Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32420 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32420 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
Il Tribunale di L’Aquila, in parziale accoglimento delle domande proposte da NOME COGNOME ed NOME COGNOME, dipendenti del Ministero della giustizia inquadrate nella posizione economica F2, ha riconosciuto il loro diritto alle differenze di retribuzione corrispondenti alla fascia economica F3 in ragione dello svolgimento di mansioni superiori nel periodo dal 28.7.2011 al 20.7.2016.
La Corte di Appello di L’Aquila, in accoglimento del gravame proposto dal Ministero della giustizia, in riforma di tale sentenza, ha rigettato le domande proposte con l’originario ricorso da NOME COGNOME e d NOME COGNOME.
La Corte territoriale ha rilevato che con le sentenze nn. 188/2012 e 62/2014 del Tribunale di L’Aquila, passate in giudicato, alle originarie ricorrenti era stato riconosciuto il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori per il passaggio dalla posizione economica F1 alla posizione economica F2 nei limiti della prescrizione, fino alla data del deposito dei rispettivi ricorsi (18.5.2010 per la COGNOME e 5.12.2012 per la COGNOME).
In assenza di indicazioni relative alla delimitazione temporale, il giudice di appello ha ritenuto coperte da giudicato tutte le domande proposte dalle lavoratrici per il periodo anteriore alle domande giudiziali, e dunque fino al 18.5.2010 per la COGNOME e fino al 5.12.2012 per la COGNOME.
Ha riconosciuto che pur avendo l’inquadramento nel 2009 delle lavoratrici (precedentemente inquadrate nella fascia economica F1) nella fascia economica F2 all’esito di procedure selettive sterilizzato gli effetti delle sentenze n. 188/2012 per la COGNOME e n. 62/2014 per la COGNOME per il periodo successivo al 1.1.2009, non aveva fatto venire meno gli effetti dell’accertamento compiuto in ordine al rapporto giuridico dedotto in giudizio e alle sottese questioni di fatto, che ne avevano costituito la premessa logica.
Considerato che la ricostruzione fattuale emersa all’esito della prova testimoniale espletata nel giudizio di primo grado non era stata censurata, ha
ritenuto corretto l’inquadramento della COGNOME e della COGNOME nella fascia economica F2 anche nel periodo 2011-2016.
Ha osservato che gli assistenti giudiziari con posizione economica F2 possono essere adibiti all’assistenza al magistrato nell’attività istruttoria o nel dibattimento, con compiti di redazione e sottoscrizione dei relativi verbali ed ha ritenuto indimostrato lo svolgimento, da parte delle lavoratrici, di compiti di collaborazione qualificata al magistrato nei vari aspetti connessi all’attività dell’ufficio in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale.
Avverso tale sentenza la COGNOME e la COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria.
Il Ministero della giustizia è rimasto intimato.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione delle norme sul giudicato, ai sensi dell’art. 2909 cod. civ.
Evidenzia che con la sentenza n. 188/2012 del Tribunale di L’Aquila, il Ministero della giustizia era stato condannato a corrispondere alla COGNOME le differenze di retribuzione dal 31.3.2004 al 31.12.2008, mentre con sentenza n. 62/2014 del Tribunale di L’Aquila, il Ministero della giustizia era stato condannato a corrispondere alla COGNOME le differenze di retribuzione da giugno 2008 al 31.12.2008.
Addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente riconosciuto che gli effetti del giudicato coprissero tutte le domande proposte nel periodo anteriore al 18.5.2010 per la COGNOME e al 5.12.2012 per la COGNOME.
Richiama il principio secondo cui nel pubblico impiego privatizzato, il giudicato di accertamento dello svolgimento di mansioni superiori non comporta l’acquisizione della migliore qualifica, ma solo la condanna al pagamento delle differenze retributive, sicché esso ha efficacia vincolante anche per i periodi successivi solo se il lavoratore, immutata la disciplina collettiva, alleghi e provi il reiterarsi delle mansioni superiori anche in detto arco temporale, evidenziando
che le ricorrenti avevano dimostrato il reiterarsi dello svolgimento di mansioni superiori.
2.Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Deduce che nel pubblico impiego privatizzato il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità dell’assegnazione alle medesime o alle previsioni dei contratti collettivi.
Critica la sentenza impugnata per non avere esposto il percorso logicogiuridico in base al quale aveva escluso lo svolgimento di mansioni superiori.
Lamenta l’omissione, l’incongruità, l’illogicità e la genericità della motivazione.
Addebita alla Corte territoriale di avere sommariamente esaminato le attività lavorative svolte dalle ricorrenti e le qualifiche previste dal CCNL di categoria.
Si duole della mancata disamina delle emergenze processuali.
Il primo motivo è inammissibile.
La censura non è decisiva, in quanto pur avendo la Corte territoriale escluso lo svolgimento di mansioni superiori nel periodo successivo al 18.5.2010 per la COGNOME e al 5.12.2012 per la COGNOME, ha svolto un accertamento riguardante l’intero periodo (ha infatti dato atto dell’esito dell’istruttoria svolta nel giudizio di primo grado).
Anche il secondo motivo è inammissibile, in quanto non coglie il decisum . La Corte territoriale ha infatti comparato le mansioni svolte dalle lavoratrici ( come risultanti dall’istruttoria testimoniale) con le declaratorie contrattuali delle posizioni economiche F2 ed F3.
Non è dunque configurabile l’omessa motivazione.
Sono a loro volta inammissibili le censure relative all’incongruenza e all’illogicità della motivazione .
Deve infatti rammentarsi che in seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per
cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza- di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, mentre al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Inoltre, la censura sollecita un giudizio di merito attraverso una diversa valutazione della prova testimoniale.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Nessuna statuizione va adottata sulle spese di lite, in quanto il Ministero della giustizia è rimasto intimato.
7 . Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per le ricorrenti, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso ;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per le parti ricorrenti , ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte