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Marchio debole: quando basta poco per differenziarsi

Un’azienda nel settore dell’arredamento ha citato in giudizio un concorrente per l’utilizzo di un nome simile contenente la parola “abita”. Il Tribunale di Venezia ha respinto la domanda, classificando il marchio dell’attore come “marchio debole” poiché il termine è descrittivo della funzione del prodotto. Il giudice ha stabilito che, per un marchio debole, anche lievi variazioni grafiche e concettuali, come l’aggiunta della parola “arreda” e l’uso di colori e font diversi, sono sufficienti a escludere il rischio di confusione e, di conseguenza, la contraffazione del marchio.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Civile, Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

Marchio Debole: Perché una Parola può Fare la Differenza

Nel complesso mondo della proprietà intellettuale, non tutti i marchi nascono uguali. Esistono marchi “forti”, creati con parole di fantasia che acquisiscono un’identità unica, e marchi “deboli”, che utilizzano termini comuni o descrittivi. Una recente sentenza del Tribunale di Venezia ha chiarito come la tutela di un marchio debole sia meno estesa e come piccole differenze possano essere sufficienti a scongiurare accuse di contraffazione e concorrenza sleale. Questo caso offre spunti fondamentali per le imprese che operano in settori competitivi.

Il Contesto: Due Aziende di Arredamento a Confronto

La vicenda ha visto contrapposte due società operanti nel settore dei mobili e dell’arredamento. La società attrice, sul mercato da decenni, lamentava che un’azienda concorrente, costituitasi più di recente, avesse adottato una denominazione sociale e un’insegna molto simili alla propria, entrambe incentrate sulla parola “abita”.

L’attrice, titolare di un marchio registrato contenente tale termine, sosteneva che l’uso da parte della convenuta generasse confusione nel pubblico e costituisse un atto di concorrenza sleale, chiedendo l’inibitoria all’uso del nome e un risarcimento danni.

La società convenuta si è difesa sostenendo che il proprio marchio fosse sufficientemente diverso da quello dell’attrice per font, colori e per l’aggiunta della parola “arreda”. Soprattutto, ha fatto leva su un punto cruciale: la natura debole del marchio dell’attrice, poiché la parola “abita” è strettamente collegata al settore merceologico di riferimento, ovvero le abitazioni.

La Decisione del Tribunale e l’analisi del marchio debole

Il Tribunale di Venezia ha respinto integralmente le domande dell’attrice, basando la sua decisione su una meticolosa analisi della capacità distintiva del marchio.

La Distinzione tra Marchio Forte e Marchio Debole

Il giudice ha innanzitutto richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale che distingue tra marchi forti e deboli. Un marchio è “forte” quando utilizza parole di fantasia o arbitrarie, senza alcun legame con il prodotto (es. un nome di fantasia per un’automobile). Questo tipo di marchio gode della massima tutela, e anche piccole variazioni possono essere considerate contraffazione.

Un marchio debole, invece, è composto da parole che descrivono o evocano direttamente la natura, la qualità o la destinazione del prodotto. Proprio perché utilizza termini di uso comune e descrittivi, la sua tutela è più limitata. In questo caso, anche lievi modifiche o aggiunte da parte di un concorrente possono essere sufficienti a escludere il rischio di confusione.

L’Analisi Comparativa dei Segni Distintivi

Applicando questi principi al caso di specie, il Tribunale ha classificato il marchio dell’attrice, basato sulla parola “abita”, come un marchio debole. Il termine richiama in modo diretto la funzione dei prodotti venduti: arredare le case per abitarle.

Di conseguenza, il giudice ha proceduto a una comparazione tra i due segni, concludendo che le differenze erano sufficienti a evitare la confondibilità:

* Aspetto Grafico: Il marchio della convenuta utilizzava un font diverso, colori differenti (bianco su sfondo nero contro blu con filetti bianchi) e un layout distinto, con la parola “Abita” preminente e “Arreda” sottostante in piccolo.
* Aspetto Concettuale: L’aggiunta della parola “arreda” da parte della convenuta creava un messaggio diverso, un’esortazione (“abita e arreda”) che si distingueva dal semplice riferimento al concetto di “abitare” del marchio attoreo.

Secondo il Tribunale, queste differenze, sebbene potessero sembrare lievi, erano adeguate a neutralizzare il rischio di confusione, proprio in considerazione della debolezza del segno originario.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della sentenza si fondano sul principio di bilanciamento degli interessi. Da un lato, la tutela del titolare di un marchio; dall’altro, la libertà di iniziativa economica e la necessità di non monopolizzare termini di uso comune che descrivono un settore merceologico.

Il Tribunale ha ritenuto che la parola “abita” avesse una capacità distintiva attenuata nel settore dell’arredamento. Pertanto, l’attrice non poteva pretendere un’esclusiva assoluta su tale termine. Le modifiche apportate dalla convenuta sono state giudicate sufficienti a creare un’impressione d’insieme diversa nel consumatore medio.

Anche la domanda relativa alla presunta illegittimità della denominazione sociale è stata respinta. Il giudice ha osservato che l’aggiunta della parola “arreda” e il fatto che le due società operassero in province contigue ma distinte erano elementi sufficienti a escludere la confondibilità tra le ditte, in linea con quanto previsto dall’art. 2564 c.c.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

Questa sentenza offre una lezione preziosa per gli imprenditori. La scelta di un marchio è un passo strategico fondamentale. Optare per un marchio debole, sebbene possa essere più facile da associare immediatamente al prodotto, comporta una protezione legale più limitata. I concorrenti potranno più facilmente utilizzare segni simili, purché introducano elementi di differenziazione. Al contrario, un marchio forte e di fantasia, sebbene richieda maggiori investimenti iniziali in marketing per essere conosciuto, garantirà una tutela molto più ampia ed efficace contro i tentativi di imitazione. La decisione sottolinea l’importanza di una consulenza legale specializzata nella fase di creazione e registrazione del proprio marchio per evitare future controversie.

Quando un marchio viene considerato “debole”?
Un marchio è considerato “debole” quando il segno che lo costituisce è concettualmente vicino o descrittivo del prodotto o servizio che identifica. Nel caso esaminato, l’uso della parola “abita” per un’azienda di arredamento è stato ritenuto debole perché evoca direttamente la destinazione d’uso dei mobili.

Quali modifiche sono sufficienti per differenziare un marchio debole da uno simile?
Per un marchio debole, anche modifiche non radicali possono essere sufficienti. La sentenza ha stabilito che l’utilizzo di un carattere tipografico diverso, di colori differenti e l’aggiunta di un’altra parola (in questo caso, “arreda”) sono elementi idonei a escludere il rischio di confusione per il consumatore.

L’uso di una parola simile nella denominazione sociale costituisce sempre concorrenza sleale?
No. Il Tribunale ha chiarito che non si configura una violazione se esistono elementi sufficienti a distinguere le due imprese. In questo caso, l’aggiunta della parola “arreda” alla denominazione sociale della convenuta e il fatto che le due società operassero in province diverse, seppur vicine, sono stati ritenuti adeguati a evitare la confondibilità tra le ditte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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