Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20223 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20223 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/07/2025
R.G.N. 26053/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 20/05/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 26053-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente principale –
contro
PROVINCIA DI FERMO, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 102/2021 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 08/04/2021 R.G.N. 326/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Ancona ha riformato parzialmente la sentenza del Tribunale di Fermo che aveva rigettato il ricorso e,
in parziale accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME dipendente della Provincia Fermo, ha accertato lo svolgimento di mansioni superiori di categoria D, livello retributivo D 1, con decorrenza dal 1° dicembre 2013 e ha condannato l’ente appellato al pagamento delle differenze retributive maturate a decorrere dalla data sopra indicata.
2. La Corte distrettuale ha analizzato le declaratorie contrattuali in rilievo e ha ritenuto che l’area D si caratterizza rispetto a quella inferiore per il livello di conoscenza posseduto (approfondita e monospecialistica per l’area C – elevata e plurispecialistica per la categoria D) e per la diversa complessità dei problemi da affrontare (media per la categoria C – elevata per l’area D). Ha precisato, poi, che nell’area C rientra il profilo professionale del dipendente che svolge attività istruttoria nel rispetto di procedure e di adempimenti di legge, mentre va inquadrato in categoria D il personale che, oltre a svolgere la predetta attività di istruzione, predispone e redige atti e documenti riferiti all’attività amministrativa dell’ente, comportanti un significativo grado di complessità.
Valutate le risultanze processuali, ed in particolare le produzioni documentali e le deposizioni rese dai testi, il giudice d’appello ha ritenuto provato lo svolgimento di mansioni superiori a partire dal dicembre 2013 ed ha evidenziato al riguardo che nel periodo in parola l’appellante aveva redatto numerosi atti a sua firma dei procedimenti pendenti dinanzi al Giudice di pace nonché in sede amministrativa, consistenti in deduzioni difensive o memorie, alcune particolarmente articolate. Ha escluso che, come sostenuto dalla Provincia, il COGNOME si fosse limitato a completare atti già parzialmente predisposti dalla società alla quale il servizio era stato appaltato perché, al contrario, quest’ultima aveva trasmesso modelli estremamente
generici e ben lontani dal documento finale redatto dal ricorrente.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso sulla base di due motivi, ai quali ha opposto difese la Provincia di Fermo che ha notificato controricorso con ricorso incidentale affidato ad un’unica censura.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 8, comma 5, del CCNL del 14 settembre 2001 (C.C.N.L. per il personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie Locali) per omessa pronuncia o error in procedendo» e addebita alla Corte territoriale di non avere statuito su tutta la domanda così come proposta. Precisa al riguardo che nell’atto di appello era stata espressamente richiesta la condanna della Provincia di Fermo al pagamento delle differenze retributive da quantificare sulla base del criterio indicato nell’art. 8 del CCNL del 14 settembre 2001, secondo cui in caso di assegnazione a mansioni superiori spetta al dipendente la differenza fra i livelli iniziali, e non si può tener conto della posizione economica di appartenenza e di quanto percepito a titolo di retribuzione individuale di anzianità. Deduce che la Corte non ha in alcun modo affrontato la questione posta nell’atto d i appello e si è limitata a condannare la Provincia al pagamento delle differenze retributive, senza indicare il criterio di calcolo delle medesime.
1.2. La seconda critica del ricorso principale denuncia, ai sensi dei nn. 3 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 8, comma 5, del CCNL del 14.9.2001 per il personale del comparto enti locali e, oltre a rilevare la mancanza di motivazione sulla questione indicata nel primo motivo, deduce che, ove interpretata la sentenza come pronuncia implicita di rigetto della domanda, la stessa sarebbe affetta dal vizio denunciato in ragione della chiarezza della disposizione contrattuale invocata.
Il ricorso incidentale, con un unico motivo formulato ai sensi dei nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 c.c., 52 e 53 d.lgs. n. 165/2001 nonché l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio e addebita alla Corte territoriale di non avere considerato che in caso di mansioni promiscue occorre accertare che quelle proprie dell’area superiore siano state svolte in maniera quantitativamente significativa e con prevalenza qualitativa e temporale rispe tto ai compiti propri dell’area di inquadramento. Sostiene che detto accertamento è stato omesso dal giudice d’appello e richiama le deduzioni contenute nella memoria difensiva in merito al numero degli atti formati dal COGNOME nel periodo di asserito svolgimento delle mansioni superiori, sufficiente a dimostrare che l’at tività era stata resa sporadicamente, sì da non dare titolo alle domandate differenze retributive.
Il ricorso principale è inammissibile perché le censure, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, risultano formulate senza il necessario rispetto degli oneri imposti dall’art. 366 n. 6 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis .
La disposizione in parola, che richiede la «specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda», è stata costantemente
interpretata da questa Corte nel senso che « indicare specificamente un atto o documento significa, come le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto ripetutamente modo di chiarire, che il rispetto della citata disposizione…. esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere, ulteriormente, anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo articolo 369, comma 2, n. 4, c.p.c. (Cass., Sez. Un., 2 dicembre 2008, n. 28547). … Come è stato ribadito, l’osservanza del requisito della specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, requisito previsto dall’articolo 366, n. 6, c.p.c., richiede «che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur indicato nel ricorso, risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo è rintracciabile» (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; di recente, tra le tantissime, sulla stessa linea, Cass. n. 9341 del 2020; Cass. n. 2520, Cass. n. 2020 e n. 710 del 2020; Cass. n. 28712 del 2019; Cass. n. 17337 del 2019) » ( Cass. n. 28184/2020 e negli stessi termini, fra le tante più recenti Cass. n. 17959/2025).
Si tratta di principio che le Sezioni Unite hanno ribadito, pur accedendo ad una interpretazione non formalistica del requisito della cosiddetta autosufficienza del ricorso per cassazione, rilevando che « se, da un lato, la «specifica indicazione» non si può «tradurre in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso» (così Cass. S.U. n. 8950/2022), dall’altro sono comunque necessarie l’individuazione chiara del contenuto dell’atto nonché la produzione o l’indicazione della esatta collocazione dello stesso
nel fascicolo processuale. Ciò perché il requisito di ammissibilità del ricorso è finalizzato a consentire al giudice di legittimità l’esatta comprensione del contenuto della doglianza nonché la valutazione sulla fondatezza della stessa e, pertanto, come evidenziato dalla Corte EDU nella pronuncia del 28 settembre 2021, serve a semplificare l’attività dell’organo giurisdizionale nazionale, assicurando nello stesso tempo la certezza del diritto, la corretta amministrazione della giustizia, l’utilizzo approp riato e più efficace delle risorse disponibili ( punti 75, 78, 104 e 105 della motivazione). » ( Cass. S.U. n. 22986/2024).
Nella fattispecie il ricorso, pur riportando stralci dell’atto di appello, non fornisce alcuna indicazione in merito alla localizzazione dell’atto processuale (a pag. 20 si fa generico riferimento alle produzioni di primo e secondo grado ed al fascicolo d’ ufficio) e del ricorso di primo grado, le cui conclusioni erano state espressamente richiamate nell’atto di impugnazione, sicché non assolve all’onere di specificazione, da intendere nei termini sopra indicati.
3.1. Va, poi, aggiunto che, anche qualora si volessero tenere in disparte i requisiti formali richiesti dal codice di rito, le censure sarebbero comunque inammissibili ex art. 360 bis, n. 2, c.p.c. perché neppure il ricorrente pone in dubbio che nella specie fosse stata formulata una domanda di condanna generica, non specifica, al pagamento delle differenze retributive maturate in conseguenza dello svolgimento delle mansioni superiori.
E’ noto che a fronte della proposizione di siffatta domanda il giudice deve limitare la pronuncia all’ an debeatur, ossia all’accertamento sulla sussistenza del diritto azionato o del fatto generatore della responsabilità, mentre tutte le questioni inerenti alla quantificazione delle somme dovute o alla liquidazione del danno restano riservate al successivo giudizio
sul quantum ( cfr. fra le tante Cass. n. 23855/2024; Cass. n. 8729/2023), sicché è in quella sede che potrà venire in rilievo la questione prospettata nel secondo motivo di ricorso (in ordine alla quale rileva il principio di diritto recentemente affermato da Cass. n. 22958/2024), chiaramente attinente non all’ an bensì al quantum debeatur .
Inammissibile è anche il ricorso incidentale che, da un lato, non coglie pienamente il decisum della sentenza impugnata, dall’altro, attraverso la deduzione solo formale del vizio di violazione di legge, mira ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice del merito e si risolve in un’inammissibile critica del ragionamento decisorio seguito dalla Corte territoriale quanto agli accertamenti di fatto, sollecitandone la revisione, non consentita in sede di legittimità.
Quanto al primo aspetto va detto che alle pagine 4 e 5 della motivazione la Corte territoriale, dopo aver dato atto delle difese della Provincia di Fermo in merito alla mancanza di continuità ed esclusività delle mansioni superiori, ne ha escluso la fondatezza, rilevando che dalla istruttoria erano emersi l’adibizione ‘in via principale e continuativa’ allo studio dei ricorsi proposti avverso le sanzioni amministrative ed alla elaborazione di atti ritenuti complessi, ed il carattere del tutto residuale delle mansioni di ufficiale di polizia giudiziaria.
Il ricorso incidentale, nella parte in cui addebita al giudice d’appello di non avere accertato la necessaria prevalenza delle mansioni superiori e di avere omesso l’esame di un fatto decisivo, svolge, dunque, considerazioni prive della necessaria attinenza al decisum , perché, ragionando nei termini sopra riassunti, la Corte distrettuale non si è discostata dai principi di diritto richiamati nell’impugnazione incidentale, dei quali ha
fatto applicazione, ritenendo che fosse stata raggiunta la prova della continuità e della prevalenza delle mansioni superiori.
E’ consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti fissati dalla normativa processuale succedutasi nel tempo. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è, dunque, segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. fra le tante Cass. n. 26033/2020; Cass. n. 3340/2019; Cass. n. 640/2019; Cass. n. 24155/2017).
Quest’ultima evenienza è quella che ricorre nella fattispecie poiché il ricorrente incidentale, addebitando alla sentenza gravata un’errata valutazione della prova documentale e delle dichiarazioni testimoniali, finisce per censurare l’accertamento di fatto riservato al giudice del merito e prospetta un vizio che esorbita dai limiti del riformulato art. 360 n. 5 c.p.c. ( sulla cui interpretazione si rinvia a Cass. S.U n. 8053/2014; Cass. S.U. n. 9558/2018; Cass. S.U. n. 33679/2018; Cass. S.U. 34476/2019).
In via conclusiva entrambi i ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
La soccombenza reciproca giustifica l’integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente principale e dal ricorrente incidentale.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili entrambi i ricorsi e compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione