ORDINANZA TRIBUNALE DI VENEZIA – N. R.G. 00004826 2025 DEPOSITO MINUTA 14 08 2025 PUBBLICAZIONE 18 08 2025
TRIBUNALE ORDINARIO di VENEZIA
Sezione Specializzata in Materia di Imprese e Proprietà Industriale
Il Tribunale, riunito in Camera di Consiglio, composto dai magistrati:
dott.ssa NOME COGNOME Presidente
dott.ssa NOME COGNOME Giudice rel. est.
dott.ssa NOME COGNOME
sul reclamo ex art. 669 terdecies cpc, iscritto al n. 4826/25 R.G., interposto da:
in persona del legale rappresentante pt, e
rappresentati e difesi
dagli avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME e con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in
Venezia-Mestre, INDIRIZZO
reclamanti
nei confronti di
in persona del legale rappresentante p.t., con l’avv. NOME COGNOME
in persona del legale rappresentante pt, rappresentato e difeso dagli avv.
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME del Foro di Milano
-reclamati
avverso l’ordinanza di data 27.1.2025;
Con ricorso depositato in data 6 dicembre 2023, e
hanno adito il Tribunale di Venezia per ottenere contro e
un ordine di inibitoria cautelare, affermando che la commercializzazione
da parte di costoro di portafogli recanti il marchio ‘RAGIONE_SOCIALE
unitamente al logo di due fantini a cavallo con bandiere costituisse contraffazione dei marchi di titolarità di .
United è un’associazione americana, fondata nel 1890, che organizza e regolamenta le gare ufficiali di polo e si occupa anche della promozione del gioco del polo e dei suoi valori.
I diritti di proprietà industriale di (in particolare la figura della coppia di fantini a cavallo che brandiscono la mazza da polo) sono stati conferiti in licenza attraverso una rete che fa capo a .
opera sul territorio italiano ed europeo e si occupa della produzione e commercializzazioni dei prodotti contraddistinti dai marchi
in questione, ossia articoli di abbigliamento e di pelletteria, calzature ed accessori.
I marchi azionati da e contro e sono i seguenti:
-marchio figurativo dell’Unione Europea n. 352245, registrato per le classi 14, 18 e 25, depositato il 2 ottobre 1996 e successivamente rinnovata, in relazione tra gli altri a ‘cuoio e sue imitazioni, articoli in queste materie non compresi in altre classi; pelli di animali; bauli e valigie; ombrelli, ombrelloni’ nella classe 18, e ‘articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria’ nella classe 25
-Marchio figurativo dell’Unione Europea n. NUMERO_DOCUMENTO, depositat o il 5 aprile 2006 e successivamente rinnovato , in relazione tra gli altri a ‘zaini, portadocumenti, portabiglietti da visita, borsette, astucci per chiavi, borsoni, ombrelli, valigeria’ nella classe 18, e ‘jeans per donna, uomo e bambino, polo, t -shirt, pantaloni in tessuto spigato, sparati, pantaloni eleganti, calzature, cappelleria, indumenti esterni, calzini, costumi da bagno, magliette, cravatte, biancheria intima, indumenti da notte’ nella classe 25
-Marchio figurativo dell’Unione Europea n. NUMERO_DOCUMENTO, depositat o il 14 febbraio 2011 e concesso il 18 luglio 2011, sempre per abbigliamento e calzature nella classe 25 e per prodotti di pelletteria nella classe 18
è, a sua volta, titolare dei seguenti marchi:
-marchio figurativo italiano n. 1605318, depositato in data 20/12/2013 e registrato in data 20/08/2014, nella classe 25
-marchio figurativo italiano n. 1668601, depositato in data 29/04/2015 e registrato in data 07/03/2016, nella classe 18
-marchio figurativo dell’Unione Europea n. NUMERO_DOCUMENTO, depositato in data 21/03/2016 e registrato in data 24/03/2020 nella classe 18 e nella classe 25
Le ricorrenti esponevano che un proprio incaricato aveva acquistato on line tramite il sito www.pittarello.com riconducibile a , gestore di una delle principali catene sul territorio italiano di negozi di scarpe e pelletteria, due portafogli recanti sulla parte anteriore una placchetta metallica sagomata con la figura di due cavalieri a galoppo, nonché la scritta ‘ RAGIONE_SOCIALE‘.
I portafogli erano contenuti in una scatoletta recante la scritta ‘POLO’ , sulla quale era apposta l’immagine di due cavalieri, figura rip rodotta sia sulla velina di imballaggio del portafoglio, sia sul cartellino attaccato agli articoli.
Ha agito sia per far valere la contraffazione dei propri marchi, sia per far valere la concorrenza sleale ex art. 2598 nn. 1, 2 e 3 cc.
In relazione alla concorrenza sleale, ha in particolare evidenziato la copiatura da parte di della di metallo sui portafogli abbinata all’utilizzo dell’espressione Polo Club, che sarebbe idonea a trarre in inganno il consumatore.
Inoltre, in tal modo avrebbe associato illegittimamente i propri prodotti al mondo anglosassone dei club polo, pur non avendo tali prodotti alcun legame con tale
ambito, così appropriandosi nel contempo dei pregi di ex art. 2598 n 2 cc e traendo nel contempo in inganno i consumatori tramite mendacio, condotta susssumibile nell’art. 2598 n. 3 cc.
In punto peroculum, paventava il rischio di subire gravi ed attuali pregiudizi, anche in ragione dei tempi lunghi per ottenere provvedimento favorevole avanti al Tribunale di Genova, ove aveva convenuto in giudizio il giudizio era stato sospeso ex art. 132 RMUE, in seguito alla proposizione da parte di all’ di pretestuosa domanda di decadenza non uso dei ma rchi dell’attrice .
Si è costituita eccependo, in via preliminare, la litispendenza, innanzi al Tribunale di Genova, del processo di merito avente ad oggetto le medesime domande di inibitoria riferite ai suoi marchi italiani.
Riteneva, inoltre, fosse precluso alle ricorrenti di agire cautelarmente in questa sede, essendo sospeso il suddetto giudizio di merito avanti al Tribunale di Genova.
Ha ribadito l’eccezione di decadenza per non uso quinquennale dei m archi di parte ricorrente e la convalida del proprio marchio nazionale n. 1605318.
Ritenuta l’infondatezza nel merito sia delle domande cautelari attinenti ai marchi, sia a quelle attinenti alla concorrenza sleale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Si è costituita anche , eccependo la connessione oggettiva e parzialmente soggettiva con il giudizo avanti al Tribunale di Genova, chiedendo l’assegnazione di un termine per poter riassumere ivi il presente giudizio.
Ha poi chiesto la sospensione del presente procedimento ex art. 295 cpc, in attesa della definizione dei proced imenti pendenti avanti all’ .
Ha poi eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva essendo un mero distributore e non esclusivo di
Ha comunque escluso la confondibilità tra i amrchi di e quelli di parte ricorrente e concluso per il rigetto anche delle domande relative alla concorrenza sleale.
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L’ordinanza di prime cure ha rigettato il ricorso sulla base dei seguenti assunti:
-ha ritenuto insussistente la legittimazione attiva della licenziataria (e a maggior ragione di ) ‘in relazione alle domande cautelari proposte nei confronti di incentrate sulla contraffazione dei marchi di cui alle registrazioni UE 352245 e 4998696 da parte dei marchi italiani di cui alle registrazioni n. 1605318 e 1668601’ ,
vista la pendenza avanti al Tribunale di Genova di un’azione di contraffazione avviata, in via ordinaria, dal titolare nel marzo 2021 contro i marchi nazionali di sulla base di due dei marchi (i.e. marchi UE 352245 e 4998696) azionati anche avanti al Tribunale di Venezia;
ha riconosciuto, invece, la legittimazione attiva della licenziataria ‘in relazione alle domande cautelari incentrate sulla contraffazione del proprio marchio UE 9733361 (non azionato innanzi al Tribunale di Genova) da parte di tutti i marchi contestati di nonché sulla contraffazione di tutti i marchi azionati nel presente giudizio da parte del marchio UE NUMERO_DOCUMENTO non contestato innanzi al Tribunale di Genova’ ;
ha ritenuto sussistente la legittimazione attiva di nei confronti di ad agire in contraffazione rispetto a tutti i marchi azionati, non essendo parte nel giudizio di Genova;
ha riconosciuto la legittimazione attiva di e nei confronti sia di sia di in relazione all’azione di concorrenza sleale avente a oggetto i portafogli recanti i marchi di contestati in causa. Il giudice di prime cure ha ritenuto insussistente sia la contraffazione dei marchi di parte
ricorrente, sia la concorrenza sleale per i seguenti motivi:
-il carattere distintivo intrinseco dei marchi azionati da e non è così forte come preteso da queste ultime in quanto, da un lato la parola ‘Polo’ è non solo il nome della pratica sportiva ma è il nome di un indumento, e dall’altro non si può escludere un forte nesso concettuale tra il mondo del polo (chiaramente rappresentato dai polo player dei marchi avversari), contraddistinto da un certo tipo di stile ‘caratterizzato da classe e sobrietà’ anche nell’abbigliamento e negli accessori, e appunto la categoria merceologica della pelletteria (e dell’abbigliamento);
i marchi di parte ricorrente non sono nemmeno dotati di una rinforzata capacità dstintiva e/o rinomati, e la documentazione depositata in causa da e non è sufficiente a dimostrare il contrario. Il Tribunale ha eseguito tale valutazione tenendo in considerazione le peculiari caratteristiche del mercato in cui le reclamanti operano che è costellato da ‘…numerosi altri imprenditori che utilizzano la figura di uno ( ) o più giocatori di polo (cfr. ad es, i noti marchi ‘ per i
medesimi prodotti (di pelletteria e abbigliamento). In questo senso, il Tribunale ha ritenuto che ‘non si ravvisano elementi per poter ritenere, quantomeno nella presente fase cautelare, che i marchi qui azionati abbiano raggiunto un grado distintivo talmente intenso ed elevato che il consumatore mediamente avveduto, vedendo la figura della coppia di giocatori di polo, la associ indiscutibilmente a parte ricorrente;
ha inoltre ritenuto non sussistente la concorrenza sleale.
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Con ricorso ex art. 669-terdecies c.p.c. depositato in data 12 febbraio 2025, e hanno proposto reclamo per i seguenti motivi:
interpretazione ed applicazione del l’art. 25 commi 3 e 4 del Reg. (EU) 1001/2017 alla fattispecie de qua in modo errato, in relazione al parziale diniego di legittimazione attiva di e ;
Il Giudice di prime cure ha ritenuto che, una volta avviata la controversia da parte del titolare del diritto, il licenziatario perda la legittimità ad agire a tutela del proprio diritto, potendo far valere esclusivamente il proprio diritto ad intervenire nella causa già promossa.
Osservava il reclamante che l’interpretazione del 4° comma ART. 25 proposta dal Giudice finisce per imporre implicitamente al licenziatario un obbligo di intervento, sanzionato a pena di decadenza, di un suo autonomo diritto costituzionalmente garantito; non vi è, infatti, alcun onere per il titolare della privativa di informare il licenziatario sulle iniziative giudiziarie intraprese, sicché di fatto, anche in ragione del sistema di preclusioni vigenti nel nostro ordinamento, il licenziatario rischierebbe di rimanere privo di tutela.
In secondo luogo, il comma 4° dell’art. 25 si riferisce specificamente all’intervento a fini risarcitori, mentre la presente i niziativa è di natura cautelare e non risarcitoria.
I commi 3 e 4 dell’art. 25 devono essere letti in maniera autonoma
Infine, ne ll’odierno giudizio la tesi de l giudice di prime cure condurrebbe paradossalmente alla moltiplicazione delle iniziative processuali, in quanto per ottenere la tutela cautelare dei marchi nn. 3552245 e 4998696 le reclamanti, previo intervento, avrebbero dovuto instaurare un nuovo procedimento cautelare
nell’ambit o del giudizio di merito pendente a Genova, mentre, con riferimento alla concorrenza sleale e al marchio UE n. 973361, il presente procedimento sarebbe stato instaurato correttamente così come quello nei confronti di .
erronea valutazione della capacità distintiva dei marchi azionati, non avendo riconosciuto il carattere distintivo intrinseco ‘forte’ degli stessi né il rafforzamento della loro valenza distintiva a fronte dell’uso degli stessi; contestava, in particolare, il convincimento del giudice secondo il quale il mondo del polo sarebbe associato dal pubblico non solo all’attrezzatura e all’abbigliamento da polo, ma anche ‘ad un particolare outfit caratterizzato da classe e sobrietà, coniugando sportività ed eleganza e proponendo l’idea di un look d’élite, informale ma sofisticato’ e che il pubblico assocerebbe a questo outfit anche i prodotti di pelletteria, ricompresi nella classe 18. Non sussistendo alcun collegamento tra i segni Uspa e i prodotti oggetto di causa, i marchi azionati devono ritenersi come marchi intrinsecamente forti. Inoltre, i crescenti investimenti pubblici tari attesterebbero l’accre scimento della capacità distintiva di questo segno, la cui tutela non può essere limitata in ragione dell’affollamento del mercato.
impostazione erronea de l confronto fra segni ai fini della valutazione dell’illecito contraffattorio, avendo il Giudice del cautelare eseguito un confronto tra segni registrati, senza considerare le modalità concrete di utilizzo dei marchi di sui prodotti oggetto di contestazione; i segni in comparazione sono, infatti, accomunati dalla figura dominate di due cavalieri al galoppo in vista frontale, che caratterizza i segni di entrambe le parti, che li rende fortemente somiglianti sia da un punto di vista visivo che concettuale, anche in ragione della valutazione effettuata dal consumatore in via unitaria e sintetica; i prodotti di recano tutti il segno denominativo RAGIONE_SOCIALE;
esecuzione de l giudizio di confondibilità senza tenere in considerazione l’identità dei prodotti;
erroneità ed omesso giudizio sulle domande di concorrenza sleale; con particolare riferimento alla concorrenza sleale ex art. 2598 n. 2 cc, il Giudice di prime cure aveva
trascurato che si presenta come polo club, ossia un’associazione legata al mondo del polo. In ciò consiste l’appropriazione dei pregi. La presentazione di di se stessa come associazione legata al polo è mendace e trae in inganno i consumatori.
Concludevano chiedendo la riforma dell’ordinanza reclamata, con inibitoria estesa all’intero territorio dell’Unione Europea, con ordine di ritiro dal commercio e sequestro dei prodotti, descrizione delle scritture contabili volta ad individuare l’estensione e la portata dell’illecito e con pubblicazione del provvedimento a cura dei reclamanti e a spese dei reclamati sui quotidiani ‘Corriere della Sera’, ‘Repubblica’ e sulla rivista ‘Vanity Fair’ e sul sito Internet di per almeno 60 giorni consecutivi, con fissazione di penale.
Si costituivano e ribadendo le difese già spese nel recedente grado ed insistendo per la conferma dell’ordinanza reclamata.
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Il reclamo non è fondato per i seguenti motivi.
Legittimazione attiva e passiva
L ‘art. 25 del Reg n. 1001/2017, commi 3° e 4° recita: ‘ Fatte salve le clausole del contratto di licenza, il licenziatario può avviare un’azione per contraffazione di un marchio UE soltanto con il consenso del titolare del medesimo. Tuttavia il titolare di una licenza esclusiva può avviare una siffatta azione se il titolare del marchio, previa messa in mora, non avvia lui stesso un’azione per contraffazione entro termini appropriati. Un licenziatario può intervenire nella procedura per contraffazione, avviata dal titolare del marchio UE, per ottenere il risarcimento del danno da lui subito .’
ha dimesso dichiarazione del titolare dei marchi, dalla quale risulta che ‘ in forza del contratto di licenza in questione -e comunque, per quanto occorrer possa, della presente dichiarazione di consenso -la è espressamente autorizzata dalla United States Polo Association ad assumere qualsiasi iniziativa e azione, a livello stragiudiziale e giudiziale -in via civile, penale e amministrativa -, relativa alla tutela dei Marchi nonché di qualsiasi altro diritto derivante dalla commercializzazione dei prodotti recanti i Marchi ‘ (doc. 16 fasc. ricorrente) La legittimazione ad agire in contraffazione del licenziatario, per come disciplinata dall’art. 25 RMUE, è ancorata a due presupposti:
il consenso espresso del titolare nel caso di licenza non esclusiva o la previsione di apposite clausole contrattuali autorizzative;
-l’inerzia del titolare, debitamente informato dal licenziatario in caso di licenza esclusiva.
Il licenziatario esclusivo ha un potere concorrente e surrogatorio di agire, nel solo caso in cui per manga l’inerzia del titolare del diritto, previamente messo in mora.
La RAGIONE_SOCIALE nella sentenza n. 29574 del 2020 qualifica come surrogatorio il potere di agire del licenziatario esclusivo.
Una volta invece che il titolare dei marchi agisca, nei confronti dello stesso contraffattore e per la stessa violazione, non potrà essere instaurato un ulteriore giudizio da parte del licenziatario per le stesse violazioni.
Ciò in ragione del fatto che il titolare rimane il dominus anche della gestione processuale delle sue privative; nel contempo, grazie alla previsione del 4° comma del cit. art. 25, il licenziatario può far salvo il diritto al risarcimento del danno da lui subito.
Calando questi principi al caso di specie, non è condivisibile l’assunto della parte reclamante secondo la quale il giudizio cautelare avrebbe dovuto sdoppiarsi, in quanto è rimessa all’i niziativa del solo titolare già attore nel giudizio avanti al tribunale di Genova, la scelta di instaurare in corso di causa un procedimento cautelare.
Né offre spunti in senso contrario la pronuncia della Corte di Giustizia Europea del 22 giugno 2015 nella causa C-41915; essa interpreta l’art. 32 del Reg. n. 6 del 2002 disegni e modelli comunitari, il cui testo è assimilabile all’art. 25 RMUE; la sentenza non tratta de professo la questione agitata nel presente giudizio, ma si limita a riconoscere che il licenziatario non esclusivo può agire solo con il consenso del titolare e in questo caso può cumulare alla tutela reale anche la tutela risarcitoria, mentre se il consenso non viene pre stato dispone quale unico rimedio dell’intervento per ottenere la condanna al risarcimento dei danni.
Dovendosi ribadire la correttezza dell’interpretazione dell’art. 25 Reg. n. 1001/2017 propugnata nell’ordinanza reclamata , va però precisato che nel presente giudizio è legittimata ad agire nei confronti di esclusivamente a tutela del marchio UE n. 9733361 e a proporre conseguentemente le domande di contraffazione di tale proprio marchio.
Nei confronti di , può agire a tutela anche dei marchi n. NUMERO_DOCUMENTO e n. 4998696 e può far valere la concorrenza sleale nei confronti di entrambi i resistenti.
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In relazione alla domanda di contraffazione, deve premettersi che, ai sensi dell’art. art. 9, comma 2°, lett. b, del Reg. UE n. 1001/2017, il titolare del marchio UE ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio, in relazione a prodotti o servizi, qualsiasi segno quando ‘il segno è identico o simile al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e a servizi identici o simili ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato, se vi è rischio di confusione da parte del pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra segno e marchio’.
Ai fini della contraffazione, deve valutarsi in primo luogo la distintività del marchio azionato: la tutela sarà, infatti, tanto più ampia quanto maggiore sarà la capacità distintiva del marchio contraffatto.
Deve poi esaminarsi la confondibilità tra segni, che presuppone l’esame degli elementi dominanti del marchio contraffatto e dei caratteri di differenziazione tra segni, tenendo conto dell’esame visivo, fonetico e concettuale.
DISTINTIVIT A’ INTRINSECA
La distinzione fra marchio ‘debole’ e marchio ‘forte’, propria solo del diritto interno, è frutto di una lunga elaborazione giurisprudenziale.
Si considera marchio ‘debole’ quel segno dotato di attenuata capacità distintiva, solitamente composto da parole del linguaggio comune, che aderisce semanticamente o anche concettualmente al prodotto/servizio contraddistinto; si considera, invece, marchio ‘forte’ quel segno caratterizzato dalla non -aderenza semantica o concettuale al prodotto/servizio contraddistinto al quale è solitamente riconosciuta un’elevata capacità distintiva (tra le più recenti, Cass. civ. 4254 del 2019, 30951 del 2018).
Secondo un ormai consolidato orientamento, la differenza tra i due tipi di marchi si riverbera sulla relativa ampiezza e intensità della tutela: al marchio forte si riconosce una tutela intensa, tanto che saranno considerate illegittime tutte le modificazioni, anche rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale.
Nel caso del marchio debole, invece, anche una piccola modifica del segno può essere considerata tale da fugare il rischio di confusione.
Nella giurisprudenza comunitaria, le categorie di marchio forte e di marchio debole lasciano posto all’accertamento del diverso grado di intensità dei segni distintivi .
I l reclamante censura l’ordina nza che, pur avendo correttamente citato la giurisprudenza comunitaria pertinente, se ne sarebbe inopinatamente discostata nella valutazione in concreto della distintività.
Orbene, secondo tale giurisprudenza, la rappresentazione di un giocatore di polo e le parole polo club possiedono un carattere distintivo che va da debole ad accentuato a seconda della correlazione che i prodotti e i servizi in questione hanno con la pratica nel polo (Tribunale Ue sentenza 19 ottobre 2022 causa T -437/2021).
Ed invero, la medesima sentenza ha ritenuto che i prodotti rientranti nelle classi 9 14 e 18 abbiano un carattere distintivo accresciuto, mentre i prodotti rientranti nella classe 25 abbiano un carattere distintivo normale, dato che possono essere utilizzati per la pratica del polo, ma nulla, nella loro descrizione, specifica che mirano specificamente a detta pratica.
Il giudice di prime ha opportunamente osservato che la parola ‘ polo ‘ non richiama nel linguaggio comune solo le t-shirt appositamente utilizzate nella pratica del gioco, ma anche un particolare indumento a maniche corte dotato di colletto e bottoni, adottato nell’ambito di un abbigliamento casual, connotato da un certo grado di eleganza e di raffinatezza.
Un tanto trova conferma nel fatto che le famose camici e ‘b utton down ‘ sono state utilizzate fin dagli Anni Cinquanta da fashion player di alta gamma tra cui ad es. , che vi ha apposto un segno rappresentativo di giocatore di polo a cavallo con la
mazza alzata, che mutua lo stile proprio degli avventori dei club di polo di alto bordo.
Si è diffusa nel tempo nel mercato dell’abbigliame nto una linea non sportiva comprensiva di accessori e calzature improntati allo stile curato ed elegante di chi frequenta i club del polo.
Sulla base di queste premesse è corretta l’affermazione del giudice di prime cure che ha individ uato l’esistenza di un collegamento concettuale diretto tra il mondo del polo e l’abbigliamento ca sual dotato di una certa sobrietà adottato nei club di polo nonché rispetto ai suoi elementi accessori tra cui i prodotti di pelletteria, fermo restando che i segni distintivi richiamanti il polo apposti su capi di abbigliamento, proprio perché
possono essere anche utilizzati nella pratica sportiva del polo, sono dotati di minori distintività rispetto ai prodotti di pelletteria.
Questa consapevolezza nel pubblico del collegamento tra un certo tipo di abbigliamento ed accessori e il mondo del polo costituisce fatto notorio, che è stato opportunamente esaminato e valorizzato da parte del Giudice.
DISTINTIVIT A’ ESTRINSECA
Il carattere distintivo del marchio va valutato non solo con riferimento al momento della registrazione e alle caratteristiche intrinseche dello stesso, ma anche per come eventualmente evolutosi attraverso l’uso che ne è stato fatto ai sensi dell’art. 7 paragrafo 3 e articolo 59, paragrafo 2 del Reg. 1001 del 2017 e art. 13 commi 2 e CPI.
Come correttamente evidenziato dal Giudice di prime cure, il mercato di prodotti di pelletteria riproducenti giocatori di polo a cavallo è affollato, esistono moltissimi marchi con immagini stilizzate di giocatori di polo, talvolta con la mazza in mano; in molti casi le immagini sono accompagnate dalle parole (cfr. docc. 34 e 35 fasc reclamato doc. 36 estratti di pagine web di portafogli e prodotti di pelletteria in vendita online).
La prova del rafforzamento mediante l’uso del carattere distintivo di un marchio deve essere provata dal titolare del marchio.
Parte reclamante ha prodotto in sede di reclamo gli stessi documenti già in precedenza dimessi allegando un fatturato globale che nel 2022 ha toccato l’importo dei 2,3 miliardi di dollari, e che ha collocato il segno tra i primi cinque marchi sportivi al mondo; nonché gli investimenti pubblicitari e la rassegna stampa italiana (doc. 20 fasc. ricorrente).
Tuttavia, la prova realmente conducente a sostegno del fatto che la percezione del pubblico dei consumatori riguardo al segno sia cambiata è costituita dall’indagine demoscopica, mentre l’entità del fatturato e degli investimenti pubblicitari sono indice solo generico.
Le reclamanti non hanno depositato in giudizio alcuna indagine demoscopica, quale per contro è stata invece commissionata dalla reclamata e prodotta sub doc. 23.
Si tratta di ricerca condotta nel settembre 2021 dalla società RAGIONE_SOCIALE, che ha dimostrato che il marchio più conosciuto nel settore è quello di : quasi il 30% degli intervistati associa il logo dei giocatori di polo a , mentre il 5%
lo associa e figure ai marchi solo il 4% lo associa ai marchi di parte reclamante, il cui nome da oltre un terzo degli intervistati non è neppure citato in modo corretto. Inoltre, solo il 7% degli intervistati ha dichiarato di riconoscere i marchi di .
La decisione impugnata si è attenuta tanti ai principi giurisprudenziali quanto alle evidenze documentali, valutandole correttamente.
Posto che il rischio di confusione è influenzato dalle modalità con le quali il marchio anteriore è utilizzato e percepito dal pubblico di riferimento , l’affollamento del mercato in esame influenza il giudizio di confondibilità, in quanto, nonostante l’identità dei prodotti, deve riscontrarsi ai fini della confondibilità un elevato grado di somiglianza (Trib. di Roma 4.8.2021)
GIUDIZIO DI INTERFERENZA
Deve poi esaminarsi la somiglianza e confondibilità tra segni, che presuppone l’esame degli elementi dominanti del marchio contraffatto e dei caratteri di differenziazione tra segni, tenendo conto dell’esame visivo, fonetico e concettuale.
I marchi UE della reclamante n. 9733361 e n. 352245 costituiscono un marchio complesso ; l’elemento figurativo, esattamente sovrapponibile, è costituito dalla figura di una coppia di giocatori di polo , uno dietro l’altro, rappresentati al galoppo impegnati in un’azione di gioco; entrambi impugnano una mazza di cui una soll evata e l’altra in basso pronta a colpire.
Alla parte figurativa è affiancata una parte denominativa coincidente nel secondo con la denominazione dell’associazione declinata diversamente: nel primo la parte denominativa è composta dalla dicitura United States Polo Association per esteso, mentre la seconda ripete la medesima espressione in forma abbreviata, oltre alla data: U.S. RAGIONE_SOCIALE Since 1890.
Il segno della resistente, rappresentato sui prodotti acquistati da , costituisce anch’esso un marchio complesso, costituito da una coppia di fantini tra loro affiancati e con le teste che si toccano, che sventolano delle bandiere sollevate verso l’alto, di cui una britannica; non sono rappresentati in un’azione di gioco.
Il marchio complesso consiste nella combinazione di più elementi, ciascuno dei quali dotato di capacità caratterizzante e suscettibile di essere autonomamente tutelabile e si
distingue dal cd marchio ‘d’insieme’ i cui elementi costitutivi, isolatamente considerati, non godono di tale capacità distintiva.
La RAGIONE_SOCIALE si è espressa nel senso che ‘ Il marchio complesso, che consiste nella combinazione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante e suscettibile di essere autonomamente tutelabile, non necessariamente è un marchio forte, ma lo è solo se lo sono i singoli segni che lo compongono, o quanto meno uno di essi, ovvero se la loro combinazione rivesta un particolare carattere distintivo in ragione dell’originalità e della fantasia nel relativo accostamento. Quando, invece, i singoli segni siano dotati di capacità distintiva, ma quest’ultima (ovvero la loro combinazione) sia priva di una particolare forza individualizzante, il marchio deve essere qualificato debole, tale seconda fattispecie differenziandosi, peraltro, dal marchio di insieme in ragione del fatto che i segni costitutivi di quest’ultimo sono privi di un’autonoma capacità distintiva, essendolo solo la loro combinazione ‘ (v. ad es., Cass. Civ. n. 12368/2018).
Stante l’affollamento del mercato e richiamate le considerazioni sopra riportate sulla distintività intrinseca dei marchi di , il Collegio ritiene che i marchi non siano dotati di una spiccata distintività.
La comparazione tra i due marchi complessi, in ogni caso, non può essere operata mediante raffronto della sola componente figurativa o della sola componente denominativa, ma richiede una valutazione sintetica e globale di ciascuna di esse.
La giurisprudenza comunitaria si è espressa a tale riguardo nel senso che ‘La valutazione della somiglianza tra due marchi non può limitarsi a prendere in considerazione solo un elemento di un marchio complesso e a confrontarlo con un altro marchio. È necessario, invece, effettuare il confronto esaminando i marchi in questione, considerati ciascuno nel loro insieme, il che non esclude che l’impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico di riferimento da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere dominato da uno o più dei suoi componenti (v. sentenza del 12 giugno 2007, RAGIONE_SOCIALE, C 334/05 P, EU:C:2007:333, punto 41 e giurisprudenza ivi citata). 53 Inoltre, il carattere più o meno distintivo degli elementi comuni ad un marchio richiesto e ad un marchio anteriore costituisce uno degli elementi rilevanti nell’ambito della valutazione della somiglianza dei segni [v. sentenza del 26 marzo 2015, Royal County of Berkshire Polo RAGIONE_SOCIALE/RAGIONE_SOCIALE
(Royal County of Berkshire RAGIONE_SOCIALE, T 581/13, non pubblicato, EU:T:2015:192, punto 41 e giurisprudenza citata]’.
La RAGIONE_SOCIALE, anche in recenti arresti, ha ribadito che, in presenza di una tale tipologia di marchio, il giudice è chiamato a procedere ad una valutazione d’insieme degli elementi che lo compongono. Ha anche specificato che, in alcuni casi, l’impressione generale del pubblico di riferimento viene influenzata esclusivamente da una o più componenti del marchio.
In queste ipotesi, qualora tutte le altre parti del marchio assumano una rilevanza trascurabile, la valutazione di somiglianza potrà vertere solo su quegli elementi che sono considerati suscettibili di rimanere impressi nella memoria del pubblico di riferimento (tra le più recenti, Cass. Civ. 22034 del 2023, 2866 del 2023).
Tale specificazione non si pone in contraddizione con la regola che impone la valutazione globale e sintetica, ma mira ad indirizzare il confronto tra i due marchi tenendo conto solo degli elementi che, in un’ottica di percezione globale del segno, hanno un ruolo di marchio agli occhi del pubblico.
Le valutazioni di confondibilità che hanno ad oggetto i marchi complessi non possono cioè prescindere dall’esame del c.d. cuore del marchio, ossia su quell’elemento su cui si fonda l’originalità del marchio.
Nel caso di specie, l’elemento dominante è costituito dalla parte figurativa dei segni in comparazione.
Occorre, preliminarmente, rammentare che, come chiarito dall’ordinanza del Tribunale di Roma del 2016 depositata dalle reclamanti sub doc. 25, l’ esclusiva riservata ai marchi si limita solo alla esatta rappresentazione dei giocatori di polo con mazze così come raffigurata nei marchi di parte reclamante, ‘ il monopolio conferito ai marchi cui sono titolari le reclamanti non si estende ad ogni possibile configurazione grafica dei giocatori di polo, che per la genericità di riferimento indiretto al capo di abbigliamento potrebbe anche considerarsi inappropriabile ex art 13, lett. b) CPI, ma solo ed esclusivamente a quella particolare raffigurazione dei polo players innanzi tratteggiata ‘.
Dal punto di vista visivo i segni in comparazione presentano sensibili differenze: nei marchi i giocatori di polo brandiscono la mazza utilizzata nel gioco, mentre i fantini del segno NOME tengono in mano dei vessilli rappresentati in maniera ben
visibile e idonei a catturare l’attenzione del consumatore ed è solo la parte figurativa RAGIONE_SOCIALE Club che richiama il mondo del polo.
La rappresentazione delle bandiere, di cui una britannica, marca una totale estraneità del segno rispetto agli Stati Uniti, il cui espresso riferimento è invece contenuto nei marchi nn. 352245 e 9733361.
Quanto alla parte denominativa, nei marchi della reclamante risulta predominante l’evidente riferimento all’associazione statunitense, titolare del segno che affilia tutti i polo club della nazione, mente il segno della reclamata si appunta sul nome di un singolo club, e non vi è alcun riferimento all’A ssociazione. Solo le parole polo club rimandano in modo inequivoco al mondo del polo, non invece la parte grafica, né la dicitura NOME COGNOME.
Anche dal punto di vista fonetico la parte denominativa dei marchi delle due parti è chiaramente diversa.
Pertanto, il consumatore che, al momento dell’acquisto , valuterà la parte denominativa e quella figurativa sarà in grado di distinguere la provenienza dall’uno e dall’altro, con esclusione del rischio di confusione.
CONCORRENZA
Quanto alla concorrenza sleale confusoria valgono le considerazioni già spese nel valutare l’inte rferenza tra i marchi.
Parte reclamante sostiene che l’adozione di una placchetta metallica riproducente il marchio e apposta sulla parte alta dei prodotti sia una propria caratteristica esclusiva riprodotta nei prodotti avversari.
Il doc. 17 prodotto da attesta il frequente uso nei prodotti di pelletteria della placchetta metallica da parte di tutti i principali operatori.
In ogni caso, il portafoglio delle reclamanti oltre al logo dei fantini presenta la scritta anche i portafogli di parte reclamata p resentano una doppia placchetta, l’una raffigurante i cavalieri, l’altra con l’apposizione della scritta Harvey Miller Polo Club in evidenza, onde è da escludere che il consumatore sia indotto a ricondurre i prodotti all’ in difetto di ulteriori elementi che riconducano agli Stati U niti.
Non sussiste nemmen o l’approp riazione di pregi, essendo frequente per quanto già esposto, anche nei prodotti di pelletteria, il richiamo al mondo del polo e non facendo
valere alcun pregio collegato all’Associazione o comunque al polo amer icano; né il segno assume un contenuto mendace.
Il periculum in mora rimane assorbito.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte della reclamante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il d, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il reclamo;
condanna parte reclamante al pagamento in favore delle reclamate, delle spese di lite, che liquida in € 6.500 per compenso ciascuno, oltre spese generali, Iva e Cpa come per legge;
sussistono i presupposti per il versamento da parte della reclamante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il reclamo, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002.
Così deciso in Venezia, nella Camera di Consiglio del 20.3.2025
Il Presidente
Dott.ssa NOME COGNOME
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Il giudice est. Dott.ssa NOME COGNOME