assolvere alla funzione distintiva.

La valutazione sul rischio di confusione del marchio di posizione

Il cuore della decisione riguarda l’assenza di confondibilità. La Corte di Appello, con un ragionamento approvato dalla Cassazione, ha basato la sua analisi su una serie di elementi concreti:
Impatto Visivo: L’elemento dominante e di maggiore impatto del marchio originale è la sua diagonalità, caratteristica del tutto assente nel segno del concorrente, che era posizionato parallelamente al bordo della tasca.
Dettagli Differenzianti: Altre differenze includevano la posizione più bassa dell’etichetta originale (a metà tasca contro quella del concorrente, posta subito sotto il bordo), l’assenza di rivetti e, soprattutto, la costante presenza del marchio denominativo del concorrente sulla propria etichetta.
Contesto di Vendita e Tipologia di Pubblico: Trattandosi di capi di abbigliamento di alta gamma, venduti in negozi dedicati o aree specializzate con personale di vendita, il consumatore è tipicamente più attento e qualificato. Questo riduce drasticamente la possibilità di confusione tra una marca e l’altra.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione richiamando la consolidata giurisprudenza, sia nazionale che europea, secondo cui il giudizio sulla confondibilità deve essere ‘globale e sintetico’. Non ci si può soffermare sui singoli elementi, ma bisogna valutare l’impressione d’insieme che i segni lasciano nella memoria del consumatore medio. In questo quadro, l’elemento diagonale del marchio dell’attore è stato considerato dominante e distintivo. La sua assenza nel segno del convenuto, unita ad altre differenze e alla presenza esplicita del nome del brand concorrente, è stata sufficiente a escludere che un consumatore, anche mediamente attento, potesse essere indotto in errore sull’origine dei prodotti. La Corte ha inoltre ritenuto irrilevanti le argomentazioni sulla presunta perdita di ‘diagonalità’ quando i pantaloni sono indossati, bollandole come accertamenti di fatto non sindacabili in sede di legittimità. Infine, sono stati respinti anche i motivi relativi al marchio di rinomanza (per carenza di prova) e alla concorrenza sleale (per genericità, non essendo state allegate condotte ulteriori e diverse dalla presunta contraffazione).

Conclusioni

Questa ordinanza offre spunti preziosi per le aziende che investono in segni distintivi non convenzionali come il marchio di posizione. La sentenza riafferma che anche un semplice dettaglio, se posizionato in modo costante e originale, può acquisire piena validità come marchio. Tuttavia, ai fini della contraffazione, il giudizio non si ferma alla mera somiglianza. È necessario un esame complessivo che tenga conto di tutte le differenze, del contesto di mercato e del livello di attenzione del consumatore di riferimento. Per i prodotti di alta gamma, dove il consumatore è più informato e il marchio denominativo gioca un ruolo cruciale, la soglia per dimostrare un effettivo rischio di confusione si alza notevolmente.

Un’etichetta posizionata sempre nello stesso punto di un prodotto può essere un marchio valido?
Sì. Secondo la Corte, l’apposizione costante di un segno con una forma e una posizione specifica su un numero indeterminato di capi lo rende percepibile come marchio. Se tale posizionamento è anche inusuale per il settore (come un’inclinazione diagonale), acquisisce un carattere distintivo intrinseco idoneo a collegare il prodotto alla sua origine aziendale.

Quando due marchi simili su prodotti identici non creano rischio di confusione per il consumatore?
Non vi è rischio di confusione quando, nonostante le somiglianze, esistono differenze significative nell’impressione d’insieme. Nel caso specifico, l’assenza dell’elemento visivo dominante (la diagonalità), la presenza costante del marchio denominativo del concorrente sulla sua etichetta e il contesto di vendita (prodotti di alta gamma per un pubblico attento) sono stati elementi sufficienti per escludere la confondibilità.

Perché la Corte di Cassazione ha respinto la richiesta di tutela per concorrenza sleale?
La Corte ha ritenuto il motivo di ricorso inammissibile perché troppo generico. L’azienda ricorrente non ha specificato quali fossero le condotte di concorrenza sleale diverse e ulteriori rispetto alla presunta contraffazione del marchio. La domanda appariva ‘sovrapponibile’ a quella di contraffazione, senza aggiungere elementi di disvalore autonomi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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