SENTENZA TRIBUNALE DI VENEZIA N. 4376 2025 – N. R.G. 00003801 2021 DEPOSITO MINUTA 19 09 2025 PUBBLICAZIONE 19 09 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI VENEZIA
Sezione specializzata in materia di impresa nelle persone dei seguenti magistrati:
dott.ssa NOME COGNOME Presidente, relatore, estensore
dott.ssa NOME COGNOME
dott.ssa NOME COGNOME
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nel procedimento civile di primo grado iscritto al n. 3801/2021 R.G. promosso da:
in persona del legale rappresentante p.t, rappresentato e difeso in giudizio dall’avv. NOME COGNOME e domicilio eletto presso il suo studio in Brugnera (PN), INDIRIZZO giusta procura in calce all’atto di citazione
– attore – contro
in persona del legale rappresentante p.t, rappresentata e difesa dall’avv. COGNOME COGNOME giusta procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta
– convenuto – avente per oggetto: contraffazione marchio, concorrenza sleale e risarcimento dei danni
CONCLUSIONI
Parte attrice così conclude come da foglio telematico di precisazione delle conclusioni:
‘ nel merito: in accoglimento della domanda, accertare che la convenuta non ha diritto di usare la ditta ‘ ‘ per violazione del disposto dell’art. 2564 c.c., stante la precedente iscrizione al registro imprese effettuata dall’attrice, nonché il marchio registrato ‘ ‘, in quanto precedentemente usato da nell’ambito delle province di Pordenone, Treviso e Venezia; conseguentemente, condannare la convenuta a non fare più uso di tale marchio e ad assumere immediatamente una denominazione che non possa recare confusione rispetto alla ditta e al marchio di nonché al risarcimento dei danni per atti di concorrenza sleale posti in essere, che si quantificano nella misura di € 20.000,00, oppure di quella minore che si riterrà di giustizia, maggiorata degli interessi legali dalla domanda al saldo.
Vittoria delle spese di lite.
In via istruttoria: richiamata la produzione documentale, al solo fine di evitare qualunque decadenza, si insiste nella richiesta di ammissione dei capitoli che non sono stati ammessi dal G.I. con ordinanza 23.05.2022, che sono i seguenti:
‘vero che, nel periodo successivo alle contestazioni per l’uso di un marchio identico effettuate per il tramite dell’avv. COGNOME, la convenuta propose di fare una modifica alla propria denominazione, senza che sia mai intervenuto un accordo in ordine a tale variazione’;
‘vero che le fotografie allegate sub 10 sono state scattate in data 20.11.2020 dal sig. nel territorio del Comune di Conegliano’;
‘vero che i fornitori principali di cui si avvale , RAGIONE_SOCIALE, San Giacomo, Falomo, RAGIONE_SOCIALE – sono gli stessi già da prima commercializzati da ;
‘vero che i nominativi di cui all’elenco allegato sub. 16 alla presente memoria, che si rammostra al teste, hanno effettuato acquisti di mobili d’arredamento presso ; 8) ‘vero che il teste conosce il marchio e la ragione sociale di avendo visto le campagne pubblicitarie a mezzo stampa e radiofoniche effettuate dall’azienda nella propria provincia di residenza ed avendo conseguentemente effettuato acquisti presso la sede di Ghirano di Prata di Pordenone’;
Con i testi già indicati:
TABLE
Ferma l’opposizione nei confronti delle prove testimoniali dedotte da controparte, gli stessi testi, per scrupolo defensionale, vengono nuovamente indicati anche a prova contraria sui capitoli avversari, allo stato non ammessi, nella denegata ipotesi dovessero trovare ingresso a seguito di una rivalutazione del provvedimento di rigetto adottato in corso di causa’ .
Parte convenuta così conclude come da foglio telematico di precisazione delle conclusioni:
‘ Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria domanda e/o istanza disattesa:
-in via preliminare: dichiarare l’inammissibilità della nuova domanda di formulata (per la prima volta) nella prima memoria ex art. 183, co. 6, c.p.c., di data 20.10.2021, ed avente ad oggetto la richiesta di accertare che la convenuta non avrebbe diritto di usare la ditta ‘abita’ per violazione del disposto dell’art. 2564 c.c.;
nel merito: rigettare tutte le domande proposte da (ivi comprese quelle nuove formulate in prima memoria ex art. 183, co. 6, c.p.c., di data 20.10.2021) poiché infondate in fatto e in diritto, per le ragioni esposte in atti;
in ogni caso: rigettare la domanda proposta da avente ad oggetto la ri-chiesta di condanna al risarcimento dei danni da concorrenza sleale, poiché infondata in fatto ed in diritto per le ragioni esposte in atti.
In subordine ridurre la quantificazione al minimo di legge, in virtù del comportamento complessivamente tenuto dalle parti;
sempre in ogni caso: con vittoria di spese e competenze di lite.
in via istruttoria: si insiste affinché venga ammessa e assunta la prova per testi richiesta nella memoria ex art. 183, co. 6, n. 2, c.p.c., sui seguenti capitoli.
1) vero che nei primi mesi del 2018 e
si erano accordate affinché quest’ultima modificasse la propria denominazione sociale in e, contestualmente, avrebbe rinunciato a promuovere azione giudiziale nei confronti della prima;
vero che la sig.ra , la quale nei primi mesi del 2018 rivestiva la carica di legale rappresentante di (oggi , aveva espressamente specificato ad che avrebbe acconsentito a modificare la denominazione della società da lei rappresentata a mero titolo di cortesia, e al solo fine di evitare un contenzioso giudiziario;
dica il teste se il sig. nel dicembre 2016 e negli anni precedenti, aveva mai intrattenuto rapporti commerciali con la società di Villanova di Prata di Pordenone;
vero che il sig. ha lavorato presso la di Scorzé sino al settembre 2016 (a seguito di dimissioni da egli presentata sub doc. 25 che si ram-mostra) e che le sue mansioni in consistevano nel curare esclusiva-mente la progettazione delle esposizioni delle cucine presso le fiere (o presso altre sedi espositive), e gli era impedita ogni conoscenza e/o accesso ai dati commerciali della datrice di lavoro, nonché ai rapporti intrattenuti da quest’ultima con i clienti;
vero che le foto dimesse sub doc. 20 (che si rammostra) illustrano l’inaugurazione della sede di sita in Treviso, INDIRIZZO e sono state scattate in data 3 dicembre 2016.
Si indicano a testi su tutti i capitoli i sigg.
e (sui soli capp. 3-4)
*
Il Tribunale
Udita la relazione della causa fatta dal Giudice Istruttore Dott.ssa. NOME COGNOME udita la lettura delle conclusioni assunte dai Procuratori delle parti, esaminati gli atti e i documenti di causa,
‘
ha ritenuto:
MOTIVAZIONE
società che opera dal 1968 nel settore dei mobili per arredamento, ha citato in giudizio esponendo di aver da sempre utilizzato il marchio ossia dalla fine degli anni Sessanta e che la propria operatività è estesa, oltre che alla provincia di Pordenone, anche alle province limitrofe di Venezia e Treviso.
Tale marchio era stato pubblicizzato negli anni anche nelle province contigue di Venezia e Treviso tramite slogan radiofonici,
Dava atto di aver provveduto nel 2017 alla registrazione del proprio marchio nell’uso sempre accompagnato dalla parola .
In data 3.10.2016 veniva iscritta al Registro Imprese odierna convenuta.
La scelta di tale denominazione non sarebbe stata casuale in quanto il sig. , componente del Cda lavorava presso la RAGIONE_SOCIALE, produttore di cui l’attrice è la principale rivenditrice in Friuli Venezia Giulia e Veneto orientale.
A seguito di corrispondenza intervenuta tra le parti e al fine di evitare la confusione che si era venuta a creare sul mercato, la convenuta assunse la denominazione di mentre nella pec continuava ad essere utilizzata la dicitura
Parte attrice, ritenendo che il nucleo fondamentale del proprio marchio sia costituito dalla parola RAGIONE_SOCIALE, avendo la parola RAGIONE_SOCIALE una valenza meramente descrittiva, riferiva che la modifica della denominazione sociale della convenuta non si era rivelata idonea ad evitare la confusione.
Concludeva chiedendo la condanna della convenuta alla modificazione della propria denominazione, l’inibitoria all’uso del marchio e la condanna al risarcimento dei danni.
Si costituiva esponendo che all’atto della costituzione nel 2016 essa aveva adottato la denominazione sociale diversa da quella di parte attrice e che essa operava in un diverso ambito territoriale.
Dopo la registrazione del marchio avversario avvenuta nel 2017, di tipo figurativo e non denominativo dichiarava di aver ricevuto una diffida, con richiesta di modifica della propria denominazione in e di avervi provveduto, così come di aver provveduto ad ottemperare al contenuto di una seconda diffida, eliminando i riferimenti alla precedente denominazione ancora esistenti in Internet.
Resisteva, invece, alle pretese dell’odierno giudizio, anticipate da una diffida.
Evidenziava che il marchio avversario era stato registrato come marchio figurativo e che pertanto parte attrice non poteva inibire l’utilizzo generico del solo segno abita, ma solo di abita se scritto in caratteri minuscoli a corpo pieno e in colore celeste.
Evidenziava trattarsi di marchio debole e che la convenuta, oltre ad impiegare un font diverso, affiancava alla parola abita il termine arreda e ciò valeva ad escludere la confondibilità tra i due segni.
Inoltre, rappresentava che la registrazione della propria denominazione sociale risaliva al 2016, mentre la registrazione del marchio avversario al 2017 e che incombeva sul preutente la prova dell’uso e della notorietà acquisita dal proprio marchio di fatto.
Negava di aver commesso atti di concorrenza sleale e deduceva che parte attrice non aveva fornito alcun elemento a sostegno della propria domanda di risarcimento danni.
Concludeva per il rigetto delle domande avversarie.
Nella propria prima memoria, l’attrice, ad integrazione delle domande già formulata, faceva valere l’illegittimità della ditta avversaria per contrarietà al disposto di cui all’art. 2564 cc, in quanto per settore merceologico e ubicazione era confondibile con quella di parte attrice e ne chiedeva la modifica.
Parte convenuta eccepiva l’inammissibilità della domanda avversaria formulata in prima memoria perché del tutto nuova.
Al fine di decidere la suddetta eccezione, occorre verificare se la domanda relativa all’asserita illegittimità della ditta e alla domanda di modifica della stessa possa considerarsi effettivamente nuova, in termini di vera e propria mutatio libelli, ovvero possa considerarsi una mera emendatio.
Sul punto non può che aderirsi agli insegnamenti della Suprema Corte che, con due successive pronunce a Sezioni Unite, ha chiarito l’ambito della mutatio e della mera emendatio (Cass. Sez Un. n. 22404/2018 e Cass. Sez. Un. n. 12310/2015). In sostanza la Corte di Cassazione ha affermato che la vera differenza tra le domande nuove e le domande modificate non sta nel fatto che in queste ultime le modifiche non possono incidere sugli elementi identificativi, bensì nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate nuove nel senso di ulteriori o aggiunte, trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali o, se si vuole, di domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono rispetto a queste in un rapporto di alternatività o incompatibilità. Così si rimarca che, con la modificazione della domanda iniziale, l’attore, implicitamente rinunciando alla precedente pretesa, mostra chiaramente di ritenere la domanda come modificata più rispondente ai propri interessi e desiderata rispetto alla vicenda sostanziale ed esistenziale dedotta in giudizio.
La giurisprudenza di legittimità già richiamata previene a ritenere che la modifica della domanda iniziale può riguardare anche gli elementi identificativi oggettivi della stessa, a condizione che essa riguardi la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo o comunque sia a questa collegata in termini di alternatività o incompatibilità, in modo da non compromettere le potenzialità difensive di controparte e non essere in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo. In sostanza, vi è mera emendatio quando la domanda, pur modificata anche sotto il profilo del petitum, riguardi la medesima vicenda sostanziale dedotta in lite.
Nel caso di specie, fin dall’atto di citazione parte attrice lamentava che la convenuta avesse assunto la stessa denominazione adottata dall’attrice quasi 50 anni prima per operare nello stesso settore merceologico e in territori contigui, determinando un’evidente confusione tra le due ditte.
Il richiamo all’art. 2564 cc costituisce una mera specificazione in punto di diritto, mentre già dall’atto di citazione contestava la denominazione assunta da parte attrice.
In plurimi arresti, la SRAGIONE_SOCIALE. ha sistematicamente affermato che ‘Il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto a uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti, ma deve aver riguardo al contenuto della pretesa fatta valere in giudizio e può considerare, come implicita, un’istanza non espressa ma connessa al “petitum” e alla “causa petendi’ (tra le più recenti, Cass. civ. ord. n. 7322 del 2019).
Pertanto, parte attrice non ha proposto nella prima memoria alcuna domanda nuova.
La causa veniva istruita a mezzo dell’assunzione di testi.
Le domande di parte attrice sono infondate per i motivi che si espongono.
Nel valutare la domanda di contraffazione tra i due marchi, deve considerarsi, in primo luogo, la distintività del marchio azionato: la tutela sarà infatti tanto più ampia quanto maggiore sarà la capacità distintiva del marchio contraffatto.
Deve poi esaminarsi la somiglianza tra segni, che presuppone l’esame degli elementi dominanti del marchio contraffatto e dei caratteri di differenziazione tra segni, tenendo conto dell’esame visivo, fonetico, concettuale, ed altresì verificare se, in caso di segni simili, sussista rischio di confusione.
Segnatamente, secondo la costante giurisprudenza pronunciatasi in materia, sia in ambito nazionale che comunitario, ‘l’accertamento circa la confondibilità tra marchi in conflitto deve compiersi in via globale e sintetica, avendo riguardo all’insieme dei loro elementi salienti grafici, visivi e fonetici, nonché di quelli concettuali o semantici, ove esistenti’ (Cass., 28 luglio 2015, n. 15840; Cass., 28 gennaio 2010, n. 1906;Cass., 28 ottobre 2005, n. 21086; in ambito comunitario, Corte giustizia Unione europea, 8 maggio2014, n. 591/12 P., Bimbo nonché 30 gennaio 2014, n. 422/12 P., ).
Il giudizio di confondibilità deve poi essere necessariamente considerare l’identità o affinità tra prodotti o servizi.
Ciò che rileva, infatti, nell’ambito della valutazione globale in punto contraffazione, è l’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti contrassegnati: la confondibilità consiste nella possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente legate tra loro, onde è sufficiente che il grado di somiglianza tra questi marchi abbia l’effetto di indurre il pubblico di riferimento a stabilire un nesso tra di essi, non necessariamente a credere si tratti dello stesso produttore (sul punto, Cass. 13 febbraio 2009, n. 3639, Trib. Unione europea 21 ottobre 2015, n. T-664-13, RAGIONE_SOCIALE; 10 settembre 2008, Boston Scientific, T325/06; 9 luglio 2003, Laboratorios RTB, T-162/01).
La valutazione del rischio di confusione deve fondarsi perciò sull’impressione complessiva prodotta dai marchi in confronto, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti, rilevando la percezione dei segni da parte del consumatore medio, il quale “vede” normalmente il marchio come un tutt’uno e non effettua un esame spezzettato dei singoli elementi. Il Giudice deve inoltre tenere conto che, al momento della scelta, il consumatore medio di una data categoria di prodotti, per quanto sia normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto usualmente non ha di fronte entrambi i segni ma solo uno di essi, onde non confronta due marchi entrambi posti innanzi a sé per svolgerne un compiuto esame visivo, ma paragona solo mentalmente quelle che vede con il ricordo imperfetto e l’immagine mnemonica dell’altro (Corte di giustizia UE, 10 settembre 2008, Capio nonché 11 novembre 1997, C251/95, Sabel).
Nella valutazione del rischio di confusione è poi necessario considerare anche il grado di attenzione del consumatore mediamente avveduto nel settore merceologico di riferimento.
CAPACITA’ DISTINTIVA
Passando dunque alla valutazione sulla distintività, va ricordato che, secondo l’orientamento consolidato di legittimità, ‘ è noto che il marchio deve possedere capacità distintiva, normalmente garantita attraverso un distacco concettuale, più o meno accentuato, fra il segno e il bene (prodotto o servizio) a cui si riferisce, secondo una ideale curva progressiva del parametro della capricciosità e dell’arbitrarietà del collegamento, che va dalla generica denominazione del prodotto o servizio stesso (che possiede un tasso di distintività pari a zero), sino all’assenza assoluta di collegamento logico (distintività massima), attraverso gradini intermedi che declinano in via decrescente l’intensità del collegamento logico fra segno e prodotto o servizio. Se il collegamento logico è intenso, si parla di marchio debole, se il collegamento logico si fa sempre più evanescente, si parla di marchio sempre più forte’ (Cass. Civ. n. 39674/2021).
Si considera marchio ‘debole’ quel segno dotato di attenuata capacità distintiva, solitamente composto da parole del linguaggio comune, che aderisce semanticamente o anche concettualmente al prodotto/servizio contraddistinto; si considera, invece, marchio ‘forte’ quel segno caratterizzato dalla non -aderenza semantica o concettuale al prodotto/servizio contraddistinto al quale è solitamente riconosciuta un’elevata capacità distintiva (tra le più recenti, Cass. civ. 4254 del 2019, 30951 del 2018).
Secondo un ormai consolidato orientamento, la differenza tra i due tipi di marchi si riverbera sulla relativa ampiezza e intensità della tutela: al marchio forte si riconosce una tutela intensa, tanto che saranno considerate illegittime tutte le modificazioni, anche rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale.
Nel caso del marchio debole, invece, anche una piccola modifica del segno può essere considerata tale da fugare il rischio di confusione, con i limiti che saranno infra precisati.
Il carattere distintivo del marchio va valutato non solo con riferimento al momento della registrazione e alle caratteristiche intrinseche dello stesso, ma anche attraverso l’uso che ne è stato fatto ai sensi dell’art. 13 commi 2 e CPI.
Al fine di valutare l’acquisto di carattere distintivo occorre tenere conto di una serie di fattori pertinenti, quali la quota di mercato detenuta dal marchio, l’intensità ed estensione geografica e la durata del suo uso, nonchè l’entità degli investimenti realizzati per promuoverlo.
Tanto premesso, il marchio registrato di parte attrice è costituito dalla parola ‘abita in caratteri minuscoli di fantasia, a corpo pieno di colore celeste intenso e con filetti di colore bianco in corrispondenza dei profili per evidenziarne la tridimensionalità’.
Il cuore del marchio è indubbiamente costituito dalla parola abita.
Il marchio in esame rappresenta un marchio debole, in quanto utilizzato per identificare i prodotti destinati ad arredo delle case di abitazione; ed invero il marchio abita utilizzato da un’impresa che opera nel settore dell’arredamento richiama la destinazione del prodotto finale.
Si tratta di segno analogo a molti altri utilizzati su vasta scala nel settore considerato, come si evince dai docc. 15 e 23 di parte attrice.
Inoltre, dalle testimonianze acquisite risulta che solo in passato la società attrice aveva promosso delle campagne pubblicitarie; la teste ha dichiarato che faceva volantinaggio negli anni Settanta e faceva molti annunci. Anche la teste ha dichiarato di aver fatto volantinaggio e che l’azienda si serviva molto del passaparola.
Non risulta alcuna prova che il marchio RAGIONE_SOCIALE abbia acquisito una maggior capacità distintiva negli anni.
Da ciò discende che anche lievi modificazioni o aggiunte sono sufficienti ad escluderne la confondibilità.
Passando alla comparazione dei due segni, dai documenti prodotto in causa emerge che il segno utilizzato dalla convenuta, usato sia come marchio, sia come insegna è connotato da un diverso font rispetto al marchio attoreo, riporta la scritta in bianco su sfondo nero, la parola RAGIONE_SOCIALE in caratteri preminenti, sotto la quale trova posto in piccolo la parola RAGIONE_SOCIALE.
Dal punto di vista grafico, il marchio della convenuta, pur caratterizzata dall’utilizzo della parola RAGIONE_SOCIALE, se ne distingua sufficientemente, non solo per l’utilizzo dell’ulteriore parola RAGIONE_SOCIALE, ma anche per lo sfondo nero e le parole in bianco aventi misure tra loro diverse e il tipo di font proposto. Le differenze di font, colori e parole rendono marcatamente visibile nella veste grafica la differenza con il segno abita di parte attrice, caratterizzato da lettere bombate e tondeggianti colorate di blu, filettate di bianco per esaltarne la tridimensionalità e ne escludono la confondibilità.
Sussistano sufficienti differenze tra i segni a confronto anche dal punto di vista concettuale: ed invero, pur richiamando entrambi il concetto di abitare, il segno della convenuta contiene anche la parola arreda, che richiama indubbiamente il settore merceologico di riferimento e che tuttavia l’accostamento della parola arreda alla parola abita assume il carattere di esortazione nei confronti del potenziale cliente ad abitare e ad arredare, mentre nel segno registrato, accompagnato spesso nell’uso dal sostantivo arredamenti prevale il riferimento al settore merceologico senza ulteriori significati.
Infine, con riferimento al profilo fonetico la parola abita presente in entrambi i marchi è pronunciata allo stesso modo, così come sussistono somiglianze tra le parole arreda e arredamenti.
In relazione alla tipologia di prodotti sui quali il marchio è apposto e considerata la natura debole del marchio azionato, l’aspetto fonetico è subvalente rispetto a quello concettuale e soprattutto grafico, con conseguente non confondibilità tra i segni in comparazione.
La domanda di contraffazione del marchio attoreo deve pertanto essere rigettata con assorbimento delle altre statuizioni accessorie, quali inibitoria e risarcimento del danno.
Passando all’esame delle due denominazioni sociali, la denominazione di parte attrice è costituita dalla sola parola di uso comune abita, sulla quale l’attore non può avere l’esclusiva nel settore degli arredi, mentre l’aggiunta alla parola abita della parola arreda, peraltro sulla base di intese raggiunte in passato tra le odierne parti, consente di escludere il rischio di confondibilità, operando le due società in province contigue ma distinte.
Non è pertanto configurabile alcuna violazione del disposto di cui all’art. 2564 cc da parte dell’attore.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Venezia, definitivamente decidendo nella causa promossa da nei confronti di ed iscritta al n. 3801/21 R.G., ogni diversa eccezione, domanda ed istanza disattesa:
Rigetta le domande di parte attrice;
-condanna l’attore al pagamento, in favore di parte convenuta, delle spese del presente giudizio, che liquida in € 6.500,00 per compenso, oltre spese generali, Cpa ed Iva, se dovuta, come per legge.
Così deciso in Venezia nella Camera di Consiglio in data 14 maggio 2025
Il Presidente est. dott.ssa NOME COGNOME