Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26260 Anno 2024
AULA B
Civile Ord. Sez. L Num. 26260 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6330/2019 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME
-ricorrente – contro
Oggetto: Lavoro pubblico contrattualizzato – Personale sanitario – Svolgimento mansioni superiori – Responsabile struttura semplice – Differenze retributive – Presupposti
–
R.G.N. 6330/2019
Ud. 13/09/2024 CC
NOME COGNOME, NOME COGNOME , elettivamente domiciliate in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che le rappresenta e difende
-controricorrenti –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 4573/2018 depositata il 20/12/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 13/09/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 4573/2018, depositata in data 20 dicembre 2018, la Corte d’appello di Roma, nella regolare costituzione delle appellate NOME COGNOME e NOME COGNOME, ha respinto il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 1048/2015 che aveva condannato la stessa RAGIONE_SOCIALE a corrispondere a ciascuna appellata l’importo di € 26.476,31 a titolo di differenze retributive dovute per lo svolgimento di mansioni superiori.
NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano adito il Tribunale di Roma, riferendo di essere dirigenti psicologhe presso l’RAGIONE_SOCIALE e di avere già conseguito dal Tribunale di Roma, sentenza n. 19514/2010 -indicata nella sentenza impugnata come ‘non appellata’ -la quale, in relazione al periodo 2002-2007, aveva accertato che le stesse ricorrenti, pur se formalmente inquadrate nell’incarico di alta professionalità A1, avevano di fatto svolto mansioni corrispondenti a quelle dei dirigenti di struttura semplice B2 ed aveva quindi accolto la domanda di riconoscimento delle differenze retributive.
Dopo tale premessa, le ricorrenti, deducendo il protrarsi dello svolgimento di fatto delle mansioni di dirigente B2 anche nel periodo 1° gennaio 2008 -31 luglio 2013, avevano chiesto la condanna dell ‘ RAGIONE_SOCIALE alla corresponsione delle ulteriori differenze retributive.
La Corte d’appello di Roma ha disatteso il gravame dell ‘ RAGIONE_SOCIALE, rilevando che l’appellante non aveva ‘mai contestato congruamente né provato sufficientemente che le lavoratrici non avessero continuato a svolgere durante l’inquadramento nell’incarico di alta professionalità A1 le medesime mansioni previste dal precedente inquadramento nell’incarico di stru ttura semplice interna B2’ , essendosi limitata a produrre documentazione che attestava esclusivamente un riassetto aziendale, ‘tacendo del tutto circa l’effettivo svolgimento delle mansioni delle appellate nei termini già giudizialmente accertati per periodo antecedente a quello per cui è causa’ , ed anzi osservando che la stessa documentazione prodotta dall’appellante veniva a dimostrare che le mansioni precedentemente svolte dalle appellate erano confluite dall’incarico di struttura semplice interna B2 all’incarico di alta professionalità A1, ad indiretta conferma del fatto che le appellate avevano abbiano continuato a svolgere ‘le medesime mansioni superiori anche nel periodo per cui è causa’ .
La Corte capitolina ha disatteso anche le contestazioni circa la quantificazione delle differenze retributive, in quanto ritenute generiche e non accompagnate da alcuna richiesta di specifico accertamento istruttorio.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre ora RAGIONE_SOCIALE.
Resistono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a cinque motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; 19, D. Lgs. N. 165/2001 e 2103 c.c.
La ricorrente censura la decisione impugnata, in quanto la Corte territoriale avrebbe assunto la propria decisione senza ritenere rilevanti le prove dedotte dalla stessa ricorrente, dalle quali, invece, sarebbe emerso che le mansioni precedentemente svolte dalle controricorrenti erano cessate a seguito di un riassetto aziendale che aveva determinato il venir meno delle strutture operative ed il confluire di tutti gli incarichi nell’ambito di quelli di alta professionalità A1.
Argomenta, ulteriormente, che alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo, non essendo rilevante per il personale dirigenziale la tipologia di mansioni espletate e non trovando applicazione l’art. 2103 c.c., con esclusione del diritto alla conservazione dell’incarico.
Contesta la debenza della voce di retribuzione di posizione, in quanto quest’ultima dovrebbe ritenersi correlata alle funzioni attribuite, e quindi non dovuta in caso di cessazione dell’incarico precedente ed attribuzione di uno nuovo.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 40, comma 8, CCNL 1998-2001.
La ricorrente deduce che la decisione impugnata, nel sancire il diritto delle controricorrenti ad una tipologia di incarico analogo a quello andato a scadenza, riconoscendo lo stesso trattamento economico in precedenza goduto ed indipendentemente dalle esigenze di ristrutturazione aziendale manifestate dalla parte datoriale, si porrebbe in contrasto con l’articolo 40, comma 8, del CCNL quadriennio normativo 1998/2001.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘violazione e/o falsa applicazione e/o omessa pronuncia sull’art. 9, comma 32, del Decreto Legge 13 settembre 2012, convertito con modifiche nella Legge 30 Luglio 2010 n. 122. Violazione dell’articolo 19 decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e dell’articolo 28 del CCNL 1998/2001’
La ricorrente censura la sentenza della Corte d’appello di Roma, in quanto la stessa:
-avrebbe omesso di valutare le prescrizioni di cui alla Legge n. 122/2010, e quindi omesso di considerare che alla scadenza di un qualsiasi incarico dirigenziale, vi era libertà di non rinnovare l’incarico dirigenziale scaduto;
-avrebbe parimenti deciso in contrasto con quanto stabilito dall’art. 15, comma 4, D. Lgs. N. 502/1992, nella versione modificata dal D.L. n. 158/2012, nonché dall’art. 9, comma 32, D.L. n. 78/2010, ivi richiamato.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce:
-in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘violazione ed errata applicazione’ degli artt. 132 c.p.c. e 2909 c.c.;
-in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., la ‘omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la decisione impugnata:
-avrebbe disatteso il gravame, confermando la fondatezza della pretesa delle ricorrenti unicamente sul presupposto che nel periodo 2008-2013 le controricorrenti avevano continuato a svolgere attività di direzione di struttura semplice, come già accertato con valenza di giudicato dalla precedente sentenza del Tribunale di Roma in relazione agli anni 2002-2007, senza tuttavia articolare una concreta motivazione di tale ragionamento, limitandosi a rinviare alla precedente decisione passata in giudicato, ed anzi estendendo la valenza di tale giudicato anche al periodo successivo;
-avrebbe erroneamente affermato che nei precedenti gradi l’odierna ricorrente aveva omesso di contestare le allegazioni delle ricorrenti, sebbene tali contestazioni fossero state invece mosse e non fossero state esaminate dalla Corte, nonostante la presenza anche di una delibera della ricorrente che aveva espressamente attribuito alle odierne controricorrenti altri incarichi.
1.5. Il quinto motivo di ricorso è rubricato, testualmente, ‘Omessa/insufficiente motivazione violazione dell’art. 132 c.p.c. -Violazione dell’art. 115 116 c.p.c. -Errata quantificazione delle differenze retributive in relazione all’art. 360 n. 3 n. 5 cpc’ .
Il ricorso impugna la decisione della Corte capitolina, nella parte in cui quest’ultima ha ritenuto generiche le contestazioni sul quantum debeatur mosse dall ‘appellante ed attribuisce alla decisione medesima di avere acriticamente recepito il conteggio delle odierne
contro
ricorrenti, senza adeguata motivazione e senza valutare le contestazioni svolte dalla stessa ricorrente sull’ammontare della somma richiesta.
Deduce ulteriormente la contraddittorietà della decisione di prime cure, recepita dalla decisione impugnata, in quanto la stessa ha ritenuto coperti dal giudicato i criteri di determinazione delle differenze dovute, pervenendo tuttavia al riconoscimento di una somma proporzionalmente maggiore.
I motivo di ricorso sono, nel complesso, inammissibili.
2.1. Il primo motivo si sviluppa su due piani che risultano, tuttavia, entrambi inammissibili.
La ricorrente, infatti, viene, in primo luogo, a sollecitare un inammissibile sindacato sulla valutazione delle prove -riservata invece al giudice del merito (Cass. Sez. U, n. 898 del 14/12/1999 e successivamente Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 13918 del 03/05/2022; Cass. Sez. 1 Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004) -e viene a dolersi della mancata valutazione di altre prove, da essa offerte, omettendo tuttavia anche solo di specificare , nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., il contenuto di tali prove -genericamente individuate come ‘atti deliberativi aventi forza di atti pubblici’ -e senza, parimenti, specificare con quali atti le odierne controricorrenti avrebbero omesso di contestare le allegazioni cui le prove si riferivano.
Il tutto non senza rammentare il principio per cui spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte, la quale, ex art. 115 c.p.c.,
produce l’effetto della relevatio ab onere probandi (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3680 del 07/02/2019), in quanto tale apprezzamento esige l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda e delle deduzioni delle parti da ciò derivando che l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione risulta sindacabile in cassazione solo per solo per difetto assoluto o apparenza di motivazione o per manifesta illogicità della stessa (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 10182 del 03/05/2007).
Il motivo, in secondo luogo, svolge una serie di considerazioni sull’assenza, in capo alle controricorrenti, di un diritto alla conservazione dell’incarico, in tal modo, però, non intercettando l’effettiva ratio decidendi della decisione impugnata, la quale non ha ragionato in termini di diritto alla conservazione dell’incarico, ma ha ritenuto che le controricorrenti avessero proseguito lo svolgimento di fatto di mansioni già dedotte in un precedente procedimento, senza alcun riferimento al diritto alla conservazione di un incarico di cui, peraltro, non risultava neppure dedotto il formale conferimento.
2.2. Il medesimo vizio da ultimo evidenziato caratterizza il secondo ed il terzo motivo di ricorso, anch’ess i incentrati su non pertinenti deduzioni in ordine all’assenza di un diritto alla conservazione dell’incarico, e cioè su un tema del tutto estraneo, come appena visto, alla ratio della sentenza impugnata.
2.3. Il quarto motivo risulta inammissibile, in primo luogo, nella formulazione della censura ex art. 360, n. 5), c.p.c., la cui proposizione, in relazione ad un giudizio di appello iniziato nel 2015, è preclusa dal disposto di cui all’ art. 348ter c.p.c., dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi
distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
Quanto alla censura ex art. 360, n. 3), c.p.c., è opportuno dare atto del fatto che la ricorrente -nella memoria ex art. 380bis .1 -è venuta a contestare che sulla precedente decisione del Tribunale di Roma fosse venuto a formarsi giudicato, per effetto della proposizione di un appello.
Al di là di ogni ulteriore considerazione, tuttavia, tale profilo non vale ad escludere l’inammissibilità della censura, la quale nuovamente non coglie la ratio della decisione impugnata: quest’ultima, infatti, non si è in alcun modo venuta a fondare né sulla valenza di giudicato della precedente sentenza del Tribunale di Roma -solo accennata nella parte in fatto della motivazione ma mai concretamente invocata come fondamento della decisione -né sull’ultrattività di tale giudicato come invece affermato in ricorso -avendo invece ritenuto, sulla base di un autonomo accertamento, che le odierne controricorrenti avessero proseguito lo svolgimento di fatto delle diverse mansioni anche nel periodo successivo a quello che era stato dedotto nel precedente giudizio.
2.4. Il quinto ed ultimo motivo viene, in primo luogo, a dedurre una ‘omessa/insufficiente motivazione’ che, invece, non rientra più nell’orizzonte applicativo dell’art. 360, n. 5, c.p.c., essendosi ormai consolidato il principio per cui la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con Legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata,
alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
Al di là di tale carenza di fondo, il motivo risulta ulteriormente inammissibile sia a causa del significativo difetto di specificità ex art. 366 c.p.c. sia in virtù del fatto che gran parte delle considerazioni critiche risultano indirizzate alla decisione di prime cure, e non a quella d’appello, non essendo neppure precisate le censure che sul punto erano state formulate con l’atto di appello.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la
debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alle controricorrenti le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 4.700,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con distrazione.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis , ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione