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Mansioni superiori società partecipate: la Cassazione

Un dipendente di una società a partecipazione pubblica si vede revocare l’inquadramento superiore precedentemente riconosciuto. La Corte di Cassazione, ribaltando le decisioni di merito, stabilisce che il rapporto di lavoro in queste società è di natura privatistica. Pertanto, le regole sulle mansioni superiori società partecipate seguono l’art. 2103 del codice civile e le norme sui concorsi pubblici per l’assunzione non si estendono alle progressioni di carriera interne. La revoca dell’inquadramento è stata quindi ritenuta illegittima.

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Mansioni Superiori in Società Partecipate: Vale il Diritto Privato

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha stabilito un principio fondamentale per i dipendenti delle società a controllo pubblico. La questione centrale riguarda il diritto al riconoscimento delle mansioni superiori società partecipate. La Suprema Corte ha chiarito che il rapporto di lavoro in queste entità è disciplinato dal codice civile e dalle leggi sul lavoro privato, non dalle norme rigide del pubblico impiego. Di conseguenza, l’assegnazione a mansioni di livello superiore, una volta avvenuta, è legittima e non può essere revocata con la giustificazione di non aver seguito procedure concorsuali.

I Fatti di Causa

Un lavoratore, dipendente di una società di servizi di emergenza sanitaria a partecipazione pubblica, aveva svolto per un periodo prolungato mansioni superiori rispetto al suo inquadramento formale. Inizialmente, la società stessa gli aveva riconosciuto ufficialmente il livello superiore (livello D). Tuttavia, a distanza di anni, l’azienda revocava tale riconoscimento, declassando il dipendente al livello inferiore precedente. La motivazione addotta dalla società era la sua natura di ente ‘in house’ della pubblica amministrazione, che, a suo dire, imponeva il rispetto delle procedure di evidenza pubblica (concorsi) anche per le progressioni di carriera, rendendo nullo qualsiasi inquadramento superiore avvenuto ‘di fatto’.

La Decisione nei Primi Gradi di Giudizio

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione alla società. I giudici di merito avevano confermato la natura di società ‘in house’ e ritenuto che i principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità, tipici del settore pubblico, dovessero estendersi anche alle progressioni di carriera interne. Secondo questa interpretazione, l’assenza di una procedura selettiva pubblica rendeva illegittimo l’inquadramento superiore, giustificandone la successiva revoca da parte del datore di lavoro.

Mansioni Superiori Società Partecipate: La Svolta della Cassazione

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato la prospettiva. I giudici hanno stabilito che i primi due motivi di ricorso del lavoratore erano fondati. Il principio di diritto affermato è netto: il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico non è disciplinato dal Testo Unico sul Pubblico Impiego (D.Lgs. 165/2001), bensì dalle norme del codice civile e dalle leggi sul lavoro privato. Le norme speciali che impongono procedure selettive (come l’art. 18 del D.L. 112/2008) si applicano esclusivamente alla fase di costituzione del rapporto di lavoro (l’assunzione), ma non alle vicende successive che ne modificano il contenuto, come l’assegnazione di mansioni superiori.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che, nel diritto del lavoro privato, l’assegnazione a mansioni superiori (disciplinata dall’art. 2103 c.c.) non crea un nuovo rapporto di lavoro, ma costituisce una semplice modifica dell’oggetto del contratto già esistente. È una normale evoluzione della carriera del dipendente. Pertanto, equiparare una progressione di carriera a una nuova assunzione è un errore giuridico.

Le norme che impongono limiti alle assunzioni e il contenimento della spesa nelle società partecipate, pur essendo vincolanti per gli amministratori (che possono essere soggetti a responsabilità, anche erariale), non producono la nullità degli atti di gestione del personale. In altre parole, la legge non ha previsto una deroga all’applicazione dell’art. 2103 c.c. per queste società. La disciplina del reclutamento (l’assunzione) è una cosa, la gestione del rapporto di lavoro già instaurato è un’altra. Quest’ultima rimane saldamente ancorata al diritto privato, garantendo al lavoratore il diritto al riconoscimento della qualifica corrispondente alle mansioni effettivamente svolte.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta una vittoria importante per i diritti dei lavoratori delle società a partecipazione pubblica. Viene riaffermato che, una volta superata la barriera dell’assunzione tramite procedure selettive, il rapporto di lavoro si svolge secondo le regole privatistiche. Ciò significa che il diritto al riconoscimento delle mansioni superiori, con le relative conseguenze economiche e di carriera, è pienamente tutelato dall’art. 2103 c.c. anche in questo settore. La decisione della Corte d’Appello è stata cassata e il caso è stato rinviato per un nuovo esame che dovrà attenersi a questo fondamentale principio.

Un dipendente di una società a partecipazione pubblica ha diritto al riconoscimento delle mansioni superiori svolte?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il rapporto di lavoro in queste società è regolato dal diritto privato, in particolare dall’art. 2103 del codice civile. Pertanto, lo svolgimento di mansioni superiori comporta il diritto al riconoscimento della qualifica corrispondente.

Le regole sui concorsi pubblici per le assunzioni si applicano anche alle progressioni di carriera interne alle società partecipate?
No. La Corte ha chiarito che le norme che impongono procedure di evidenza pubblica (concorsi) riguardano esclusivamente il momento dell’assunzione, ovvero la costituzione del rapporto di lavoro. Non si estendono alle progressioni di carriera o all’assegnazione di mansioni superiori, che sono considerate modifiche di un rapporto già esistente e regolate dal diritto privato.

Quale disciplina regola il rapporto di lavoro nelle società a controllo pubblico?
Il rapporto di lavoro è disciplinato dalle norme del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro alle dipendenze di privati. Non si applica la disciplina del pubblico impiego (D.Lgs. n. 165 del 2001), se non in assenza di una disciplina speciale derogatoria che, per le mansioni, non è prevista.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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