Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5732 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 5732  Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18394-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE,  RAGIONE_SOCIALE  ALESSANDRO,  RAGIONE_SOCIALE  LORENZO,  RAGIONE_SOCIALE STEFANO  e  RAGIONE_SOCIALE  MICHELA,  rappresentati  e  difesi  dall ‘ AVV_NOTAIO per procure in calce al ricorso
– ricorrenti –
contro
FALLIMENTO della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e di RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE,  INDIRIZZO,  INDIRIZZO,  INDIRIZZO STEFANO e RAGIONE_SOCIALE MICHELA;
– intimato – avverso il DECRETO del TRIBUNALE DI LECCO del 21/4/2021; udita la relazione della causa svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO nell ‘ adunanza in camera di consiglio del 26/6/2024;
RILEVATO CHE
1.1. Il  Commissario  straordinario  del  governo  per  il coordinamento  delle iniziative antiracket e antiusura, con decreto del 12/6/2013, accordò a  NOME  COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME – soci illimitatamente responsabili  della  RAGIONE_SOCIALE,  falliti  nel  2005  per
ripercussione  del  fallimento    della  società  –  la  somma di  €. 1.277.959,00 a titolo di ristoro del danno patrimoniale subito quali soggetti danneggiati da attività estorsive, a norma dell ‘ art. 1 della l. n. 44/1999.
1.2. Successivamente, il Fallimento della RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio i soci falliti per sentir accertare il loro inadempimento all ‘ obbligo, sancito dal G.D., di versare alla procedura, ai sensi dell’art. 3, comma 1 -ter , della l. n. 44/1999, la metà del ricavato netto conseguito con le attività imprenditoriali esercitate mediante l ‘ impiego del contributo statale e per ottenerne la condanna al pagamento della somma, corrispondente a tale metà, incamerata nel quinquennio 2013/2018.
1.3. Il  Tribunale  di  Lecco  adito,  con  sentenza    del 12.6.2020,  dopo aver   accertato l’ammontare del ricavato netto conseguito  da  ogni  convenuto,  nel  periodo  considerato,  per effetto de ll’attività imprenditoriale autorizzata , condannò ciascuno dei COGNOME a pagare al Fallimento la metà della differenza tra quanto ricavato e l’ importo del mantenimento eventualmente loro spettante, rimettendo al giudice delegato di decidere se e in quale misura ne avessero diritto.
1.4. Il  giudice  delegato,  con  decreto  del  17/11/2020 emesso ai sensi dell ‘ art. 46, comma 1°, n. 2, l.fall., stabilì che, fermo il diritto dei soci falliti a trattenere la metà dei ricavi ai sensi dell ‘art. 3 della l. n. 44/99,  l’altra metà dovesse essere dagli stessi versata interamente al Fallimento, a partire dal 2013 per NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, e dal 2015 per NOME COGNOME, sino alla chiusura della procedura.
1.5. Il reclamo proposto dai COGNOME contro il provvedimento del G.D. è stato rigettato dal Tribunale di Lecco con decreto del 21.4.2021.
1.6. Il giudice del merito ha rilevato: i) che, secondo quanto affermato da Cass. 11185/2020, il diritto del fallito a trattenere una quota del reddito derivante dalla propria attività lavorativa comporta il positivo accertamento del presupposto di fatto consistente nell’effettiva necessità di disporre di una parte di quel reddito per il mantenimento proprio e/o della propria famiglia, mentre, ove questi possa godere di redditi e risorse presenti nell’ambito del nucleo familiare, non c’è il divieto di destinare al fallimento tutti i proventi dell’attività; ii) che inoltre il G.D. ben può disporre l’integrale apprensione dei guadagni del fallito, allorché, come accaduto nella specie, egli violi costantemente gli obblighi di rendicontazione prescritti a suo carico, ostacolando il controllo degli organi della procedura, atteso che presupposto indefettibile per l’attribuzione del mantenimento ai sensi dell’art. 46, n. 2, l. fall. è che gli organi in questione siano messi in grado di conoscere con certezza l’entità de i proventi dallo stesso realizzati, onde poter determinare la quota che può essergli riconosciuta; iii) che i reclamanti non avevano allegato, né provato specifiche ed effettive necessità di mantenimento, mentre era indubbio che NOME, NOME e NOME COGNOME potessero contare sui redditi dei rispettivi familiari e che NOME COGNOME potesse trattenere int egralmente la somma, di € 1.300, mensilmente percepita a titolo di pensione; iv) che per tutti i reclamanti valeva la considerazione che la trasgressione reiterata e protratta negli anni degli obblighi di rendicontazione verso il Fallimento non costituiva inadempimento di un dovere meramente formale, in quanto il ricavo netto dell ‘ attività economica intrapresa col contributo statale, è destinato per la metà, a norma dell’art. 3, comma 1ter , della l. n. 44 cit., al soddisfacimento dei creditori concorsuali, laddove, per contro, i falliti, a partire dal 2013 e
almeno fino al 2018, eludendo il controllo del curatore, avevano omesso  di  versare  al  fallimento  ingenti  somme  destinate  al riparto tra i creditori.
1.7. NOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, con  ricorso  notificato  il  21/6/2021,  hanno  chiesto,  per  due motivi, la cassazione del decreto.
1.8. Il Fallimento è rimasto intimato.
CONSIDERATO CHE
2.1. Con il primo e il secondo motivo, che denunciano l’uno la violazione dell ‘ art. 46 l.fall. e del principio del contraddittorio, l’altro la motivazione apparente, o comunque al di sotto del minimo costituzionale, del decreto impugnato, i ricorrenti deducono che il tribunale ha escluso il loro diritto a trattenere una qualsiasi quota (superiore alla metà) del reddito ricavato dal lavoro di impresa a causa del vero e proprio travisamento del contenuto della sentenza del 15.6.2020, la quale aveva accertato che essi avevano correttamente informato la procedura fallimentare dell ‘ imminente incameramento dei fondi pubblici, poi interamente investiti nell’apertura di nuove attività di impresa, e che nessuna somma era stata da loro occultata o distratta ovvero utilizzata per finalità diverse da quelle previste dalla l. n. 44/99; in altri termini, secondo i ricorrenti, il tribunale, nel ritenere che, ai fini del rigetto del reclamo, ogni altra questione dovesse ritenersi assorbita dal rilievo del loro inadempimento all’ obbligo di rendicontazione, peraltro neppure previsto dalle norme, e dall ‘ occultamento e dalla distrazione, in realtà mai avvenuti, di somme di denaro destinate al Fallimento, si è sostanzialmente sottratto, al pari del giudice delegato, al compito, demandatogli dall ‘ indicata sentenza, di determinare se e quale importo
dovesse essere riconosciuto a ciascuno di essi per il mantenimento proprio e della famiglia.
2.2. I motivi non investono l’ulteriore e autonoma ratio decidendi, di per sé sufficiente a sorreggere la pronuncia, sulla cui scorta il tribunale ha rigettato il reclamo, là dove ha rilevato in diritto che, nel caso in cui non risulti provata l’effettiva necessità del fallito di disporre di una parte dei proventi della propria attività lavorativa per il mantenimento proprio e/o della famiglia, non c’è il divieto di destinare tali proventi interamente al fallimento e ha accertato, in fatto, che non solo i reclamanti non avevano allegato né provato specifiche ed effettive necessità di mantenimento, ma che era indubbio che NOME, NOME e NOME COGNOME potessero contare sui redditi dei rispettivi familiari e che NOME COGNOME potesse trattenere integralmente la somma, di € 1.300, mensilmente percepita a titolo di pensione.
2.3. Trova dunque applicazione il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ove la decisione sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte e autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, se pur fondata, non potrebbe condurre all’annullamento del provvedimento, che resterebbe sorretto dalla ratio divenuta definitiva perché non impugnata (fra molte, Cass. nn. 17182/2020, 10815/2019, 7499/2019, 15399/2109).
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese di lite in mancanza di costituzione in giudizio del Fallimento.
La Corte dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17,  della  l.  n.  228/2012,  della  sussistenza  dei  presupposti processuali  per  il  versamento,  da  parte  dei  ricorrenti,  di  un ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato  pari  a  quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte così provvede: dichiara inammissibile il ricorso; dà atto, ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1 -quater ,  del  d.P.R.  n. 115/2002, d nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti  processuali  per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima