Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23112 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23112 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/08/2025
Oggetto:
società a partecipazione
pubblica – mansioni superiori
Dott. NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 295/2021 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso l’indirizzo pec di quest’ultimo quale risultante dal Registri di Giustizia;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliata ope legis in ROMA, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione,
rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri di Giustizia ;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 188/2020 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 19/06/2020 R.G.N. 438/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/04/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME aveva agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Messina per sentir dichiarare l’illegittimità della revoca della progressione verticale disposta nei propri confronti e del provvedimento di demansionamento del 17/1/2014 con conseguente reintegra nelle precedenti mansioni, pagamento delle differenze retributive e risarcimento del danno.
Il COGNOME, già dipendente della RAGIONE_SOCIALE con inquadramento nel livello professionale E, era transitato presso la RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE in virtù di accordo sindacale in sede del quale era stata prevista, quale condizione, l’inquadramento nel livello C.
Aveva svolto mansioni superiori a quelle dell’inquadramento formale e la SUES gli aveva riconosciuto definitivamente, con nota del 3/11/2010, il livello D (a dire del ricorrente anche inferiore a quello spettantegli per le mansioni svolte che era quello della categoria E).
Tale riconoscimento nel livello D era stato revocato in data 17/1/2014 essendogli nuovamente attribuito il livello inferiore.
Le ragioni della revoca erano che la RAGIONE_SOCIALE, partecipata pubblica, non avrebbe potuto attribuire mansioni superiori per il solo fatto che le stesse erano state svolte in fatto.
Il ricorrente aveva contestato tale natura e rivendicato la legittimità dell’attribuzione dell’inquadramento superiore.
Il Tribunale di Messina respingeva il ricorso rilevando che la RAGIONE_SOCIALE era da considerarsi società in house e che lo svolgimento delle mansioni superiori era stato nello specifico autorizzato da un organo privo di competenza.
La Corte d’appello di Messina confermava tale decisione.
Condivideva la ricostruzione del primo giudice circa la sussistenza di una società in house.
Evidenziava che tali società erano tenute a conformarsi ai principi anche di derivazione europea di trasparenza, pubblicità e imparzialità e che in virtù dell’dell’art. 2 bis dell’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 conv. con modificazione nella l. n. 133 del 2008, norma introdotta dall’art. 19, comma 1, del d.l. n. 78 del 2009 conv. in l. n. 102 del 2009, a tali società si estendono i divieti o le limitazioni alle assunzioni applicabili all’amministrazione controllante.
Richiamava la pronuncia della Corte dei conti n. 244/2015 che riguardava un giudizio di responsabilità nei confronti degli organi dalla SEUS che avevano disposto inquadramenti superiori (con relativo esborso economico) e la ricostruzione normativa in quella sede effettuata dal Giudice contabile.
Riteneva che il divieto di assunzione senza il rispetto delle procedure di evidenza pubblica dovesse essere esteso a quello per l’inquadramento superiore e ciò anche se andava mantenuta ferma la natura privatistica dei rapporti di lavoro, secondo la previsione di cui all’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 165/2016 (T.U. delle società partecipate).
Avverso tale sentenza NOME COGNOME h a proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
La SEUS ha resistito con controricorso.
6 . Entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 16 e 19 del d.lgs. n. 175/2026.
Assume che la partecipazione pubblica non ha mutato la natura della SEUS quale soggetto privato.
Sostiene che, con riguardo alla gestione del rapporto di lavoro, non sussiste una regola generale idonea ad estendere tout court l’applicazione del T.U. sul pubblico impiego alle società partecipate.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 18 del d.l. n. 112/2008, 19 del d.lgs. n. 175/2016, 12 delle disposizioni preliminari al codice civile.
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’estensione alle partecipate del meccanismo selettivo per il reclutamento del personale comportasse la medesima regola anche per le progressioni verticali.
Ribadisce che le vicende dei rapporti di lavoro del personale sono regolate dal diritto privato.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ, omessa pronuncia sui capi della domanda formulati nel primo grado di giudizio e reiterati nel secondo grado.
Sono fondati i primi due motivi (che superano il vaglio di ammissibilità) con assorbimento del terzo.
Valuta il Collegio di condividere l’orientamento di legittimità espresso dalle pronunce Cass. nn. 35421 e 35422 del 1° dicembre 2022 nelle quali è stato affermato il seguente principio di diritto: «Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico non è disciplinato dal d.lgs. n. 165 del 2001, bensì dalle norme del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro alle dipendenze di privati, che trovano applicazione in assenza di una disciplina speciale derogatoria. L’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 e la legislazione della Regione Sicilia, che fa
divieto alle società a partecipazione totale o maggioritaria della Regione di procedere all’assunzione di nuovo personale ed impone il contenimento della spesa per il personale, non comportano una deroga all’applicazione, quanto alla disciplina delle mansioni, dell’art 2103 cod. civ.».
In tali pronunce, la cui motivazione va richiamata ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., è stato evidenziato, in relazione ai rapporti alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 2 del richiamato d.lgs. n. 165 del 2001, che l’art. 52, per il suo carattere speciale, impedisce, tenuto conto del sistema delle fonti delineato dall’art. 3, comma 2, l’applicazione della disciplina generale delle mansioni dettata dall’art. 2103 cod. civ., non compatibile con l’impiego pubblico, sia pure contrattualizzato, non solo per l’incidenza che su detta disciplina ha il principio della necessaria concorsualità dell’assunzione (incidenza che, come si vedrà, giustificherebbe il divieto solo nel caso di svolgimento di mansioni riferibili ad un’area diversa da quella di inquadramento), ma anche e soprattutto perché la normativa privatistica non si concilia con le regole e con i principi ai quali le amministrazioni pubbliche, non i soggetti privati, devono attenersi nell’organizzazione degli uffici, nella determinazione del fabbisogno di personale, nella correlata e necessaria previsione della spesa.
È stato tuttavia precisato che una analoga disposizione derogatoria della disciplina dettata dall’art. 2103 cod. civ. non si rinviene per i rapporti di lavoro alle dipendenze delle società a partecipazione pubblica, giacché il richiamato art. 18 del d.l. n. 112 del 2008, nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis , disciplina il reclutamento del personale e, quanto alla gestione dei rapporti costituiti, si limita a prevedere, al comma 2 bis , che «le predette società adeguano inoltre le proprie politiche di personale alle disposizioni vigenti per le amministrazioni controllanti in materia di contenimento degli oneri
contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze».
Anche l’art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016 ( ratione temporis non applicabile alla fattispecie), dopo avere enunciato il principio generale dell’applicazione ai dipendenti delle società a controllo pubblico delle disposizioni dettate dal codice civile e dalle leggi sul rapporto di lavoro alle dipendenze delle imprese private, limita la nullità testuale prevista dal comma 4 ai soli «contratti di lavoro stipulati in assenza dei provvedimenti o delle procedure di cui al comma 2» e, quanto alla gestione dei rapporti, prevede unicamente il potere del socio pubblico di fissare «con propri provvedimenti, obiettivi specifici, annuali e pluriennali, sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale, delle società controllate, anche attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale e tenuto conto di quanto stabilito all’articolo 25, ovvero delle eventuali disposizioni che stabiliscono, a loro carico, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, tenendo conto del settore in cui ciascun soggetto opera».
Il legislatore, attraverso la previsione di un obbligo, posto a carico della società, di perseguire nelle politiche inerenti al personale il contenimento dei costi, indirettamente gravanti sulla spesa pubblica, ha fissato una regola di comportamento per gli amministratori delle partecipate, che incide sul rapporto che si instaura fra il socio pubblico e la società e può essere fonte di responsabilità, eventualmente anche erariale, ai sensi dell’art. 12 del richiamato d.lgs. n. 175 del 2016.
Da quell’obbligo, peraltro, non si può desumere la nullità degli atti adottati dalla società in violazione delle direttive date dal socio pubblico, perché il legislatore non ha previsto un meccanismo analogo a quello pensato per l’impiego pubblico contrattualizzato, in relazione al quale il combinato disposto degli artt. 2, comma 3, e 45 del d.lgs. n. 165 del
2001 garantisce, a pena di nullità della pattuizione individuale, la necessaria conformazione del contratto individuale a quello collettivo.
Escluso, quindi, che l’attribuzione definitiva della qualifica superiore possa essere impedita dalle disposizioni di leggi, statali e regionali, che onerano gli amministratori delle società controllate di perseguire nella gestione del personale politiche di contenimento dei costi, va parimenti escluso che l’applicazione dell’art. 2103 cod. civ. si ponga in contrasto con gli obblighi imposti in tema di reclutamento alle società a controllo pubblico.
È risalente nel tempo, ma ancora attuale, l’orientamento espresso da questa Corte secondo cui nel rapporto di lavoro alle dipendenze di privati il mutamento delle mansioni e della qualifica non comporta novazione oggettiva del rapporto di lavoro intercorso, senza soluzione di continuità, fra i medesimi soggetti, giacché l’art. 2103 cod. civ., in tutte le versioni succedutesi nel tempo, prevedendo la possibilità di assegnazione del lavoratore a mansioni diverse, considera il mutamento delle mansioni originarie come semplice modificazione dell’oggetto dello stesso rapporto, anche nell’ipotesi in cui l’attribuzione di una diversa qualifica comporti l’applicazione di una diversa normativa collettiva o il passaggio ad altra categoria (cfr. Cass. n. 11/1988, Cass. n. 186/1984, Cass. n. 1055/1975).
Nel rapporto di lavoro alle dipendenze di privati, pertanto, l’attribuzione della qualifica superiore avviene nell’ambito dell’unico rapporto già costituito e non determina l’instaurazione di un rapporto autonomo, distinto dal precedente, sicché non può essere equiparata all’assunzione.
Alla luce del richiamato principio, applicabile alle società a partecipazione pubblica per la natura privatistica delle stesse e dei rapporti dalle medesime instaurati, è da escludere che la disciplina del reclutamento, dettata dapprima dall’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 e poi
dall’art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016, possa essere interpretata nel senso di ricomprendere anche le progressioni di carriera.
Per effetto delle pronunce della Corte costituzionale sull’ambito di applicazione dell’art. 97, ultimo comma, Cost., un diverso orientamento è stato espresso quanto all’impiego pubblico contrattualizzato, in relazione al quale le Sezioni Unite di questa Corte hanno operato una distinzione fra le procedure finalizzate all’inquadramento dei dipendenti in aree funzionali o categorie più elevate e quelle comportanti una progressione all’interno di ciascuna area professionale o categoria, sia con l’acquisizione di posizioni più elevate meramente retributive, sia con il conferimento di un livello funzionale superiore, perché connotato da un complesso di mansioni e di responsabilità. Solo alle prime è stata riconosciuta efficacia novativa del rapporto, con la conseguenza che alle stesse, anche ai fini della giurisdizione, è stata attribuita la medesima natura delle procedure concorsuali finalizzate all’instaurazione del rapporto (cfr. fra le tante Cass. S.U. n. 26270/2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).
L’equiparazione alla costituzione del rapporto di impiego del passaggio fra aree diverse, non si presta, però, ad essere applicata alle società controllate né può costituire un argomento per estendere all’assegnazione di fatto di mansioni superiori la nullità virtuale derivante dalla previsione dell’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 o quella testuale prevista dall’art. 19, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2016. Quanto al primo aspetto va detto che la contrattazione collettiva applicabile ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle società controllate non è quella disciplinata dal d.lgs. n. 165 del 2001 che, in relazione alla classificazione del personale, tiene conto della distinzione fra area di inquadramento e livello o posizione economica all’interno dell’area. D’altro canto, e questo argomento potrebbe essere assorbente rispetto ad ogni altra considerazione, l’orientamento che riconosce un’efficacia novativa al passaggio di area ha ragionato su rapporti di impiego
pubblico che richiedono, nella normalità, il superamento di una procedura concorsuale in senso stretto, attuativa del precetto dell’art. 97 Cost., procedura alla quale la stessa Corte Costituzionale ha escluso che possa essere equiparata quella prevista dai richiamati artt. 18 del d.l. n. 112 del 2008 e 19 del d.lgs. n. 175 del 2016.
In particolare, ha sottolineato la Corte che «con l’art. 18 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modifiche, e poi con il citato art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016, sono stati introdotti criteri di selezione ai fini delle assunzioni del personale in questione, ma è anche vero che non si è mutata la natura strettamente privatistica del rapporto, né si è imposta una procedura propriamente concorsuale. Rimane dunque fra questo personale e quello dipendente delle pubbliche amministrazioni una barriera tuttora insuperabile, che trova la sua giustificazione anzitutto sul piano delle scelte discrezionali compiute dal legislatore statale nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di ordinamento civile …» (Corte cost. n. 227/2020).
In altri termini, fermo restando che le procedure di reclutamento imposte dalle disposizioni inderogabili più volte richiamate costituiscono formalità necessarie per l’instaurazione del rapporto alle dipendenze delle società controllate, rapporto del quale condizionano la validità, sulla previsione delle stesse non si può fare leva per ritenere derogata, in assenza di un’espressa previsione normativa, la disciplina delle mansioni del rapporto già costituito, sia perché alle società partecipate non possono essere estesi né l’art 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 né i principi affermati dalla Corte Costituzionale in tema di concorsi pubblici interni, sia in quanto la nullità virtuale ex art. 1418, comma 1, cod. civ., richiede che la norma proibitiva si riferisca al contratto o all’atto del quale si vuole porre in discussione la validità.
Non avvalora la tesi della nullità virtuale, come si è detto non predicabile, l’ipotizzare un uso distorto della disciplina delle mansioni per ottenere un risultato finale contrastante con i principi di imparzialità, trasparenza e pubblicità che stanno alla base della norma sul reclutamento. In quel caso, infatti, alla responsabilità civilistica ed erariale nei confronti della società e del socio pubblico dell’amministratore che detto uso distorto abbia realizzato, sul piano contrattuale si può affiancare, sempre che ne ricorrano i presupposti, il rimedio civilistico tratto dalla disciplina della frode alla legge, ravvisabile nei casi in cui nonostante la liceità del mezzo impiegato, sia illecito il risultato ottenuto.
Le considerazioni esposte con riferimento alla disciplina statale che impone procedure di reclutamento ispirate ai principi dell’evidenza pubblica e onera gli amministratori di perseguire politiche di contenimento della spesa, valgono anche per la legislazione regionale richiamata dalla Corte territoriale dalla quale, quindi, non si può evincere la deroga alla disciplina dettata dall’art. 2103 cod. civ.
Conclusivamente vanno accolti i primi due motivi, assorbito il terzo.
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’appello di Messina che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame sulla base dei principi sopra ricordati e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2025.