Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14413 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14413 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 30646-2019 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE -AGENTE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE PER RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 141/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 15/04/2019 R.G.N. 306/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/03/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale di Gela di rigetto delle domande proposte da NOME COGNOME contro RAGIONE_SOCIALE, dirette a: ‘ Ritenere e dichiarare il diritto della ricorrente all’attribuzione della categoria di Quadro QD1 1 livello retributivo ai sensi ed effetti dell’art. 82 CCNL ed art. 35 CIA per le mansioni superiori disimpegnate senza soluzione di continuità dal 2008 al luglio del 2009 presso la Concessione RAGIONE_SOCIALE. Conseguentemente, ordinare alla RAGIONE_SOCIALE di inquadrare la ricorrente nella Area Quadro QD1 a far data 1 gennaio 2009 o quell’altra data che il giudice dovesse riconoscere ed a corrisponderle le consequenziali differenze retributive e quant’altro spettante per legge o contratti ‘;
avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la dr.ssa COGNOME con unico complesso motivo; resiste la società con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza odierna; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
parte ricorrente censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 190/1985 e degli artt. 82 e 93 del CCNL per i quadri direttivi e per il personale delle aree professionali (dalla 1° alla 3°) dipendenti da RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e società RAGIONE_SOCIALE, applicato al rapporto, in relazione agli artt. 1362 e 1363 c.c.; sostiene che
la Corte territoriale avrebbe erroneamente optato per una lettura atomistica della figura di quadro direttivo, prescindendo dal tenore complessivo della declaratoria contrattuale, che annette al suo interno varie tipologie di mansioni, mentre, applicando correttamente la norma di legge (art. 2 della legge n. 190/1985) e la norma contrattual-collettiva (art. 82 CCNL), sulla scorta delle funzioni concretamente disimpegnate, desumibili dall’ ordine di servizio del 7.10.2019 e dalle dichiarazioni rese dal teste COGNOME, la Corte distrettuale avrebbe dovuto concludere per la riconducibilità delle mansioni espletate dall’odierna ricorrente alla declaratoria di cui all’art. 82 del CCNL, con conseguente accoglimento delle domande contenute nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado;
2. il motivo non è ammissibile;
secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè, dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dall’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda; l’accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da logica ed adeguata motivazione (così Cass. n. 28284/2009; tra le molte successive conformi, v. Cass. n. 8589/2015, n. 18943/2016);
nel caso di specie, tale procedimento trifasico è stato svolto e adeguatamente motivato sulla base di elementi probatori congrui e conseguenti, tenuto conto delle peculiarità della fattispecie concreta, ed in rapporto alle declaratorie ed
esemplificazioni della normativa contrattuale collettiva applicata al rapporto (cui rinvia l’art. 2, comma 2, legge n. 190/1985), riportate nella motivazione e debitamente raffrontate con le risultanze istruttorie testimoniali e documentali;
nel criticare tale motivazione relativa allo sviluppo del procedimento trifasico nel caso concreto, in realtà il motivo di ricorso per cassazione in esame tende inammissibilmente, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass. S.U. n. 34476/2019), rivalutazione di questioni di fatto in contrasto con il principio secondo cui la denuncia di violazione di legge non può surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo o terzo, non consentito, grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata) o valutare elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass. n. 20814/2018, n. 21640/2023);
nella sentenza gravata si è invero specificato che mancava il presupposto del coordinamento di un certo numero di unità richiesto dalla norma contrattuale collettiva secondo l’originaria allegazione e che, inoltre, in ogni caso non era stato provato lo svolgimento di compiti propri del Direttore di linea operativa;
il ricorso deve pertanto essere respinto, con regolazione secondo il regime della soccombenza delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 20 marzo 2024.